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Eventi internazionali

Coaching palese: istruzioni per l’uso di uno sport individuale che si fa in… 3!

Com’è cambiato il tennis con l’allenatore che può dare suggerimenti in diretta? Ecco le voci degli specialisti da Indian Wells

di | 13 marzo 2023

Com’è il tennis col coaching palese appena varato da ATP, WTA e tornei dello Slam? La testata USA tennis.com l’ha chiesto ad alcuni noti allenatori statunitensi durante Indian Wells interrompendo il coro dei “Com’on”, servi sull’angolo, servi al corpo, quando vai profondo stai lì, finisci il colpo” da parte dei megafoni umani - come i quarteback della NFL - che si fermano in un angolo del campo e mandano continui messaggi ai giocatori molto più diretti che in passato, quando un solo “Let’s go” gridato era un invito a tirare di dritto e due suggeriva a cercare la soluzione di rovescio.

Per non parlare dei mille segnali inventati dai mitici Pato Alvarez e Ion Tiriac, toccandosi il volto, alzando un braccio indicandosi la  pancia o altre parti del corpo, naso compreso. E dei controllori che il governo del tennis sguinzagliava inutilmente per limitarli.

CO-PROTAGONISTI

Lo sport individualistico per eccellenza, quello che insegna a risolversi i problemi da soli, è cambiato per sempre. In peggio pensiamo noi, anche se ormai la diga della tradizione è crollata. “Adoro quando posso avere più effetto sul risultato”, proclama Dean Goldfine, coach di trentennale esperienza con Todd Martin, Sebastian Korda e ora Ben Shelton.

Quando si va in campo, si crea troppa drammaticità”, sostiene Craig Kardon, storica guida di Martina Navratilova e poi di Coco Vandeweghe, Mary Pierce ed altre ancora. “È molto più efficace dare suggerimenti da bordo campo. Non hai le lunghe conversazioni che intraprendi quando raggiungi il giocatore”. Anche se ovviamente l’ideale resta il coaching da capitano di Davis e Fed Cup. “E il sistema più funzionale”, puntualizza Brad Stine, che ha allenato Jim Courier, Kevin Anderson e ora sta portando in alto Tommy Paul.

Puoi parlargli a ogni cambio campo, sei seduto accanto e stai davvero nel match”. Anche se sui campi più grandi la comunicazione diventa molto più complicata: “Devo proprio strillare”, si lamenta Goldfine.

 

SCUOLE DIVERSE

Non è solo importante il messaggio ma anche il momento e il modo in cui si trasmette. C’è chi non ama il coach che parla di continuo come una radiolina, punto dopo punto, c’è chi si ribella se il messaggio è secco, come un ordine, peggio ancora se poi non funziona subito alla prova dei fatti.

L’importante è essere sempre positivo, ma a volte puoi rilassare il giocatore parlando di altre cose come il programma per la cena. Devi conoscere il tuo giocatore ma, soprattutto, devi riassumere in 30 secondi di opportunità: rapido, diretto, efficace”, spiega Kardon. E comunque i segnali restano attuali. “Io ho sempre avuto la mia terminologia, che sia muovere i piedi o attuare una tattica”, confessa Stine. 

 

Il futuro, nell’eccellenza, vedrà magari super-coach che trasmettono messaggi ai giocatori via auricolare. “Ma io direi solo a livello pro, come nel baseball dove la Lega ha i bats di legno e gli altri d’alluminio”, suggerisce Stine che difende le prerogative della categoria, ma rifiuta la via dell’elettronica e quindi dell’esperimento provato alle Intesa Sanpaolo Next Gen Finals di Milano del pubblico che ascolta i dialoghi atleta-allenatore: "Lo scopo del coaching è quello di migliorare la qualità del giocatore non di intrattenere quelli che guardano la partita”. Di sicuro è tramontata la massima di Andre Agassi: "Il tennis è come la vita. Sono due persone che cercano di capire le cose”. Ormai sono almeno tre.


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