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Il 17enne Abedallah è già il miglior giocatore di sempre del suo Paese, ma ha appena cominciato una carriera da professionista che potrebbe portarlo lontano. Ci credono molto anche all'Academy di Manacor, dove il giordano si allena dal 2018, agli ordini di Toni Nadal
di Cristian Sonzogni | 20 novembre 2020
A volte può capitare persino di diventare il miglior giocatore di ogni epoca di un certo Paese all'età di 17 anni. Capita quando il Paese in questione non ha una grande tradizione tennistica, e soprattutto quando non possiede le risorse necessarie per sviluppare un progetto di largo respiro. In Giordania, oggi, Abedallah Shelbayh è uno dei pochissimi che hanno la vera chance di diventare professionisti nello sport, non soltanto nel tennis.
Ma il teen-ager di Amman è anche una speranza per tutto il mondo arabo, e in particolare per quel Medio Oriente che il tennis dei pro lo ha sempre visto da lontano, dalla tivù o dalle tribune; mai attraverso gli occhi di un campione di casa. Se Paesi come Tunisia o Marocco hanno una storia solida alle spalle e tanti giocatori che negli anni scorsi hanno frequentato i grandi tornei, il resto del mondo arabo aspetta ancora qualcuno in grado di emozionare e di fare da traino.
Potrebbe averlo trovato in questo ragazzo dal sorriso aperto e dall'aria sbarazzina, che da un paio d'anni a questa parte si allena in Spagna, a Manacor, adottato dall'Academy creata da Rafael Nadal. Shelbayh, mancino con rovescio bimane, ha già ottenuto fior di risultati nel Tour Under 18 (best ranking di numero 100 e sei tornei vinti), ma durante questa stagione è andato un passo oltre, facendo le sue prime esperienze nel circuito dei grandi, seppur in quello Itf.
In gennaio, proprio a Manacor (dove era entrato con una wild card) aveva raggiunto la semifinale in singolare, mentre a Valldoreix pochi giorni fa ha addirittura centrato il trionfo in doppio, accanto all'iberico Vives Marcos, vincendo pure la sfida diretta con una promessa su cui tanti puntano forte, il danese Rune, sconfitto proprio all'ultimo atto. Non si tratta di risultati straordinari, ma sono già stati sufficienti per fare del giovane Abedallah il miglior giordano di sempre: numero 1219 Atp come best ranking, contro il numero 1290 del predecessore, Khalid J. Naffa.
"Al mondo dello sport arabo serve una svolta che parta dalle scuole: si deve dare l'opportunità ai ragazzi di includere anche il tennis tra le discipline che è possibile praticare. Solo così allargheremo il gruppo di giovani competitivi a buon livello". (Khalid J. Naffa)
Proprio il 40enne Naffa, che per la Giordania ha giocato pure in Davis (come del resto Shelbayh) e oggi dirige un'Accademia ad Amman, racconta: “Il mondo arabo in generale può contare su di un gruppo molto ristretto di giocatori, se lo compariamo al resto del pianeta, per esempio all'Europa o al Sudamerica. Bisognerebbe partire dalle scuole per cercare di cambiare la prospettiva, mettendo il tennis tra le alternative per coloro che vogliono fare sport, cosa che attualmente non accade. Poi, da una base più ampia, avremmo maggiori chance di trovare atleti competitivi, come è già capitato ad alcuni Paesi del Nordafrica”.
Il punto è che spesso, oltre alle iniziative, mancano le strutture di base, manca quella tranquillità che altrove garantisce ai ragazzi di poter fare sport senza preoccuparsi di vicende legate alla sicurezza, loro e della propria famiglia. Il tutto anche in un Paese come la Giordania che tradizionalmente è sempre stato fra i più stabili e pacifici dell'area.
Shelbayh non è un nome totalmente nuovo per l'Italia, perché insieme alla famiglia è passato dai nostri campi per diversi anni, nel tentativo di conquistare il Lemon Bowl, il classico evento giovanile che si disputa a Roma, e che il giordano si è aggiudicato nel 2017, nella categoria Under 14. “Amo giocare questo torneo – spiegava all'epoca Abedallah – perché l’atmosfera è magica, così come la città di Roma, e inoltre mi diverte molto giocare sulla terra battuta, che in Giordania e in quasi tutta l’Asia non esiste”.
Crescendo, il teen-ager si è preso pure un altro titolo in un secondo grande evento giovanile, l'Orange Bowl di Miami, dove ha centrato il doppio Under 16 lo scorso anno in coppia con l'iberico Rincon, pure lui mancino e pure lui all'Academy di Nadal per gli allenamenti. I segnali di qualcosa di importante, dunque, c'erano già da qualche tempo, e il bell'esordio nel circuito dei grandi, pure in un anno tanto tribolato come questo, lascia intendere che ci sarà da tenere d'occhio il giordano nelle prossime stagioni.
I 23 Paesi arabi contano complessivamente su oltre 400 milioni di abitanti. Difficile che il tennis divenga davvero popolare, ma avere qualcuno da imitare, qualcuno che indica la via, farebbe tutta la differenza del mondo. Shelbayh ci vuole provare e dall'Academy di Nadal, sul suo conto, arrivano parole al miele, pronte a descrivere un ragazzo dalle qualità umane – oltre che sportive – importanti.
Ad Abedallah capita spesso di ascoltare i consigli di 'zio Toni' da bordo campo, qualche volta gli capita pure di scambiare con Rafa, mentre il vincitore di 20 Slam non è impegnato nel Tour. E se è vero, come diceva Lamine Ouahab, che per gli arabi nel tennis è sempre tutto un po' più difficile che per gli altri, adesso all'orizzonte c'è uno che potrebbe invertire la rotta. Uno che potrebbe rendere le cose più semplici a tutti coloro che nella racchetta vedono non solo uno sport, ma pure un'occasione di riscatto.
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