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Campioni nazionali

Dietro a Berrettini c'è uno Squadrone: "Gli stop? occasioni per crescere"

Parla Roberto Squadrone, preparatore di Matteo e tra i pilastri del suo team. Un personaggio di cui purtroppo si parla poco, del quale in sostanza non esistono fotografie ufficiali, ma che è stato ed è fondamentale nel percorso del tennista romano

di | 26 giugno 2022

Cade 99 volte, si rialza 100. Matteo Berrettini sta imparando a gestire gli infortuni come nessun altro, rientrando ogni volta migliorato e più affamato che mai. Un team vincente, quello del numero 1 d’Italia, del quale fa parte da sempre anche il preparatore fisico Roberto Squadrone. Del quale purtroppo si parla poco, del quale in sostanza non esistono fotografie ufficiali ("quando arriva il momento delle foto - dice chi lo conosce bene - lui si mette in disparte"). Una figura che resta dietro le quinte, ma che è stata ed è fondamentale nel percorso del tennista romano.

Quando è entrato in contatto con Matteo per la prima volta e in che modo?

“Dobbiamo tornare indietro nel tempo e non poco. Ho conosciuto Berrettini nel lontano 2010, quando il Circolo Canottieri Aniene di Roma decise di mettere su un’accademia. Venni contattato insieme a Vincenzo Santopadre e in quel momento è iniziata la nostra avventura. I ragazzi erano tanti e tra questi c’era anche Matteo con il fratello Jacopo. Era un bel gruppo, con tanta voglia di fare e di mettersi alla prova”.

Che ricordi ha del Berrettini 14enne? Era diverso dagli altri per qualche motivo particolare?

“Aveva un carattere forte, che per alcuni forse poteva quasi sfociare nel presuntuoso. In realtà era già formato e deciso per essere un adolescente, sapeva ascoltare e voleva imparare. Questo era ed è rimasto negli anni uno dei suoi maggiori punti di forza”.

A 15 anni arrivò il primo grande infortunio, con la rottura di tibia e perone. Quanto è dura sopportare un simile stop a quell’età?

“Matteo stava disputando un torneo Open a Roma. Era una sera di dicembre con il campo pesante e gli si infilò il piede sotto una delle righe laterali, causandogli una brutta frattura. Ero sulla strada di casa e ricordo di aver ricevuto la telefonata dal pronto soccorso. Quello stop lo tenne lontano dall’attività per quattro o cinque mesi ma non dobbiamo vedere le cose nell’ottica di adesso. Ai tempi non era affatto ritenuto uno dei giocatori più forti della sua età e questo gli consentì di viverla senza particolari pressioni. La botta psicologica fu forte ma altrettanto forte fu la determinazione che mise nel voler recuperare per tornare presto a giocare e ad allenarsi. In tutto questo fu determinate il supporto di una grande famiglia come la sua, nelle persone di papà Luca e mamma Claudia”.

Matteo è a tutti gli effetti cresciuto sotto ai suoi occhi. Che tipo di lavoro ha scelto di svolgere negli anni con un fisico come il suo?

“Quando ho iniziato ad allenarlo, in Italia non c'era ancora la cultura di come gestire un atleta di quella stazza. A 15 anni era già molto alto e quando si facevano i test di valutazione in Federazione era lui l’ultimo della serie. Matteo ha sempre avuto un fisico diverso da quello del prototipo del tennista italiano, come Fognini o Volandri, e ha sempre avuto bisogno di più tempo degli altri per poter lavorare sulla forza e poter esprimere al meglio le qualità di cui dispone. Dovevamo costruire un fisico intorno a un braccio che già andava a meraviglia. La strada sapevamo sarebbe stata tortuosa ma con pazienza possiamo dire di aver preso quella giusta”.

La grinta di Matteo Berrettini (foto Getty Images)

Si dice spesso che i grandi giocatori sono tali anche perché riescono a trovare un’opportunità nei periodi di stop forzato. Quanto c’è di vero?

“Nel nostro caso c’è tanto di vero. Matteo, supportato da tutti noi, ha sempre visto in questi momenti una grande occasione di crescita, personale e professionale. Sono periodi duri ma è sempre stato bravo a farli fruttare per lavorare sotto tutti gli aspetti. Penso al problema al polso sinistro di qualche anno fa, che lo ha portato a concentrarsi a lungo su quel rovescio in back che oggi la aiuta molto. Così come l’infortunio al ginocchio, che al dunque si è rivelato ‘utile’ per crescere ulteriormente con lancio di palla e servizio”.

Dei vari infortuni subiti negli anni ce n’è uno che è stato più complicato da lasciarsi alle spalle?

“Fortunatamente è sempre riuscito a tornare al top, senza troppi strascichi. Dal punto di vista mentale direi che il problema agli addominali che ha avuto agli Australian Open è quello che lo ha preoccupato maggiormente, soprattutto in virtù della cicatrice che ancora dà fastidio”.

Rispetto al passato, nel tennis ma non solo, ci si infortuna con sempre maggiore frequenza. Secondo lei quali sono le cause principali?

“Il problema più grande è l’attività esasperata, unita al grande peso specifico che in calendario hanno i tornei sul veloce. Ma c’è dell’altro. Questo sistema di calcolo del ranking, ad esempio, quasi costringe a disputare un torneo nel quale si è fatto bene l’anno precedente. Si gioca tanto e una vera e propria off-season non c’è. Tra ATP Finals e Coppa Davis si arriva a fine stagione che già occorre pensare all’ATP Cup. Non c’è alcuno sport a livello individuale nel quale si compete così tanto e così a lungo. Paradossalmente sono i tempi di recupero dagli infortuni che diventano un buon momento per lavorare”.

La volée di diritto di Matteo Berrettini (foto Getty Images)

Tanti infortuni ma anche tanti bei momenti. Quale vittoria vi ha lasciato più soddisfazione come team?

“Ce ne sono tante ma forse direi le prime vittorie, quelle arrivate nel momento in cui Matteo si stava affacciando nel circuito maggiore. Lui non è mai stato un predestinato ma è li che ha capito che avrebbe potuto farcela davvero. Mi viene in mente il Challenger di Phoenix, che ha disputato dopo essere uscito al primo turno nel Masters 1000 di Indian Wells. Quella è stata senza dubbio la svolta di uno straordinario 2019”.

Negli anni che tipo di rapporto si è instaurato tra di voi?

“Dopo così tanto tempo direi che posso considerarlo un figlio adottivo. Siamo bravi a mantenere una parvenza di professionalità (ride, ndr) ma ormai è come essere in famiglia”.

Siamo ormai al giro di boa della stagione. Come approccerete i prossimi mesi?

“L’ultimo infortunio ci ha consentito di poter svolgere una preparazione piuttosto approfondita dal punto di vista fisico. La priorità è quella di giocare il maggior numero di partite possibile, senza mai perdere di vista la prevenzione. Sfrutteremo le pause tra un torneo e l’altro per continuare a lavorare”.

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