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Non ha il fisico e il gioco dei connazionali che lo hanno preceduto, ma il piccolo Jesper ha altre qualità da far valere per tentare la scalata al ranking Atp. Veloce, gran tempo sulla palla, intelligente, il 20enne di Haarlem è conosciuto in Italia per le presenze nei campionati a squadre
di Cristian Sonzogni | 28 novembre 2020
Quando Paul Haarhuis, uno dei migliori giocatori olandesi degli anni Novanta, decideva di mollare definitivamente il professionismo, Jesper De Jong aveva più o meno un mese di vita. Era l'estate del 2000, e quello che era stato numero 18 al mondo in singolare e numero 1 in doppio decise che era tempo di fare altro, nella vita. Quello che non poteva sapere era che il suo futuro, in fondo, nasceva proprio (e non solo metaforicamente) in quel momento.
Oggi, Haarhuis di anni ne ha 54 ed è l'allenatore del ventenne Jesper, numero 305 al mondo e 5 d'Olanda. Un tipetto tutto pepe che è però profondamente diverso dal suo coach, come dalla maggior parte dei connazionali di alto livello passati dalle zone alte del ranking prima di lui.
Se pensiamo agli olandesi come ai Krajicek, agli Haarhuis, agli Eltingh, ai Siemerink, ebbene siamo decisamente fuori strada. E nemmeno con Haase e De Bakker ci avviciniamo troppo. Il talento di De Jong, che pure c'è, è diverso: è un talento da colpitore più che da attaccante, un talento che punta sul ritmo e non sulle sortite a rete. Nel 2019 ha messo assieme i suoi primi tre titoli Futures, tutti conquistati nel giro di poche settimane, tra metà agosto e fine ottobre. Aspettava il 2020 per fare un altro salto, per stare con costanza nel circuito Challenger e togliersi qualche soddisfazione. Invece i piani sono stati giocoforza rimandati, ma non certo accantonati. Tanto che alla ripresa post lockdown, qualche apparizione a livello più alto non è mancata, con la semifinale a Guayaquil, in Ecuador, come momento più significativo.
UN FISICO NORMALE
“So benissimo – spiega il piccolo olandese – di non avere un fisico bestiale, di non essere alto e forte e robusto come richiederebbero i canoni di questi tempi. Però mi gioco le mie chance con altre caratteristiche. Corro tanto, combatto, cerco di rimanere in partita sempre fino all'ultimo punto. Se c'è un giocatore che mi ispira, non è un olandese ma un belga: David Goffin. In lui vedo qualcosa di me”.
Terra, cemento o sintetico, al momento per Jesper la differenza non è sostanziale, anche se in futuro è probabile che siano i campi rapidi quelli dove il ragazzo del Nord Europa riuscirà ad esprimere appieno il suo potenziale. “Quasi mai mi capita – continua – di riuscire a mettere in un angolo il mio avversario sommergendolo di colpi vincenti. Punto sull'intelligenza, sugli schemi, sul ritmo. Ma non per questo mi definirei un giocatore difensivo, anzi”.
SULLE ORME DI HAARHUIS
Anzi, appunto. De Jong – destro con rovescio bimane, che all'occorrenza diventa a una mano sola – sa fare anche serve and volley, quando c'è la necessità di sorprendere gli avversari. E in questo atteggiamento probabilmente il suo allenatore è stato determinante.
Perché Haarhuis, pur non essendo un volleatore tra i più forti della sua generazione, è stato uno capace di completare il Career Slam in doppio e di vincere Wimbledon (accanto a Eltingh), battendo in finale Woodforde e Woodbridge (era il 1998, finì 10-8 al quinto).
Non esattamente la cosa più semplice del mondo, come sa bene chi ricorda cosa erano capaci di fare i Woodies nei pressi della rete. “Paul mi aiuta molto – sottolinea l'allievo – anche nell'analisi dei miei avversari. Sa leggere le partite e questo mi consente di lavorare su me stesso in funzione di quello che mi attende dall'altra parte del campo”.
IL TENNIS DOPO GLI STUDI
De Jong, nativo di Haarlem, ha cominciato a fare sul serio soltanto nel 2018 passando al National Tennis Center di Almere (insieme al tecnico Bas Coulier), dopo aver completato gli studi. Una formazione che adesso si porta appresso nel suo percorso da professionista come un bonus da giocarsi al momento opportuno della contesa, per fare la differenza contro chi si intestardisce nel picchiare senza uno schema.
Lui, sugli schemi, deve invece costruirci una carriera, e il fatto di essere così palesemente fuori dal tempo, chissà, potrebbe pure rivelarsi un vantaggio. L'originalità dell'intelligenza in un tennis che – visto il costante rallentamento di palline e superfici – punta a trovare un equilibrio democratico fra potenza e talento.
LE SQUADRE IN ITALIA
In Italia, De Jong ha giocato solo una manciata di tornei Under 18, ma mai fra i professionisti, nemmeno per un Futures. Eppure il nostro Paese lo conosce bene comunque, perché durante le ultime stagioni ha calcato spesso i campi dei campionati a squadre. Prima con il team di Galatina (Lecce), poi con i romani del Villa York. Mentre da quest'anno è in rosa al Tc Lecco, Serie A2. I capitani che lo hanno conosciuto parlano di lui come di una sicurezza. Di uno su cui, quando c'è, puoi puntare a occhi chiusi.
E in effetti il ragazzo fa dell'educazione e del rispetto uno dei cardini su cui costruire la sua vita, oltre che la sua carriera. Rispetto verso i compagni e verso il club, se parliamo di competizioni a squadre. Ma rispetto pure verso ogni avversario: da quello che è più grande, più forte e più carismatico di lui, fino all'ultimo dei nuovi arrivati nel Tour. Il piccolo Jesper, del resto, la scalata la deve ancora cominciare, e non vede l'ora di potersi mettere alla prova con ostacoli sempre più alti.