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Intervista esclusiva al coach di Sinner dopo la vittoria nell’ATP 250 di Melbourne e alla vigilia del 1° turno degli Australian open contro il canadese Shapovalov. “Jannik è migliorato in tante cose e sta facendo esperienze fondamentali per il futuro, a partire dai 14 giorni di allenamento intensissimo con Nadal”. “I giovani devono capire che lo sport professionistico non è una vacanza
di Enzo Anderloni | 07 febbraio 2021
Jannik Sinner ha vinto il secondo torneo ATP consecutivo: dopo Sofia 2020 è arrivato Melbourne 2021 (il Great Ocean Road Open). Per un’impresa del genere da parte di un 19enne bisogna risalire al giovane Djokovic. O al giovane Nadal.
Non è stata una passeggiata: dopo due settimane di allenamento ad Adelaide (con Rafael Nadal e il suo team) i sette giorni della prima prova del “Melbourne Summer” hanno costretto l’azzurro, che da domani sarà n. 32 del mondo (nuovo best ranking), a una vera maratona.
Tra venerdì e domenica ha giocato 4 match: venerdì ha dovuto battere Aliaz Bedene neglio ottavi di finale e Miomir Kecmanovic nei quarti; sabato ha lottato tre ore per avere la meglio sul n. 20 del mondo Karen Khachanov. Nella finale vinta oggi contro Stefano Travaglia lo si è visto davvero provato sul piano fisico (come del resto il suo avversario, anche lui passato dai doppi turni di venerdì).
Per un ragazzo che non ha ancora finito di crescere sul piano fisico (nonostante l’accenno di barbetta rossa che si è visto in Australia) una bella montagna da scalare. Sapendo tra l’altro che domani cominciano gli Open d’Australia, la prova che conta davvero, e al primo turno gli tocca subito Denis Shapovalov, genietto canadese 21enne, già da quattro anni sul circuito e già piazzato al n.12 del mondo.
Paura? Per niente. Anzi. Ne abbiamo parlato con Riccardo Piatti, il maestro, mentore e coach che lo segue da quando aveva 12 anni e che è con lui a Melbourne insieme al fisioterapista e osteopata Claudio Zimaglia.
Riccardo, eri preoccupato oggi per come stava fisicamente Jannik? Sembrava molto provato già all’inizio della finale…
“Non ero per niente preoccupato. Jannik è un po’ affaticato ma va bene così. E’ giovane. La cosa che sta facendo bene sono proprio queste esperienze piuttosto dure. Gli sono servite, secondo me, molto le due settimane di allenamento con Nadal, uno che tutti i giorni, sta lì, sta lì, sta lì su ogni palla. Anche Jannik è sicuramente un grande lavoratore però ha potuto toccare con mano che uno come Rafa, che ha vinto 20 Slam, è ancora più lavoratore di lui”.
Quali sono le cose più importanti e più belle che gli rimarranno di quelle due settimane?
“Quando tu stai 14 giorni con un campione così, che lavora tanto, con tanta intensità, con tanta qualità, e sei un ragazzino di 19 anni che deve ancora cominciare, ti dici: è meglio che mi dia da fare. Anche quest’ultima settimana è stata molto dura per lui, perché un giorno ha dovuto giocare due partite, perché contro Khachanov ieri ha dovuto giocare tre ore, perché oggi era ancora più stanco e sa che domani dovrà giocare ancora. Però deve pensare che questa è, e sarà, la sua normalità. Parlando con Rafa abbiamo ricordato che nel 2005, quando aveva 19 anni, lui vinse la finale a Roma 7-6 al quinto battendo Guillermo Coria e la finale a Madrid 7-6 al quinto su Ivan Ljubicic. Ai giovani come Jannik mancano questo tipo di esperienze, perché vincendo una finale in quel modo impari mille cose, perché vivi 1000 situazioni. Quello che io cercherò di fare con Jannik, nei prossimi due o tre anni, è portarlo ad affrontare questo tipo di situazioni. Lui è bravo perché vuole venirci.”
Non avevi paura che si facesse male?
“Non ci devono essere preoccupazioni di questo genere se si lavora bene sotto tutti gli aspetti. Non devo averle io e non le deve avere lui. Questo è un percorso duro. Deve essere duro. E, più duro è, meglio è per lui”.
Quindi va benissimo che domani debba giocare contro Denis Shapovalov, grande talento, n.12 del mondo…
“Sì, sono contento che giochi domani e contro Shapovalov. Se poi tu questa domanda me la proponessi fra tre anni, la risposta non sarebbe la stessa. Perché fra tre anni faremo cose diverse con logiche diverse. Adesso è giusto che sia così”.
A proposito di fatica e di preservarsi, abbiamo visto ieri i forfait di Serena Williams e Vika Azarenka. La sensazione è che non abbiamo voluto spendere troppo alla vigilia del torneo…
“I loro casi sono completamente diversi da quello di Jannik. Jannik è un giocatore che deve essere costruito. Non è un giocatore fatto, con l’esperienza di una Serena Williams. Ha ancora tanta strada da fare e tante cose da mettere insieme. Quindi sono contento che debba affrontare situazioni impegnative”.
In questi giorni si è comportato davvero bene, ha sopportato la fatica, ha tirato fuori tutto quello che aveva…
“Sì, vedo tutto molto positivamente. Jannik comincia a capire molto meglio i diversi momenti della partita. E’ migliorato molto ma la cosa è emersa ancora a sprazzi. Si è visto molto con Bedene e con Kecmanovic. Anche con Khachanov, nel finale, si è visto questo livello più alto che è in grado di esprimere. Sempre a sprazzi però. Ha giocato anche un set di doppio di altissimo livello, il primo set, contro Herbert e Kontinen (in coppia con Hurkacz). Ha ancora alti e bassi, ma è normale che sia così. Però ci sono tante situazioni ‘molto giuste’. E’ tutto in costruzione. Ma rispetto anche solo alla vittoria di Sofia è migliorato sotto molti aspetti”.
Quali in particolare?
“E’ migliorato al servizio. E’ migliorato nel gioco al volo. Nell’interpretazione e nella gestione del punto. Sa quando difendersi e quando attaccare. L’ho visto migliorato e sta progredendo ancora. E’ chiaro che le vittorie gli danno sempre più fiducia. Ripeto: le tre settimane qui in Australia sono state durissime e lui le ha affrontate con l’atteggiamento migliore possibile”.
La presenza tua, ma anche del fisioterapista, Claudio Zimaglia, è stata fondamentale immagino, in questo periodo…
“E’ stato un periodo particolare, questo con tutte le restrizioni e precauzioni dovute al Covid-19. Da una parte ha creato tante difficoltà, dall’altra ha fatto sì che fossimo tutti molto concentrati sul tennis e stessimo molto uniti. Per uno come Jannik, che soprattutto in questi anni di formazione è meglio se può stare tranquillo, se non ha troppe persone intorno (giornalisti, ecc.ecc.), sono stati giorni di concentrazione, senza tante distrazioni”.
Quindi la quarantena ha avuto anche aspetti positivi?
“Beh, non avere troppa confusione intorno, tanti impegni extra tennistici da assolvere con la stampa o con gli sponsor, in certi momenti è meglio, perché sono cose che ti possono distogliere da quello che stai facendo. Jannik ha fatto le sue due settimane con Rafa, poi durante il torneo si è allenato bene con degli amici sparring australiani.. Con il Covid qui in Australia non è stato facile per nessuno. Jannik è stato in un gruppo con qualche comodità in più ad Adelaide. Ma penso che questa esperienza, per tutti i più giovani, sia stata utile per capire che fare lo sportivo professionista non è una vacanza. Devono metterci tanta attenzione. Allenarsi con lo stesso compagno per 14 giorni non è semplice quindi devi sapere trovare energie e motivazioni dentro di te. Le restrizioni che ci hanno imposto sono state una scocciatura però forse sono servite anche per crescere. Normalmente la vita del circuito maggiore oggi è molto più facile che in passato. Io mi ricordo che ai tempi di Furlan, Caratti, Brandi e Mordegan, il primo gruppo di ragazzi con cui ho girato a fine Anni Ottanta, inizio anni Novanta, non ci trattavano bene come oggi. Ogni tanto rimettere i piedi per terra non mi dispiace”.
Come vedi questi Australian Open?
“Va detto che l’organizzazione è straordinaria. Poveretti, riescono a fare delle cose pazzesche. Tipo fare il tampone a 510 giocatori in un giorno perché c’era un addetto positivo al Covid in albergo. E’ sempre un grandissimo torneo, con i soliti favoriti, da Nole a Rafa a Medvedev, che è molto “in fiducia”. I campi sono veloci man non eccessivamente. Ma la cosa straordinaria è che siano riusciti a metterlo in piedi in una situazione come dell’Australia che ha affrontato la pandemia con un rigore incredibile. Basti pensare che ci sono 30.000 australiani che non riescono a rientrare nel loro Paese e per farlo dovrebbero pagarsi il biglietto aereo (che costa tantissimo) e l’albergo per la quarantena che costa 3000 dollari al giorno. Hanno calcolato che per un cittadino australiano all’estero tornare a casa verrebbe a costare tra i 15.000 e i 20.000 dollari. I tennisti hanno avuto tutti il biglietto aereo pagato e in più avranno 100.000 dollari assicurati, che è il prize-money di chi perde al primo turno. Non deve stupire che la gente qui non abbia preso bene certi atteggiamenti dei giocatori. E che si pretenda che i tennisti rispettino le regole di sicurezza. A Melbourne non ci sono casi di Covid-19. A Perth c’è stato un caso nei giorni scorsi e hanno chiuso la città. A Brisbane una persona beccata senza mascherina a farsi una foto con Serena Willliams è stata spedita subito in quarantena. Sono durissimi gli australiani su queste questioni ma io li rispetto: sono a casa loro e devo rispettare le loro regole. Penso che sia giusto così”.