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Vademecum-tennis: tifiamo Italia così. Verso la Davis a Bologna e non solo

“Fatta l’Italia facciamo gli italiani”? Ecco come evitare le cattive reazioni degli ultimi giorni sulla super-prestazione di Sinner agli US Open. E far sentire ai nostri giocatori la nostra passione nel modo più caldo ed equilibrato

di | 13 settembre 2022

Dal Rinascimento al Risorgimento, siamo alla famosa frase di Massimo D’Azeglio: “Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli Italiani”. Che c’entra questo con racchette e palline? C’entra, c’entra, soprattutto pensando alla coppa Davis a Bologna. Perché, dopo la rinascita, dopo gli ultimi sensazionali risultati dal Roland Garros 2018 ad oggi, il tennis italiano maschile non è solo cresciuto in altezza, cioé risalendo al vertice con vittorie importanti nei tornei più importanti, con personaggi giovani, moderni e credibili, validi tecnicamente fisicamente e anche nel comportamento e negli esempi.

Coi successi Doc, ha richiamato masse sempre più ampie, ha allargato ulteriormente il bacino d’attenzione: come sempre, la qualità ha fatto, e farà sempre più, anche quantità, attenzione, eco e insieme, inevitabilmente, problemi. Come s’è toccato con mano agli US Open subito dopo la sconfitta di Jannik Sinner (già top ten e oggi numero 13 del mondo a 21 anni…) ad opera del più sensazionale giovane da Nadal in qua, il 19enne Carlos Alcaraz che si è giocato il numero 1 più precoce di sempre nella finale di New York contro Ruud.

Alcaraz-Sinner è stata una partita intensissima, la miglior partita dell’anno, applaudita ed elogiata da tutto il mondo dopo 5 ore e un quarto di un tennis appassionante, che l’altoatesino rubato allo sci ha perso per un solo punto. Un solo punto. Un rovescio sbagliato sul 5-4 del quarto set. Una prestazione che però, in Italia, sui social, anche da parte degli addetti ai lavori, è stata vissuta come negativa, fino ad arrivare alla bocciatura del più precoce e maturo tennista di vertice che il nostro paese abbia mai avuto.

FORZA SINNER! 

Battendo Alcaraz, Sinner avrebbe potuto anche vincere il primo Slam: pensate che lui non lo sappia, pensate che non ne soffra, pensate che non si chieda quanto tempo ci vorrà prima di assorbire la batosta ed avere magari un’altra occasione così importante?

Sinner deve migliorare nel servizio e in tutti i comparti della sua straordinaria macchina da guerra, a cominciare dal fisico: pensate che lui non lo sappia?

Ci sta provando ancor di più da gennaio, da quando ha lasciato - rischiando - la scuola, di Riccardo Piatti per affidarsi alla coppia Vagnozzi-Cahill, ma non può ancora mettere sempre tutti insieme i pezzi delle recenti lezioni. Perché noi, nel nostro quotidiano, ci riusciamo? Ci riescono i nostri figli a scuola?

Così, alle Davis Cup by Rakuten Finals Bologna, l’Italia fa un test anche al pubblico oltre che alla nazionale che parte con le legittime ambizioni di affiancare un nuovo trionfo a quello, unico, del 1976. E, se c’è un giocatore che deve assolutamente avvertire la passione e il calore del tifoso italiano è Jannik che arriva da New York con le orecchie basse e l’animo triste. Ma va abbracciato anche Matteo Berrettini che finora è stato talmente bersagliato dalla sfortuna da dover rinunciare ben due volte alla maglia della nazionale. E anche tutti gli altri, in modo equilibrato e appassionato, come si fa con i nostri figli che tornano a casa, senza stritolarli d’affetto e senza ricordargli le fresche ferite. Semplicemente, con amore.  

MEMORANDUM

La qualità maggiore degli alfieri del Rinascimento azzurro sta nell’umiltà, nella consapevolezza dei propri limiti, nella volontà di salire di livello, e quindi nella capacità di migliorarsi attraverso il lavoro quotidiano.

Quest’esempio non ha prezzo nello sport in generale e contraddistingue davvero tutti i ragazzi azzurri, da Berrettini a Sinner, da Sonego a Musetti, ai veterani Bolelli e Fognini, sì, anche i due veterani che alla coppa Davis di questa settimana a Bologna formano l’importantissimo doppio, i “Chicchi” - come si sono auto-definiti dimostrando  estrema autoironia - che potevano avere una carriera da singolaristi migliori ma  si stanno comunque impegnando e sacrificando, a 35 anni suonati, per esprimersi orgogliosamente al livello degli azzurri di punta.

Così come, in scia, avvantaggiati da quella straordinaria palestra che sono i tornei Challenger in Italia, stanno facendo i più giovani nella speranza di garantire quella scia duratura che i ragazzi di Formia campioni della coppa Davis nel 1976 e le formidabili ragazze delle 4 Fed Cup e dei 2 Slam non hanno saputo ottenere.

Matteo Berrettini in allenamento alla Unipol Arena di Bologna per le Davis Cup by Rakuten Finals (Foto Sposito)

VADEMECUM PER BOLOGNA

Piccoli consigli sull’uso del tennis italiano. Andiamoci piano con gli elogi più sperticati e totali, non giustifichiamo sempre tutto: un simile slancio eccessivo è la trappola più pericolosa che porta a farci scadere subito dopo nell’euforia più ubriacante e folle. Siamo tifosi, certo, ma non ciechi - anche i media, soprattutto i media - perché il passaggio successivo porta all’applauso all’errore dell’avversario (una volta assolutamente vietato). Ed è davvero odioso.

Ricordate? Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te! Cerchiamo di non schierarci per mera simpatia o per reazione, non facciamoci travolgere dall’emozione più totale che facilmente si trasforma in delusione e addirittura peggio, fino a farci sprizzare veleno contro gli idoli di un minuto prima.

Non guardiamo la pagliuzza nell’occhio altrui, nessuno è perfetto, anche i nostri eroi tennisti, ma pure i loro avversari. Basti guardare come Sinner ha tenuto botta ad Alcaraz battendolo già due volte e come l’anno scorso Berrettini abbia portato il primo italiano alla finale di Wimbledon e abbia perso negli Slam solo coi mostri Nadal e Djokovic.

Godiamoci il momento e quindi lo spettacolo, partecipiamo veramente all’essenza del gesto di questi nostri campioni, dopo anni e anni di delusioni e di vittorie a singhiozzo comunque a livelli inferiori. Ascoltiamo, chiediamo, informiamoci, cerchiamo di capire che una riga e un net - uno centimetro in più in meno - fanno la differenza fra vittoria e sconfitta, fiducia e sconforto, euforia e frustrazione nei protagonisti che in un microsecondo, sotto gli occhi di tutti, senza poter nascondere il loro io più profondo, devono prendere decisioni estreme.

Riguardiamoci “Match point” di Woody Allen, non per ridare un’occhiata a Scarlett Johansson, ma per carpire l’essenza di quella palla gialla che balla in aria prima di decidere se cadere di qua o di là e cambiare il destino. Ma non il nostro giudizio e la nostra corretta passione.

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