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Eventi internazionali

Due anni di pandemia e il tennis come cura

Era il 23 febbraio del 2020 quando - per la prima volta - il tennis si dovette fermare per via della pandemia. Accadde a Bergamo, città simbolo della tragedia del Covid. A due anni di distanza, mentre cominciamo a ipotizzare un ritorno alla normalità, ripercorriamo gli ultimi 24 mesi, con il tennis come filo conduttore

di | 23 febbraio 2022

Il giorno impresso nella memoria è quello di domenica 23 febbraio 2020: per la prima volta nella storia, un torneo di tennis si deve fermare a causa di una pandemia. Succede a Bergamo, il torneo è il Challenger che va avanti dal 2006 senza interruzioni, e che quel giorno vive il suo momento più buio, insieme alla città maggiormente colpita, in Italia, dall'incubo Covid. 

Un anno prima, quell'evento lo aveva vinto Jannik Sinner, due anni prima aveva trionfato Matteo Berrettini. Sembrava un torneo portafortuna. Poi arriva quel 23 febbraio e il mondo viene sconvolto. Al palasport cittadino, l'ucraino Illya Marchenko e il francese Enzo Couacaud non vengono nemmeno fatti scendere in campo a porte chiuse. La paura è troppa, c'è da chiudersi in casa e provare a capire un nemico di cui ancora non si conosce nulla.

Da quel giorno sono passati due anni, e forse solo adesso cominciamo a vedere la luce in fondo al tunnel di uno degli eventi più sconvolgenti per l'intero pianeta, in anni recenti. Una pandemia che ha impattato in maniera pesante su ogni aspetto della vita, sport compreso. Con il tennis che – a livello professionistico come tra gli amatori – ha pagato un duro prezzo.

LO SHOCK DI INDIAN WELLS

L'episodio di Bergamo, per alcuni giorni, rimase un caso isolato. In tutto il mondo, il circuito stava continuando senza particolari problemi e senza porsi troppe domande. In quella stessa settimana del Challenger orobico, vennero portati a termine regolarmente gli Atp di Rio, Marsiglia e Delray Beach.

Non solo. Anche la settimana successiva si sviluppò senza difficoltà, tra Dubai, Acapulco e Santiago. Il virus sembrava ancora – alla maggior parte del mondo – un qualcosa di controllabile, non così urgente. Mentre in Italia avevamo già capito in maniera drammatica, sulla nostra pelle, l'entità del problema.

L'incontro di Davis con la Corea del Sud, a Cagliari, il 6 e 7 marzo, andò in scena sì ma senza pubblico. Le tribune vuote erano il segnale che qualcosa stava per cambiare per tutto il circuito, non solo per il nostro Paese. Il 9 marzo del 2020, in Italia veniva annunciato il lockdown.

Lo stesso giorno, gli organizzatori di Indian Wells comunicavano che il loro torneo sarebbe stato cancellato. Bastarono poche ore, da quella notizia shock, per far fermare tutto. Chiuse il circuito Atp, chiuse il circuito Wta, chiusero tutti i tornei Itf. Il mondo – tennis compreso – fu costretto a barricarsi in casa.

Quello che accadde in quei mesi ce lo ricordiamo tutti, ognuno con le proprie memorie intime, che raccontano di storie difficili, di amici o parenti che non ci sono più o che ce l'hanno fatta dopo una battaglia terribile e complicata. Il tennis – sport sicuro per eccellenza – riprese prima degli altri a darci speranza, a riportarci fuori casa, a farci respirare libertà. I vaccini non c'erano ancora, ma con molta attenzione in ogni movimento e con un po' di malcelata paura riuscimmo a riprendere confidenza con la racchetta.

LA RIPRESA NELLA BOLLA

Anche il circuito internazionale riuscì a ripartire, dopo aver perso per strada quasi sei mesi. Il 22 agosto del 2020, a New York, venne creata la famosa bolla che consentì di mandare in scena prima il 1000 originariamente previsto a Cincinnati, poi gli Us Open.

Fu un atto di coraggio dell'intero mondo della racchetta, che tornò a esibirsi all'interno di stadi tristemente vuoti. Eppure fu un inizio, una piccola luce accesa che permise di riaccendere anche una speranza di semi-normalità.

Dopo lo Slam della ripresa, altri tornei sospesi in precedenza furono rimessi in calendario in una nuova collocazione temporanea. Per esempio gli Internazionali BNL d'Italia, per la prima volta giocati in settembre, a fine estate e non in primavera.

Seguirono Amburgo e il Roland Garros, poi una manciata di appuntamenti indoor e le Finals di Londra, le ultime prima del trasferimento a Torino. Eventi sospesi tra la gioia di tornare e la tristezza di un silenzio innaturale persino per un mondo – quello del tennis – che nel silenzio ha costruito la propria storia. 

LE RIFLESSIONI E I RITIRI

Nella stagione più anomala e complessa da quando esiste il circuito, ci sono stati momenti di unione e di comprensione, ma pure di separazione e di sconforto. A dare speranza, il fatto che molti, nel mondo del tennis, si siano dimostrati pronti a ripartire anche senza garanzie, anche senza immaginare un futuro per il loro torneo.

Lo abbiamo fatto in Italia, mettendo in piedi in tutta fretta eventi Challenger e del circuito maggiore, ma lo hanno fatto pure altrove. E in questo modo si è riusciti per certi versi a fornire risposte concrete alle necessità dei tanti che col tennis ci vivono, e che durante la pandemia hanno meditato seriamente se continuare o meno.

Quel periodo di riflessione, peraltro, ha portato comunque a diverse decisioni drastiche, da parte di chi stava navigando a metà strada, tra coloro che possono ambire a entrare nei top 100 ma che poi devono fare i conti con una realtà complessa da gestire, settimana dopo settimana. 

Non è un caso che proprio tra il 2021 e l'inizio del 2022 siano arrivate diverse notizie di ritiri dal circuito, anche da parte di ragazzi tutt'altro che fuori tempo massimo per provarci. L'ultimo in ordine di tempo, il lombardo Roberto Marcora, 32 anni, best ranking di numero 150 Atp.

Nel 2021 siamo ripartiti coi vaccini, dunque con un alleato in più nella lotta al coronavirus, che nel frattempo abbiamo imparato a conoscere meglio e – seppur tra mille difficoltà – anche a gestire. Così pure il circuito è ripartito senza intoppi. Abbiamo persino ritrovato il pubblico, in certi casi addirittura al cento per cento.

Tra situazioni profondamente diverse da Paese a Paese, tra polemiche su vaccinati e non, tra decisioni prese all'ultimo momento, il tennis si è avviato verso una pseudo-normalità, pur mantenendo un ranking congelato per consentire una ripresa graduale a tutti i protagonisti.

IL TENNIS COME CURA

Nel frattempo, pure gli amatori, piano piano, avevano ripreso a frequentare i campi di tutta Italia. Anche nelle zone più colpite dalla tragedia del virus. Intervistato dal Corriere della Sera, il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto Mario Negri di Bergamo, ha confessato che nel momento più duro della pandemia si sfogò con un amico pronunciando queste parole: 'qui moriamo tutti'.

La percezione dei bergamaschi, durante quei mesi successivi al 23 febbraio 2020, era esattamente quella, mentre fuori si ascoltavano soltanto sirene. Per questo, aver ricominciato a pensare allo sport e al tennis è stato – in qualche modo – un antidoto alla sensazione di impotenza che piano piano ha preso tutti, nell'intero Paese come nella città che vide vincere Berrettini e Sinner in rapida successione. 

Già tempo prima, tuttavia, le due ragazze di Finale Ligure intente a palleggiare sui tetti delle loro case, Carola e Vittoria, erano entrate nelle nostre, di case, e ci avevano aiutato a capire proprio questo: che il tennis può essere non solo uno svago ma anche una cura. Può essere un modo per non arrendersi, dunque la migliore delle distrazioni di fronte a un problema così fuori misura, così incomprensibile.


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