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Jennifer Brady ha centrato la prima finale Slam. Merito anche di Alison Riske, sua compagna di doppio, che nel 2019 l'ha convinta ad affidarsi a un coach full-time. E' il tedesco Michael Geserer che ha spiegato i suoi punti di forza in conferenza stampa alla vigilia della sfida per il titolo contro Naomi Osaka
di Dario Castaldo, da Melbourne | 19 febbraio 2021
Fino a 15 mesi fa vivacchiava nelle retrovie del tour, Jennifer Brady. In 11 partecipazioni Slam l’allora 23enne americana aveva vinto 10 partite e collezionato 5 eliminazioni al primo turno, firmato un paio di exploit isolati e poco altro.
La classifica rifletteva quell’essere un po’ carne e un po’ pesce: posizione numero 70, gradino più, gradino meno. Ma il salto di qualità non arrivava. “Non ero sicura di essere portata o di avere talento per il tennis – rivelerà poi – e non ero neanche innamorata di questo sport. Non sapevo se il mio futuro sarebbe stato questo”.
Incerta sulla direzione da imboccare, Jennifer chiede consiglio all’amica Alison Riske, che ha da poco raggiunto i quarti a Wimbledon ed è entrata tra le prime 20 del mondo.
“Perché non provi con un coach tutto tuo?” la risposta dell’ex compagna di doppio. Quello che per la maggior parte delle colleghe era l’ABC, da ottobre 2019 per Jennifer Brady si rivelerà la mossa del cavallo.
Cresciuta al college, formatasi assieme ai tecnici della USTA, la ragazza originaria della Pennsylvania concepiva il tennis come un team work, un lavoro di gruppo, e l’idea di legarsi a filo doppio ad un allenatore tutto suo era inconcepibile. A presentarla l’uomo che le cambierà tennisticamente la vita sarà proprio il coach della Riske, Billy Heiser.
Dall’agenda di Heiser spunta il nome di un tedesco dal volto rassicurante e dai modi educati: Michael Geserer. Un bavarese che ha collaborato con Kohlschreiber e ha portato la Goerges a ficcare il naso tra le top 10. E che poi ha messo anche lo zampino nelle finali Slam di Kevin Anderson, anche se apparentemente non se n’è accorto nessuno.
“È stato come un appuntamento al buio” ricorda lui, sorridendo. “Billy voleva aiutare Jennifer e aveva pensato a me. Ma a me non aveva neanche detto il nome della tennista con la quale mi suggeriva di lavorare. Ho dovuto studiarla attraverso alcuni video, e solo a quel punto mi sono detto ‘mi piace, credo di potermi identificare col suo gioco’. Dopodiché ci siamo visti a Pechino e l’incontro con Jennifer è stato interessante…. molto interessante…
"Mi hanno colpito immediatamente il suo coraggio, visto che prima di allora non ci eravamo neanche mai parlati, e la sua etica del lavoro, perché dopo la prima partita, anche se aveva vinto, siamo tornati subito in campo per migliorare alcuni aspetti del gioco che secondo me andavano rivisti. Lei ha accolto il suggerimento e io ho pensato ‘bello lavorare con una ragazza così alla mano’. Da quel momento in poi ho sempre scorto in lei l’atteggiamento giusto”.
La nuova Jen Brady è nata quindici mesi fa, con l’appuntamento al buio nella capitale cinese seguito dalla preparazione invernale in riva al Danubio, a Regensburg, l’antica Ratisbona, lontana dalla comfort zone a stelle e strisce.
Ma le fondamenta del castello, a sentire Geserer, erano già solide. “Posso dire che da allora tennisticamente è migliorata in tutti gli aspetti, ma è difficile dire se sia migliorata anche come persona. Perché come persona è sempre stata fantastica, anche prima che la incontrassi”.
Un esempio su tutti è fresco nella memoria. Arrivati a Melbourne, i membri del clan Brady hanno scoperto di essere finiti nell’aereo sfortunato, quello con un positivo a bordo. La preparazione del primo grande evento stagionale poteva essere condizionata in maniera irreversibile, eppure Jennifer non ha battuto ciglio.
“Quando abbiamo ricevuto la mail di Craig Tiley ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti che non avevamo alternative. Per fortuna ci avevano dato camere separate ma comunicanti attraverso una porta interna, per cui ci siamo ingegnati, abbiamo rovesciato un materasso contro il muro e Jen ha potuto sentire un po’ la palla per 14 giorni. Che poi sono diventati 15”.
Michael Geserer ricorda con aplomb invidiabile l’inizio della trasferta australiana, quando il caso avrebbe potuto mandare a carte quarantotto il primo Slam stagionale. Il coach tedesco della finalista degli Australian Open racconta la quarantena dura come se fossero le prime ore di una vacanza partita col piede sbagliato.
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“Ok, è stata una preparazione sui generis, ma dal primo momento abbiamo deciso di vederne gli aspetti positivi. Sicuramente col senno di poi il fatto che Jennifer abbia mantenuto il giusto atteggiamento senza mai lamentarsi di nulla ha aiutato parecchio" ha spiegato Geserer.
"Cosa rivela questo di lei? Che è una persona che sa fare i conti con la realtà delle cose, che accetta quello che accade e decide di affrontare tutto senza lasciarsi andare, senza raccontarsi che le cose negative accadono a lei. E questo è il suo modo di stare in campo. Se perde un punto, il suo primo pensiero è come affrontare quello successivo, quale posizione assumere alla risposta, come ribaltare una determinata situazione, come vincere lo scambio seguente”.
“Adesso Jennifer è sicura di sé, conosce le sue qualità, sa quanto il suo gioco può essere devastante e non vedere l’ora di giocare la partita contro la Osaka. Pensando, in fondo, che è una partita come un’altra e che ha tutte le carte per vincerla”. Atteggiamenti e pensieri che hanno portato la ragazza della porta accanto ad un passo dalla vittoria Slam e alle soglie della top 10.