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L'Italia alle Olimpiadi: molti rimpianti e quella medaglia di 100 anni fa

Bisogna tornare a Uberto De Morpurgo - Parigi 1924 - per una medaglia olimpica 'vera'. Anche se ci sono altri bronzi, tutti ex aequo, in tornei dimostrativi. Grazie a Nicola Pietrangeli, Paolo Canè e Raffaella Reggi

26 luglio 2024

Uberto de Morpurgo soprannominato

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Racchette azzurre e Giochi, un rapporto complesso? Confrontando la nostra bacheca olimpica con quelle di altri sport viene spontaneo rispondere di sì. Nel secolo abbondante trascorso dalle prime Olimpiadi dell’era moderna a oggi, l’Italtennis è riuscita ad appendere al collo qualche bronzo - spesso “con l’asterisco” - ma attende ancora il proprio trionfo.

È il risultato più lontano nel tempo l'unico fuori da ogni dubbio: il terzo gradino del podio su cui salì il barone Uberto De Morpurgo, esattamente cent'anni fa e proprio sulla terra rossa di Parigi, dove il team Italia torna in questi giorni. De Morpurgo, nato nella Trieste austriaca proprio nell’anno della rinascita dei Giochi Olimpici, si spinse fino alle semifinali di un tabellone a 92 partecipanti, tra cui i leggendari “moschettieri” René Lacoste, Henri Cochet e Jean Borotra. La sua corsa venne fermata dal poi campione Vincent Richards, ma De Morpurgo trovò riscatto nella finalina, superando proprio Borotra in un braccio di ferro terminato per 7-5 al quinto set.

Se nessun’altra medaglia ufficiale è stata addentata da allora è colpa anche della lunghissima assenza del tennis dal programma olimpico. Tra le discipline dei primi Giochi moderni ad Atene nel 1896, il tennis venne rimosso dopo appena sette edizioni a seguito di una disputa - non certo l’ultima - sulla definizione di “professionismo”. Da lì in avanti ha vissuto le sue trasformazioni parallelamente, venendo reintegrato in maniera completa soltanto a Seoul 1988. Oltre sessant’anni di vuoto che hanno inghiottito le speranze olimpiche di troppi italiani, primi tra tutti Adriano Panatta, Paolo Bertolucci e Corrado Barazzutti.

Una generazione dorata, quella degli anni Settanta, che all’Oro olimpico non poté purtroppo mai ambire. La speranza è che abbia fortuna maggiore quella contemporanea, eppure anche qui il tempismo torna tema caldo: il torneo olimpico si disputa soltanto ogni quattro anni, perciò è sufficiente un impreviso al momento sbagliato per ritrovarsi a pensare a una “prossima volta” molto lontana. Non è soltanto la storia di Jannik Sinner e Matteo Berrettini, ma anche di quella di Simone Bolelli, che a Rio 2016 avrebbe dovuto formare con Fabio Fognini una coppia con ambizioni di medaglia: invece, per Simone, ginocchio sotto i ferri ed estate da spettatore.

Paolo Canè intervistato sul campo, per la Rai, dall'indimenticabile Giampiero Galeazzi

Dal Brasile tornò deluso anche un altro doppio azzurro, quello formato da Sara Errani e Roberta Vinci. Le Cichis si erano riunite con l’obiettivo dichiarato di aggiungere l’Oro olimpico a un palmarès da cinque Slam, ma la loro strada si fermò ai quarti di finale come quattro anni prima a Londra, rimontate dal team ceco Safarova/Strycova. Le lacrime conclusero una storia che avrebbe meritato il lieto fine. A Parigi, Sara Errani avrà un’altra possibilità concreta insieme a Jasmine Paolini, insieme alla quale partecipò anche agli scorsi Giochi, quando la chimica di squadra non era ancora perfezionata.

Non resta dunque che fare il conto dei “quasi”, piazzamenti buoni seppur non immortalati nel medagliere. Al maschile spiccano i quarti di finale di Paolo Canè nel 1988 e di Renzo Furlan ad Atlanta nel 1996, col rimpianto dell'attuale coach di Jasmine Paolini, sconfitto da Leander Paes, entrato in tabellone grazie a una wild card. Una vittoria contro l’indiano lo avrebbe nel peggiore dei casi opposto, nella finale per il bronzo, a un altro avversario abbordabile, l’alternate brasiliano Fernando Meligeni. Degno di nota anche il terzo turno di Andrea Gaudenzi nella stessa edizione, col primo set strappato al favorito di casa Andre Agassi, che anni più tardi lo avrebbe ricordato come un “macho” nella sua autobiografia.

Nicola Pietrangeli (FITP)

Al femminile, altri tre ingressi tra le ultime otto, con Raffaella Reggi nel 1988, Francesca Schiavone nel 2004 ad Atene e Camila Giorgi nella scorsa edizione di Tokyo, disputata nell’estate del 2021. Vari anche i quarti delle coppie: oltre alla doppietta di Errani/Vinci, anche Rosetta Gagliardi e Giulia Ferelli nel 1924, Flavia Pennetta e Francesca Schiavone a Pechino 2008 e due volte ancora Vinci nel doppio misto, con Daniele Bracciali nel 2012 e con Fognini quattro anni dopo. Il ligure si fermò ai quarti anche nel doppio maschile insieme ad Andreas Seppi, ripetendo l’antico risultato di Cesare Colombo e del conte Mino Balbi di Robecco ad Anversa nel 1920.

I famosi altri bronzi, invece? Tutti ex aequo, in tornei dimostrativi. La prima volta ai Giochi di Città del Messico nel 1968, dove Nicola Pietrangeli - chi se non lui - raggiunse la semifinale nel secondo torneo di esibizione a Guadalajara. La seconda invece, doppia, nel 1984 a Los Angeles, col tennis in formato Under 21: i giovani Paolo Canè e Raffaella Reggi persero al penultimo turno dei rispettivi tabelloni, senza che fosse stata prevista una finale per il terzo posto. L’ennesimo incompiuto della storia del tennis italiano a cinque cerchi. E se significasse semplicemente che il bello deve ancora venire?

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