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A 20 anni, il figlio dell'ex numero 2 al mondo Petr sta vivendo il momento migliore della sua giovane carriera. Dopo aver raggiunto gli ottavi di finale al Roland Garros, ha vinto il suo primo titolo da pro a Eckental. E i primi 100 sono ormai a un passo...
di Cristian Sonzogni | 16 novembre 2020
C'è un Next Gen che ha un po' di passato (recente) nel nome e nel viso. Un Next Gen diverso dagli altri perché spicca nel gruppo ben al di là dei suoi risultati, fin qui non eclatanti. Sebastian Korda è il figlio ventenne di Petr, fenomeno degli anni Novanta del secolo scorso. Fenomeno, sì, a dispetto di un solo Slam vinto in una carriera troppo altalenante per rendere totalmente merito al suo talento immenso.
Nel 1998 in Australia, il ceco magro come un chiodo trionfò superando il cileno Marcelo Rios, ma pochi mesi dopo una brutta vicenda legata a tracce di sostanze proibite trovate durante un controllo antidoping gli troncò di fatto la carriera nel punto più alto. Oggi, tuttavia, da chi ha almeno una quarantina d'anni, l'allampanato Petr viene ricordato con affetto.
Viene ricordato certo più per le sue magie che per quella debolezza pagata carissima a fine carriera. Con affetto, dunque, si guarda anche a un figlio che deve prima sopportare il peso di un nome così ingombrante, e poi capire come si scala la classifica mondiale. Senza, peraltro, avere le stesse straordinarie qualità del genitore.
Sì perché Korda junior è, tutto sommato, un giocatore normale. Intanto è destro e non mancino come Petr, poi ha un onesto rovescio bimane e non quello spettacolare colpo a una mano che era il marchio di fabbrica del padre. Ma, soprattutto, il braccio non scorre così rapido, la facilità con cui Korda senior imprimeva velocità alla palla, il buon Sebastian non la può copiare.
Per contro, i gesti, il fisico e soprattutto il volto, rimandano a quel Korda che nel 1993 a Monaco di Baviera vinse uno dei tornei più spettacolari della storia del tennis, la Grand Slam Cup, battendo Pete Sampras in semifinale e Michael Stich nel match per il titolo. Petr chiuse la sua vita sportiva con un best ranking di numero 2 e parecchi rimpianti per non aver agguantato il numero 1 nemmeno per una settimana.
Adesso è tempo dunque di passare alla seconda generazione, che però dovrà necessariamente moderare le ambizioni e non farsi schiacciare da aspettative fuori portata. Sebastian (che è americano e non ceco, perché da prima della sua nascita la famiglia si era trasferita in Florida) ha raggiunto proprio in questi giorni il suo best ranking, numero 116 al mondo. Non lontano dai top 100 ma distante anni luce dalle imprese del padre.
Eppure questo strano 2020 non gli è andato così indigesto. Anzi, al Roland Garros, su quella terra che tecnicamente non lo favorisce, Sebastian ha colto il miglior risultato in carriera, un ottavo di finale che vale molto per due motivi: il primo è il nome di colui che lo ha fermato, l'idolo d'infanzia Rafael Nadal; il secondo è che il figlio d'arte proveniva dalle qualificazioni.
Un viaggio di sei vittorie consecutive che arrivava dopo la qualificazione nel 1000 di Cincinnati (battendo Simon) e a cui ha fatto seguito domenica scorsa il trionfo nel Challenger di Eckental. Il primo centro a livello pro: in precedenza, Sebastian non aveva incamerato nemmeno un Futures, mentre a livello giovanile c'era stato il titolo di Melbourne 2018 (destino di famiglia?) a regalargli una gioia dopo diverse delusioni.
Proprio in quell'occasione, in Australia, si cominciò a parlare (bene) di questo ragazzo che somigliava così tanto al genitore. Al punto che qualche fotografo, durante la premiazione, pensò bene di chiedergli lo stesso saltino a gambe divaricate che il papà aveva reso popolare nello stesso luogo, giusto vent'anni prima.
Finora però Sebastian pare sereno, e le interviste ascoltate nei suoi periodi migliori raccontano di una persona matura ed equilibrata, cresciuta in una famiglia di sportivi (la madre Regina è stata a sua volta un'ottima tennista, le sorelle sono professioniste di golf) e forse proprio per questo abituata alla competizione per natura. Senza badare troppo alle sconfitte ma guardando invece un pochino più in là, a costruirsi come atleta prima di pensare ai titoli dei giornali. Il fatto di essere americano, poi, probabilmente lo aiuta: oltreoceano un numero 116 al mondo, nemmeno a 20 anni può essere una star. Ci sono ancora nove connazionali davanti, anche se nessuno più giovane di lui.
Petr, mentre Sebastian prova a fare il suo percorso, ama seguire l'erede da lontano. Non è il suo coach, ma dispensa consigli (“senza i quali – ha specificato il figlio – non sarei mai arrivato dove sono), resta dietro le quinte e quando lo chiamano per un parere o un'intervista, solitamente risponde così: “intervistate lui, è mio figlio la star”. Un padre orgoglioso che sottolinea come “ci vorranno ancora un paio d'anni per collezionare esperienze utili e capire davvero il suo potenziale”, ma che al contempo comincia a crederci già adesso, al futuro da pro di alto livello di quello che tra le mura domestiche chiamano 'Sebi'. Un futuro che da qualche settimana, forse, bisognerebbe già chiamare presente.