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Eventi internazionali

Il trionfo del '76 travagliato prima e dopo

In occasione del centenario dell’Italia in Coppa Davis ripercorriamo, con cadenza settimanale, tutti i giovedì fino all'8 settembre, la storia del tennis nostrano attraverso i grandi eventi del tennis azzurro e i personaggi cardine delle varie epoche, che hanno caratterizzato anche le squadre nella massima competizione mondiale per nazioni del nostro sport

di | 28 luglio 2022

Questa puntata è dedicata al trionfo azzurro del 1976 che resta unico ed è tornato attuale sulla scia del film e della fortunata serie tv “Una squadra” e del Rinascimento del tennis maschile del nuovo quartetto Berrettini-Sonego-Sinner-Musetti che fa sperare concretamente e in tempi brevi in un altro urrà.

Quel trionfo resta unico e storico non tanto agonisticamente parlando perché l’Italia era nettamente favorita in finale sulla superficie migliore, la terra rossa. Italia che, ricordiamo, era Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli. Ciò giocatori che hanno formato una squadra estremamente omogenea, con ottimi singolaristi più il jolly del veloce - “non chiamatemi riserva” come sosteneva a muso duro, “Zuga” -, e il doppio stellare dei due amici Adriano & Paolo.

Garantendo una situazione ideale che solo Stati Uniti e Australia, in quegli anni, e più avanti Svezia e Francia avrebbero assicurato. Giocatori capaci di arrivare di lì a poco, al numero 4 del mondo, Panatta, al 7, Barazzutti, al 12, Bertolucci e al 27, Zugarelli. Giocatori maturi sotto tutti gli aspetti fisici, atletici, tattici e caratteriali, che “il sor” Mario (Belardinelli) allenava e preparava al meglio al futuristico centro tecnico federale di Formia proprio per i tre grandi obiettivi di quel tennis: Davis, Roma e Roland Garros. Giocatori che avevano vinto in pratica la Coppa nel turno precedente, nella semifinale contro l’Australia a Roma, battendo John Newcombe in singolare e soprattutto dominando il doppio Newcombe-Roche, aggirando l’insuperabile bau-bau John Alexander.

Garantendo una situazione ideale che solo Stati Uniti e Australia, in quegli anni, e più avanti Svezia e Francia avrebbero assicurato. Giocatori capaci di arrivare di lì a poco, al numero 4 del mondo, Panatta, al 7, Barazzutti, al 12, Bertolucci e al 27, Zugarelli. Giocatori maturi sotto tutti gli aspetti fisici, atletici, tattici e caratteriali, che “il sor” Mario (Belardinelli) allenava e preparava al meglio al futuristico centro tecnico federale di Formia proprio per i tre grandi obiettivi di quel tennis: Davis, Roma e Roland Garros. Giocatori che avevano vinto in pratica la Coppa nel turno precedente, nella semifinale contro l’Australia a Roma, battendo John Newcombe in singolare e soprattutto dominando il doppio Newcombe-Roche, aggirando l’insuperabile bau-bau John Alexander.

Garantendo una situazione ideale che solo Stati Uniti e Australia, in quegli anni, e più avanti Svezia e Francia avrebbero assicurato. Giocatori capaci di arrivare di lì a poco, al numero 4 del mondo, Panatta, al 7, Barazzutti, al 12, Bertolucci e al 27, Zugarelli. Giocatori maturi sotto tutti gli aspetti fisici, atletici, tattici e caratteriali, che “il sor” Mario (Belardinelli) allenava e preparava al meglio al futuristico centro tecnico federale di Formia proprio per i tre grandi obiettivi di quel tennis: Davis, Roma e Roland Garros. Giocatori che avevano vinto in pratica la Coppa nel turno precedente, nella semifinale contro l’Australia a Roma, battendo John Newcombe in singolare e soprattutto dominando il doppio Newcombe-Roche, aggirando l’insuperabile bau-bau John Alexander.

A Santiago, contro gli onesti Patricio Cornejo e Jaimen Fillol, il 3-0 era assicurato già in partenza e così fu. Fillol, emozionantissimo, strappò un set di speranza a un Barazzutti ugualmente bloccato, ma l’1-0 del “soldatino” azzurro, il solido, affidabile, Corrado lanciò l’istrionico, appassionante, fenomeno di Panatta nei tre facili set del secondo singolare e il doppio azzurro, Bertolucci & Panatta, pur concedendo un primo set ai padroni di casa e soffrendo un po’ la tensione davanti a un traguardo coì importante, siglò per 3-6 6-2 9-7 6-3 il punto decisivo. Anche se il punteggio che è andato alla storia è 4-1 dopo gli ultimi due inutili singolari.

La partita vera l’Italia l’aveva giocata prima e fu giocata in realtà dopo. Con un durante, in parallelo, la spruzzata di color rosso, voluta da Panatta, che convinse Bertolucci a giocare con la maglietta di quel colore “per provocazione” nel paese soffocato dal nero del regime totalitario imposto dal generale Pinochet. Il prima, la vigilia, fu travagliata, rovinata dall’amletica domanda: sì o no? Andare o non andare in Cile? Al dittatore Pinochet fa più male lo schiaffo di un rifiuto o fa troppo bene un successo immeritato?

L’Italia era divisa, come sempre, come sarebbe successo anche in futuro su tanti altri temi. Con la domanda principe che aleggiava suprema nell’aria: lo sport deve o non deve restare fuori dalle questioni politiche e sociali? La partita che fu giocata dietro le quinte dall’allora PC e da Mosca e dalle altre forze politiche fu vinta, infine, dal buonsenso, con gli uffici del capitano non giocatore, Nicola Pietrangeli, che lottò strenuamente in tutti i consessi per portare la sua squadra a vincere la mitica coppa Davis. Il dopo, il rientro furtivo degli azzurri in patria, per paura della reazione della gente, il trionfo nascosto a dispetto dei bagliori di quella, prima, storica, coppa, sono stati parzialmente riscattati dalle celebrazioni di 46 anni dopo. Un revisionismo che ravviva quel sorriso sarcastico che caratterizza da sempre i volti e le storie di tutti e quattro i Moschettieri azzurri.

“Una squadra”, appunto.

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