Chiudi
105 anni fa il Capitano Antony Wilding, neozelandese, moriva nella prima grande battaglia tra inglesi e tedeschi sul suolo francese. N.1 del mondo alla vigilia del conflitto era stato la prima superstar della racchetta. Carismatico, laureato a Cambridge, girava l’Europa in motocicletta e batteva tutti
di Enzo Anderloni | 09 maggio 2020
ACCADDE OGGI
Il 9 maggio del 1915 il capitano della First Army inglese Antony Wilding, impegnato nella battaglia di Aubers Ridge, cadde in combattimento. Una grossa bomba prese in pieno il tetto del piccolo rifugio lungo le trincee dove si trovava, scavato di fianco dell’autoblindo Rolls Royce a lui affidata che stava facendo fuoco da Neuve Chapelle (una ventina di chilometri da Lille) contro le linee tedesche sin dal mattino, per preparare l’attacco al crinale di Aubers, che avrebbe permesso agli inglesi di conquistare una importante posizione di vantaggio per il prosieguo dei combattimenti.
L’iniziativa militare, una delle prime dell’esercito inglese sul continente fu un insuccesso: tra ufficiali e soldati le forze britanniche persero in un giorno più di 11.000 uomini.
Wilding, promosso capitano pochi giorni prima, non l’avrebbe mai saputo. Ma la notizia della sua morte fece velocemente il giro del mondo e suscitò grande emozione ovunque.
Tony, neozelandese, non era solo uno dei 458 ufficiali caduti quel giorno: era il tennista n.1 del mondo, il vincitore di quattro titoli consecutivi a Wimbledon dal 1911 al 1914. Un mito: la prima vera superstar nella storia del tennis.
Era alto, dal fisico potente, elegante, colto. Figlio di un avvocato benestante, emigrato con la moglie dall’Herefordshire a Christchurch, Nuova Zelanda, si era laureato al Trinity College di Cambridge. Era forte in tutti gli sport, da rugby al cricket, ma con la racchetta superò chiunque fino a realizzare quello che, al tempo, era il corrispettivo del Grande Slam odierno.
Nel 1913 si era infatti aggiudicato i World Hard Court Championships che si disputavano a Parigi, sulla terra battuta del club Stade Francais di Saint-Cloud, i World Grass Court Championships di Wimbledon e i World Covered Court Championships che si giocavano a Stoccolma su un campo in legno (parquet) al coperto.
Era anche affascinnate, carismatico. Amante della modernità, della velocità si era cimentato anche come corridore motociclista. E usava spesso la sua motocicletta per spostarsi da un torneo all’altro nella stagione estiva europea del grande tennis di allora.
Insieme all’australiano Norman Brookes, altro grande giocatore del tempo, formò il team dell’Australasia, iscritto alla Coppa Davis che avrebbe conquistato 4 volte (nel 1907, 1908, 1909 e 1914). Come quattro volte si sarebbe imposto anche nel doppio a Wimbledon, l’ultima proprio nel 1914, l’anno prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, insieme allo stesso Norman Brooks, che lo aveva appena battuto nella finale del singolare.
Per Arthur Wallis Myers, il giornalista de The Daily Telegraph (che era una tale autorità nel mondo della racchetta da stilare personalmente le classifiche mondiali del tennis fino al 1939) Wilding fu il n.1 indiscusso, una specie di Roger Federer del tempo. Quando morì, gli dedicò un’appassionata biografia di 300 pagine, intitolata semplicemente ‘Captain Antony Wilding’, che uscì nel 1916, in pieno conflitto mondiale e resta una delle sue opere più importanti.
Norman Brookes, che divenne uno dei massimi dirigenti del tennis mondiale, nel 1950 azzardò una sua classifica dei più grandi di sempre e mise Wilding al quarto posto, dietro a Bill Tilden e ai fratelli Reggie e Laurie Doherty, dominatori del gioco nei primi 10 anni del Novecento.
L’immagine di Wilding semisdraiato sull’erba di Wimbledon che chiacchiera amabilmente con l’ex Primo Ministro inglese, il Conte Arthur Balfour, può aiutare a farsi un’idea della popolarità e del prestigio di questo campione di un’epoca lontana.
La foto accanto alla sua motocicletta può farci tornare con la fantasia a quella dimensione romantica e avventurosa del nostro sport, ormai lontana e rievocata da poche immagini sbiadite in bianco e nero. Ancora capace di emozionare quando ci si immerge nelle storie dei suoi protagonisti, precursori dei miti di oggi.
Gilles Muller: 37. Giocatore mancino, nato in Lussemburgo nel 1983 e ritiratosi alla fine del 2018, è stato uno degli ultimi interpreti del tennis votato all’attacco, alla conquista della rete. Ha raggiunto il suo best ranking, n.21 del mondo, nell’estate del 2017 quando aveva già 34 anni. In quella stagione si aggiudicò i suoi unici due titoli Atp: il primo a Sydney sui campi duri australiani, il secondo a Rosmalen, sull’erba olandese. Di quel 2017 rimarrà però memorabile soprattutto la sua prestazione a Wimbledon dove raggiunse i quarti di finale battendo negli ottavi Rafael Nadal al termine di un match combattuto fino al quinto set e durato 4 ore e 48 minuti: 6–3, 6–4, 3–6, 4–6, 15–13 fu il punteggio finale
Evgeny Donskoy: 30. Giocatore russo, nato a Mosca nel 1990, è attualmente n. 115 della classifica mondiale. Vanta un best ranking di n.65, raggiunto l’8 luglio del 2013, dopo aver raggiunto i quarti di finale al torno Atp sull’erba di s’Hertogenbosch ed essere entrato per la prima volta nel tabellone principale di Wimbledon.
Di lui si ricorda soprattutto la vittoria al primo turno del torneo di Dubai del 2017 su Roger Federer. Si impose 3-6 7-6 7-6, dopo essere stato in svantaggio 2-5 nel terzo set e 1-5 nel tie-break decisivo.