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Per il figlio, timido ma forte e promettente, la signora Nakashima si è rivolta all’argentino Eduardo Infantino (già coach del giovane Del Potro) che ha convolto anche Franco Davin (che ha portato ‘Delpo’ allo Slam), il preparatore cubano Douglas Cordero (ex di Thiem) e il fisio-osteopata Claudio Zimaglia (ex di Sinner). “Per puntare alla Top 10 verremo ad allenarci in Europa” spiega l’allenatore che è stato per anni responsabile tecnico al Centro FIT di Tirrenia
di Enzo Anderloni | 12 novembre 2022
C’è tanta Argentina, un po’ di Cuba e un pezzo d’Italia nel team del californiano di origini giappo-vietnamite che si è aggiudicato il trofeo di cristallo che certifica l’X-Factor delle Intesa Sanpaolo Next Gen ATP Finals. E fa un certo effetto vedere nell’angolo del ventunenne Brandon Nakashima, n.49 del mondo, tanta esperienza tecnica, coach e allenatori che devono vedere qualcosa di speciale in questo ragazzo. Sì perché Eduardo Infantino e Franco Davin non sono proprio allenatori emergenti, come è il lor pupillo in quanto giocatore. E lo stesso si può dire per il preparatore fisico Douglas Cordero (ex di Dominic Thiem e Fabio Fognini) e per il fisioterapista-osteopata Claudio Zimaglia, che con il team di raccordo piatti ha seguito fino allo scorso anno Jannik Sinner.
Infantino, praticamente italiano di adozione dopo tanti anni passati a Tirrenia come diretto tecnico al Centro Federale, è stato l’allenatore di Franco Davin per tutto l’arco di una carriera che lo ha visto arrivare a n.30 del mondo e ai quarti di finale al Roland Garros. Poi ha lanciato un giovane Juan Martin Del Potro, affidandolo successivamente allo stesso Davin, trasformatosi a fine carriera a sua volta in un ottimo coach. E con Davin al suo fianco “Delpo” ha colto le sue affermazioni più importanti, compreso quel titolo Slam agli Us Open 2009 che resta il punto più altro di una carriera importante.
Ora Infantino e Davin sono insieme a fianco di Nakashima, chiamati da mamma Christina, di professione farmacista come papà Wesley ma più di lui determinante nelle scelte del futuro del figlio, anche in quelle tecniche. C’è lei, ci racconta Eduardo Infantino, dietro la nascita di questo superteam che sta lavorando per portare Brandon il più in alto possibile.
“La mamma di Nakashima mi ha chiamato durante il torneo di Indian Wells, a primi di marzo. Allora le ho consigliato per prima cosa di affiancare a Brandon un buon preparatore fisico e le ho fatto il nome di Douglas Cordero. Io ho cominciato a lavorare con Brandon al Roland Garros e ho voluto creare un vero e proprio team come avevo visto fare con successo a Riccardo Piatti già tanti anni fa con Ivan Ljubicic, che Riccardo ha fatto crescere da quando aveva 18 anni fino a portarlo n.3 del mondo. Così mi è sembrato bello coinvolgere Franco Davin che è stato il primo giocatore che ho allenato e al quale, diventato a sua volta allenatore, ho lasciato Juan Martin del Potro che avevo portato da n.200 a n.40 del mondo”.
“Franco ha accettato e a quel punto ci serviva un fisioterapista all’altezza – continua il coach di Benito Juarez, provincia di Buenos Aires - e ho chiamato proprio Riccardo Piatti per avere la sua “benedizione” nel proporre l’idea a Claudio Zimaglia, uno dei migliori del mondo, che faceva parte del suo staff. Un professionista che conosco da 30 anni perché lavoravano insieme al TC Le Pleiadi di Torino negli Anni Novanta. E’ nato così un team piuttosto ampio per un giocatore che è ancora n.50 del mondo ma la mamma di Brandon ha voluto dare a noi e a suo figlio questa opportunità”.
“Per me è la prima volta in assoluto con un giocatore americano: una sfida nuova, fuori dal contesto latino al quale sono abituato. Gli americani sono un po’ diversi come mentalità: sono più schematici. Le cose stanno andando bene: al momento ci alleniamo a metà tra San Diego, dove abita la famiglia Nakashima, e Miami. Per puntare in alto Brandon dovrà trovare però anche una base in Europa. Siamo venuti qualche giorno in Italia recentemente: la Federazione Italiana ci ha ospitati a Tirrenia dopo il torneo di Firenze, e di questo la ringrazio ancora molto”.
Obiettivi precisi, di classifica e risultati, non ha senso porseli. C’è tanto da migliorare: “L’obbiettivo per il momento è un processo di crescita. Brandon non ha mai fatto una preparazione lunga, importante. Ha cambiato tanti allenatori. La prima cosa è creare continuità con il team. Sta crescendo piano piano. Qui a Milano ha giocato un buon tennis e ha le caratteristiche per diventare un ottimo giocatore perché tanti oggi arrivano in alto anche senza avere un’identità precisa, mentre lui ce l’ha. A parte Alcaraz, Ruud o Rune non vedo personalità del tutto definite. Per me Nakashima può evolvere in un giocatore aggressivo, proiettato in avanti, all’attacco. Per fare l’esempio di un tennista italiano dell’epoca in cui lavoravo qui, citerei Omar Camporese. Uno che picchia forte, entra molto nel campo, va avanti: come dicevo, un giocatore aggressivo”.
“Brandon ancora non è così – spiega – ma lo sta diventando. Qui a Milano in semifinale e finale ha cominciato a far vedere una certa propensione ma per completare la sua evoluzione in questo senso deve venire a lavorare di più in Europa dove il tennis è più evoluto in questo momento. Deve uscire dagli schemi di gioco statunitensi, come stanno facendo Tiafoe e Tommy Paul. Per un americano oggi, se vuole diventare Top 10, avere una base in Europa è fondamentale. E’ una scelta coraggiosa ma andremo in quella direzione, con questo team, per crescere ancora nel 2023”.
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