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Eventi internazionali

“I 5 set esaltano il fisico non la tecnica: negli Slam li terrei solo dai quarti”

L’ex Davis man, oggi allenatore e opinionista, Diego Nargiso analizza pro e contro della lunga distanza che ha tanto esaltato dopo la finale degli Australian Open fra Nadal e Medvedev

di | 03 febbraio 2022

Cinque set, che passione, che emozioni, che pathos, che battaglie epiche! Dopo la finale degli Australian Open e la sensazionale rimonta del 35enne Rafa Nadal sul 25enne Daniil Medvedev in 5 ore 24 minuti tutti esultano le maratone   delle racchette. Ma la medaglia ha due facce, come sempre. 

Diego Nargiso, il vero tennis è al meglio dei 5 set?

“E’ un altro tennis; oggi la maggior parte del circuito, durante la stagione, si basa su altri parametri, molto meno lunghi. Questo ha cambiato il gioco anche rispetto al passato quando si giocava sempre al meglio dei 5 set. E, con le condizioni abbreviate, cambia tutto”.

I 5 set esaltano i gladiatori?

“Se ancora a Wimbledon e Roland Garros le situazioni esterne sono accettabili, i due Slam in Australia e negli Stati Uniti propongono anche situazioni estreme per gli atleti sotto il profilo mentale e atletico, esaltando alcune caratteristiche psico-fisiche e mettendo in secondo piano il gioco e la tecnica”.

 

Berrettini e lo stesso Nadal hanno rischiato di non finire le loro partite…

“Ci sono situazioni che portano al massacro, quando si gioca a 40 gradi più l’umidità. Diventa fondamentale mangiare e bere al meglio, puoi avere problemi di stomaco e tanti altri fastidi prettamente fisici che incidono in maniera esagerata sulla prestazione e non hanno a che vedere direttamente col tennis”.

I Big 3 sono favoriti negli Slam perché sono più abituati a frequentare la lunga distanza?

“Sicuramente sì, come gestione della partita. Io, da giocatore, fra Coppa Davis e Slam, avrò fatto una cinquantina di match sulla lunga distanza, contro le 3/400 sui tre set, e sicuramente all’interno della partita chi ha giocato di più i 5 set sa gestire meglio le energie, sa meglio quando rallentare, quando non giocare proprio certi punti e certe fasi. Come si è visto benissimo fare a Rafa nel corso del torneo, così come si è visto quanto sia stato capace, invece, di accelerare e di andarsi a prendere i punti decisivi, anche disperati, nei momenti importanti”.

I 5 set insegnano ai più giovani a stare lì, a resistere, a volere di più la vittoria?

“I 5 set sono come i 400 metri di atletica leggera, quando devi tenere la velocità per 40 secondi, li chiamano il giro della morte, mentre i 3 set sono la velocità pura, i 100 o i 200: non è questione di gusto, che piacciano di più o di meno gli uni o gli altri, sono proprio un’altra cosa. Sui 5 set ti scavi dentro alla ricerca delle ultime risorse, oltre le 3 ore di sforzo viene fuori sempre più la voglia di soffrire e le emozioni, si combatte una battaglia, mentre scade il significato tecnico e tattico del tennis”.

Personalmente, da giocatore preferiva i 3 o i 5 set?

“I 3 set erano più aderenti al tipo di giocatore che rappresentava il mio tennis. Ma capisco gli spettatori perché anch’io mi emoziono guardando questi giocatori così ammirevoli per come si battono nelle difficoltà, per la voglia e la volontà che infondono, per come soffrono fino in fondo. Oggi, da allenatore, faccio delle sessioni fino a 3 ore per preparare i miei giocatori proprio a restare in campo per tanto tempo, in Spagna allungano l’allenamento anche a 4 ore di fila. Si allena tutto: anche la capacità di restare concentrati per periodi più lunghi, che diventa fondamentale in queste lunghe battaglie”.

A suo parere quale sarebbe la durata ottimale dei match?

“Io manterrei i 5 set negli Slam perché sono situazioni eccezionali, e anche nelle finali dei tornei 1000, com’era un tempo. Negli Slam terrei i 3 set fino agli ottavi e poi dai quarti passerei ai 5. Così le battaglie epiche, quando la posta in palio diventa importante, ci sarebbero ugualmente”.


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