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Nel capoluogo lombardo si sono svolti i funerali di Lea Pericoli, personaggio simbolo del tennis italiano, per 14 anni n.1 assoluta. Tra la folla di chi ha voluto darle l’ultimo saluto il presidente della FITP Angelo Binaghi, l’ex azzurra Flavia Pennetta e tanti protagonisti del suo tennis romantico con le racchette di legno
di Enzo Anderloni | 07 ottobre 2024
Qualcuno, tra i fiori bianchi che la ricoprono, ha messo una palla da tennis con scritto: “Ciao Lea”.
C’è tanta gente davanti e dentro alla Chiesa parrocchiale dei Santi Silvestro e Martino in via Maffei, due passi da casa sua, per l'ultimo saluto a Lea Pericoli. C’è l’Italia del tennis e la Milano di tutti i giorni che vuole salutare “la Lea”, con l’articolo davanti come spesso si usa in Lombardia.
C’è il presidente della FITP Angelo Binaghi che alla notizia della sua scomparsa l’aveva voluta ricordare come “una persona di grande valore, estremamente intelligente che ci ha preso sotto la sua ala protettiva. E’ sempre stata con noi. E’ stata un po’ la madre di tutti noi”.
C’è Flavia Pennetta, l’azzurra vincitrice di quattro Fed Cup e uno Slam che l’ha avuta come madrina in Nazionale (protagonista dell’esordio italiano nella competizione nel 1963, Lea ha giocato 29 matches vincendone 8 su 16 in singolare e 6 su 13 in doppio).
Ci sono quelli che hanno giocato con lei in quell’epoca romantica del tennis con le racchette di legno: Sergio Tacchini, Enrico Cerutti, Sergio Palmieri, Marco Gilardelli. Ci sono colleghi giornalisti (la sua professione dopo il tennis) e tanti milanesi, con racchetta e non.
E’ la chiesa del quartiere tra Porta Romana e Porta Vittoria dove viveva da sempre, nella sua città d’elezione, qualla dei circoli dove si allenava e dove ha fatto epoca: da giovane il TC Lombardo e il TC Ambrosiano, dove andava a giocare anche con Walter Chiari. Poi per sempre il TC Milano A. Bonacossa, la culla storica del tennis in Italia, dove ha messo le radici, cementato amicizie da socia onoraria qual era da tanto tempo. Ora nel club di via Arimondi, sede dello stadio Porro Lambertenghi dove l’Italia di Coppa Davis ha costruito la sua leggenda negli Anni Cinquanta e Sessanta, vogliono intitolarle un campo.
Sarà difficile immaginare il mondo del tennis senza la sua iconica messa in piega bionda, sempre perfetta, anche quando andava dal panettiere. Il suo eloquio inappuntabile e misurato in pubblico, irresistibile nel racconto del backstage della sua vita in privato.
Lea Pericoli avrebbe compiuto 90 anni il 22 marzo dell’anno prossimo, tutti anni di una “bellissima vita” come l’aveva definita lei stessa nella autobiografia.
Nicola Pietrangeli, cui aveva dedicato un bel libro di ricordi (“C’era una volta il tennis”) l’ha definita “una sorella, compagna di una vita”. Giordano Maioli, con cui vinse vinto il titolo italiano di doppio misto nel 1971 e ’72 l’ha raccontata come “una lottatrice paurosa: lei grand diritto e pallonetti di rovescio, io a rete a chiudere”.
Ha vinto 27 titoli italiani, giocato a Wimbledon con le mutande di pizzo, sconfitto due tumori sostenendo la ricerca, scritto di tennis e di moda per Indro Montanelli su “Il Giornale”. E’ stata la prima telecronista donna nel tennis.
Il parroco nell’omelia ha ricordato la sua capacità di resistere fino alla vittoria. L’ha definita “campionessa nella vita”. E non ha potuto esimersi da accontentare un desiderio ultimo: a salutare la sua uscita di scena, nella chiesa di San Silvestro e San Martino, è stata la voce di Frank Sinatra che cantava la celeberrima “My Way”.
A rileggerne il testo, che parla dell’orgoglio di vivere la propria esistenza pienamente, seguendo la propria indole, facendo scelte forti, c’è da credere che Paul Anka, che scrisse il testo, l'abbia pensato per lei, l’indimenticabile Lea.
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