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Il francese ha giocato un gran match perdendo in quattro set contro Casper Ruud. E' la sua ultima partita in carriera. Al termine, l'ex numero 5 del mondo è stato celebrato con grande commozione
di Alessandro Mastroluca | 24 maggio 2022
"Oggi è un gran giorno, è arrivato il momento di dire addio al tennis. Mi sono battuto per essere il migliore possibile, non ero pronto a tutto questo amore". Jo-Wilfried Tsonga saluta così il suo sport, almeno in qualità di giocatore, e il suo pubblico. Ha giocato la sua ultima partita, sul Philippe Chatrier, al Roland Garros, davanti a tutta la famiglia, agli amici, a chi l'ha accompagnato in questo lungo viaggio.
"Comunque andrà, sarà una festa per me" diceva alla vigilia, in un'intervista pubblicata sul programma del torneo. Sperava di assaporare questo momento fino all'ultimo. Voleva provare tutto, sentire il gusto del fondo del bicchiere. Per tre ore e mezza, ha fatto sorridere e trepidare, come se il tempo non fosse passato. Poi però il suo fisico lo ha tradito un'ultima volta, prima del tiebreak del quarto set contro Casper Ruud, numero 8 del mondo.
Pur sconfitto 6-7(6) 7-6(4) 6-2 7-6(0), Tsonga ha giocato il suo tennis migliore, ha finito con le lacrime agli occhi per tutti gli ultimi punti, e con uno sbuffo di terra rossa sulla fronte, perché si è inginocchiato a toccarla per un'ultima volta, mentre Ruud lo abbracciava sotto rete dopo il match point.
In quell'abbraccio c'era l'omaggio dei tennisti, dei tifosi, degli appassionati, di tutti, a un giocatore per cui è impossibile non provare simpatia.
Per lui sul Philippe Chatrier sfilano poi tutte le persone che hanno avuto un ruolo nella sua carriera, dai maestri al padre, alla madre, al fratello, tutti con la stessa maglietta bianca e la scritta "Merci, Jo" ("Grazie, Jo").
"In tutti questi anni, qui il pubblico sullo Chatrier, sul Suzanne Lenglen mi ha sempre spinto in maniera fantastica. Sono fiero del mio percorso al Roland Garros" diceva prima del match.
"Volevo poter decidere io il momento in cui lasciare, non che fossero le circostanze o il mio corpo a imporlo. Desideravo prendermi il tempo di gustare il momento" diceva prima della partita, trasformata in tributo dal primo all'ultimo punto. Dopo il primo set, che Ruud ha affrontato con umana tensione, sembrava davvero che il tempo per una volta si fosse fermato. In fondo dal 2018 ad oggi, Tsonga ha giocato una sola stagione che possa definirsi completa, il 2019 in cui ha vinto 33 partite e ne ha perse 19 e festeggiato gli ultimi titoli ATP a Montpellier e Metz.
Il Roland Garros è sempre stato un torneo speciale per il francese, ex numero 5 del mondo, due volte semifinalista (nel 2013 e nel 2015), a cui aggiunge i quarti del 2012, gli ottavi del 2009, 2010, 2014.
Numero 5 del mondo per 12 settimane nel 2012, Tsonga è uno dei cinque francesi capaci di salire in Top 5 nel ranking ATP nell'era Open dopo Yannick Noah, Henry Leconte, Guy Forget, Cedric Pioline e l'attuale capitano di Coppa Davis Sebastien Grosjean.
Amatissimo dal pubblico di casa, ha vinto davanti ai suoi tifosi dieci dei suoi titoli in carriera: quattro volte a Metz, tre a Marsiglia, una a Lione, Montpellier, Parigi-Bercy. Qui ha centrato il suo primo Masters 1000 in carriera, il più prestigioso dei suoi trionfi. Ne seguirà un secondo, a Toronto 2014, torneo memorabile in cui ha battuto Novak Djokovic, Roger Federer e Andy Murray.
Contro i big si è spesso esaltato, quando i tifosi gli cantavano "Tsonga boumaye" facendo il verso al celebre coro per Muhammad Ali a cui è stato spesso accostato per un'innegabile somiglianza. Quel coro ha scandito il combattimento di pugilato forse più famoso del mondo, "Rumble in the jungle", la "Rissa nella giungla" contro George Foreman per il titolo dei pesi massimi a Kinshasa, capitale dello Zaire, nel 1974.
Spostato nel principale teatro francese dello sport più vicino alla boxe senza contatto fisico, ha accompagnato le partite migliori del sorridente Tsonga, l'unico oltre a Del Potro e Murray ad aver sconfitto almeno una volta tutti i Fab 3 - Djokovic, Federer e Nadal - quando occupavano la posizione di numero 1 nel ranking ATP. E uno dei tre, con Berdych e Wawrinka, ad aver sconfitto tutti i membri dei Fab 4 (ovvero i tre grandi più Murray) almeno una volta negli Slam.
Campione potenziale mai del tutto realizzato, fisico da pugile ingentilito da un sorriso da pubblicità, ha raggiunto nel 2008 la sua unica finale Slam in carriera. Quella promessa di gloria è diventata un ricordo, un'etichetta di campione aspettato e forse mai del tutto arrivato. Ma non sono solo i numeri e i trofei a fare un giocatore, né a segnare la sua eredità. Non lo sono di certo nel caso di Tsonga.
"Avevo nove anni quando hai battuto Nadal in semifinale all'Australian Open. Allora ero triste, tifavo per Rafa. Poi ho avuto modo di conoscerti, sei un grande giocatore e una grande persona. Sei stato un esempio per tanti di noi" ha detto prima di lasciare il posto alla cerimonia per il saluto a uno dei francesi di maggior successo dai tempi di Yannick Noah.
Alla festa partecipano anche gli altri moschettieri moderni di un tennis francese in cerca di un difficile ricambio. Partecipano Richard GAsquet, Benoit Paire, Gael Monfils che infortunato ha dovuto saltare questa edizione del torneo, la prima senza teste di serie di casa nel singolare maschile negli anni Duemila.
Tsonga riceve anche i saluti e i complimenti dei Fab Four attraverso video-messaggi proiettati sugli schermi dello Chatrier. "Hai avuto una grandissima carriera, sei stato un fantastico ambasciatore per questo sport" dice Murray. "E' uno dei giocatori più carismatici che abbiamo avuto - spiega Djokovic -, ha aiutato tanto il tennis a guadagnare popolarità".
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