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Sinner dopo la pioggia e il fango si è dimostrato capace di domare il vento. Il tedesco ha perso la testa e dichiarato di avere la febbre a 38 alla vigilia del match. Se è vero, perché è sceso in campo invece di avvertire le autorità sanitarie?
di Enzo Anderloni | 05 ottobre 2020
Dopo il fango, il vento. La prova di maturità di Jannik Sinner al terzo turno contro l’argentino Coria era stata riuscire a spuntarla contro un regolarista velocissimo giocando sul pantano del campo n.14. Un posto deve le sue bordate si impastavano d’argilla al rimbalzo, disinnescando la penetrazione dei suoi colpi.
Per gli ottavi di finale e il confronto con Alexander Zverev, n.7 del mondo e finalista ai recenti Us Open, gli dei del tennis hanno deciso di sottoporlo alla sfida del vento. Il duello con il Drago arriverà nei quarti, da Maiorca.
L’allievo di Riccardo Piatti ha però gestito la brezza tesa che attraversava longitudinalmente il campo Suzanne Lenglen, facendo garrire le bandiere, come un Corsaro Rosso. In fondo il Conte di Ventimiglia uscito dalla penna di Emilio Salgari non abitava lontano dal suo appartamento di Bordighera. E Jannik deve aver imparato proprio sulla riviera ligure di Ponente come gestire il suo tennis sia quando il vento ce l’hai in poppa, cioè alle spalle, sia quando devi in qualche modo risalirlo, tracciando i tuoi fendenti “di bolina”.
Una condizione in cui giocare bene è difficilissimo e gli errori devono essere considerati la norma, visto che nella prima situazione si rischia di essere sempre un pelo troppo arretrati, perché la palla dell’avversario si ferma, mente nella seconda si può spingere tutto braccio ma spesso non si trova il tempo perché il colpo avversario viene reso più profondo e veloce dai capricci di Eolo.
Sinner si è messo al timone con la saldezza di un vecchio corsaro. Ha accettato che la palla spesso scappasse via. Che il servizio fosse più impreciso del solito. E ha adeguato il gesto e la sua veemenza alle raffiche. Dopo due set di dominio assoluto ha subito il ritorno del grande avversario senza scomporsi.
Si è preso una bella pausa negli spogliatoi alla fine della terza frazione ed è ripartito a suon di ace. Ma anche di morbide smorzate al momento giusto. Riccardo Piatti (sempre mascherinato e avvolto in una sorta di coperta bianca) con a fianco Claudio Zimaglia, se lo mangiava con gli occhi.
Alla fine ha incrociato lo sguardo fiero e poi il sorriso del ragazzone con i capelli rossi, che ha cresciuto da quando aveva 13 anni, e gli è venuto un luccicone. Non ha resistito: gli ha mandato un bacio paterno prima di agitare il pugno in segno di “Forza!”.
Zverev era proprio il riferimento di giovane campione già pronto a misurarsi con la generazione dei Federer, Nadal, Djokovic che Piatti aveva sempre messo al primo posto della sua lista dei n.1 di domani. La ventosa domenica 4 settembre, sotto il cielo di Parigi non la scorderà facilmente.
Chi è finito davvero con la testa nelle nuvole è proprio il povero Sascha che, dopo il k.o., ha riferito in conferenza stampa di esserci ammalato successivamente alla partita contro Marco Cecchinato, di aver fatto fatica respirare con la febbre a 38°.
In effetti a inizio partita ha chiamato il medico che gli ha dato una pastiglia. Dopodichè l’abbiamo visto correre come una lepre e vincere scambi anche da 18 colpi.
Ogni tanto si fa fatica a capirlo, il biondo fenomeno tedesco con il tic di alzarsi la maglietta e scoprire l’ombelico: se aveva la febbre e non ha avvertito i medici, meriterebbe di essere preso per un’orecchio, “tamponato” tutti i giorni e “quarantenato” fino a nuovo ordine. Almeno finchè non capisce che con il covid-19 non si scherza.
Se invece la febbre non l’aveva, beh, ci sono campioni che sanno perdere con più stile. Fa parte della vita di un tennista scendere in campo ogni giorno, cercando di essere nelle condizioni migliori. Non sempre è possibile: i grandi se ne fanno una ragione e alla fine accettano di provarci fino in fondo con quello che hanno. Se va male, ringraziano, salutano e danno appuntamento alla prossima volta.