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Il 26enne piemontese è rimasto oltre due anni senza giocare tornei Challenger, che adesso invece ha ripreso a frequentare con una certa costanza, sfruttando il ranking protetto. I risultati ancora latitano, ma le sensazioni migliorano. E i margini di crescita sono enormi
01 settembre 2021
Nella rincorsa infinita di Matteo Donati, talento piemontese che ha un conto in sospeso con la cattiva sorte, ci sono stati due anni di purgatorio assoluto, ossia senza nemmeno un'apparizione nel circuito Challenger (e neppure, va da sé, in quello Atp). Tra l'aprile del 2019 e l'estate del 2021, è stata una lunga vicenda di tentativi vani e di promesse svanite nel nulla, tra un Itf e l'altro, in attesa di qualcosa che potesse fargli cambiare finalmente direzione.
La precedente presenza a livello Atp lo aveva visto impegnato a Francavilla: un set perso contro Lorenzo Musetti prima – guarda caso – del ritiro per un problema fisico. Nel luglio di quest'anno, i primi assaggi di ritorno: qualificazioni a Braunschweig (in Germania), poi un turno superato a Iasi (Romania), una sconfitta con rimpianti a San Marino e un'altra a Praga, dove è entrato nel main draw sfruttando il ranking protetto.
Mentre l'Italia si gode degli atleti giovanissimi che puntano alle Nitto ATP Finals, o sogna con altri ragazzi appena maggiorenni in grado di arrivare a giocarsi un derby nell'ultimo atto di un Challenger, Donati è un inno vivente alla resistenza che potrebbe prendere a esempio il neo ritirato Paolo Lorenzi per riscoprirsi sognatore.
Se Matteo Donati dovesse seguire un esempio, chi meglio di Paolo Lorenzi potrebbe rappresentare un modello di resistenza? Matteo e Paolo hanno peraltro un precedente ricco di significato: si incontrarono nella finale di Caltanissetta, nel 2016, e vinse Lorenzi dopo aver annullato sei match-point...
Nel 2015 a Roma, appena ventenne, Donati fece brillare gli occhi agli appassionati italiani che ancora erano alla ricerca di qualche certezza per il futuro. Matteo sembrava dare garanzie, perché giocava un tennis brillante, moderno, e poi aveva tutto ciò che serve per emergere: testa, voglia, fisico. La sua storia, tuttavia, è un monito a non dare nulla per scontato.
Quando batteva Santiago Giraldo e giocava un'ottima partita contro il ceco Tomas Berdych nel secondo turno al Foro Italico, sembrava difficile ipotizzare di non vederlo a stretto giro nei top 100 Atp. Invece il best ranking dice 159, quello attuale è un misero 802, frutto di una vicenda fra le più tormentate del tennis tricolore degli ultimi anni.
Dopo due interventi al gomito destro e 21 mesi di inattività, a regalare un primo momento di gioia a Matteo Donati era stato l'Itf di Nur-Sultan, in Kazakistan. Un passettino piccolo in una scalata che appariva improbabile: “La cosa che più mi rende felice – diceva allora – è che il gomito non mi abbia dato alcun problema. Non avevo grandi dubbi, perché mi sento bene fisicamente, però è sempre il campo che emette il verdetto che conta. Sono contento anche dell'atteggiamento che ho avuto in campo e di come ho gestito la partita. Mi sono proprio goduto il match, mi sono divertito e sono riuscito a giocare ogni punto senza pensare a quello precedente o a quello successivo. Le indicazioni arrivate dal campo mi motivano a continuare a dare il massimo, in allenamento e in partita”.
Le difficoltà sono ancora lì, sono ancora quelle di allora, ma piano piano le abitudini stanno tornando. E con quelle tornano anche delle speranze concrete di non lasciare un cammino a metà.
“Ho vissuto mesi di vera insoddisfazione, in cui arrivavo alla sera vuoto, con la consapevolezza di non poter fare le cose che avrei voluto. Il fatto di tornare ad allenarmi, di sudare e arrivare a fine giornata stanco, ma soddisfatto di aver visto dei progressi, mi ha aiutato molto a ripartire con grande determinazione".
"Ho fatto fatica a ritrovare l'occhio sulla palla, ma per il resto, tecnicamente, non ho avuto problemi con diritto e rovescio. Dopo mesi di stop, inoltre, sto apprezzando di più anche la fatica. In modo diverso, sono maturato tanto e gli ostacoli che ho dovuto affrontare mi hanno fatto acquisire una consapevolezza che porterò con me anche in seguito”.
Il tennis di Donati è un piacere per gli occhi, anche se non è ancora tornato a essere spregiudicato come quello di un ventenne alle prese con i primi grandi tornei. Servizio vario ed efficace, diritto che fa malissimo, rovescio robusto, il ragazzo di Alessandria non ha buchi tecnici, non ha un vero punto debole.
La sua è stata una crescita graduale ma costante, fino a un certo punto. Prima insieme al maestro degli esordi Roberto Marchegiani, poi con il coach che lo ha portato al professionismo, Max Puci. Quindi con il tecnico Fit Mosè Navarra, che lo ha preso per mano nel momento del ritorno e ha provato a recuperare quella fiducia ormai perduta in tanti tentativi falliti.
Vedere tanti azzurri suoi coetanei, o persino più giovani di lui, che stanno facendo risultati importanti nel Tour, è senza dubbio uno stimolo ulteriore a dare tutto per riemergere, malgrado le difficoltà di un cammino in cui non c'è nulla di garantito. “Ma oggi – diceva Navarra nel momento del ritorno in campo – Matteo è già un giocatore tecnicamente più completo rispetto a quello che avevamo visto qualche anno fa. Dovrà avere la chance di giocare per un po' senza problemi fisici, allora sì che potremo davvero apprezzare appieno le sue straordinarie qualità”.
Matteo Donati