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Coppa Davis, finalmente il Cile non è più l'unico trionfo azzurro

Abbiamo aspettato 47 anni per vincere la Coppa Davis per la seconda volta. Questa squadra, come la grande nazionale che ha trionfato nel 1976, può portare il tennis verso vette di popolarità incredibili

26 novembre 2023

Gli azzurri festeggiano la Coppa Davis (Foto Sposito/FITP)

Gli azzurri festeggiano la Coppa Davis (Foto Sposito/FITP)

Finalmente Santiago del Cile non sarà più l'unica Coppa Davis nella storia dell'Italia. Non sarà più quello l'unico ricordo azzurro associato al trionfo nella manifestazione. 

Quando penseremo alla Davis, non avremo più in mente soltanto le immagini sgranate, i racconti incisi su disco, il racconto in differita di Guido Oddo per la Rai. Non dovremo tornare con la memoria a Nicola Pietrangeli ospite fisso e battagliero nei talk show della Rai per sostenere la necessità di giocare in Cile nonostante un clima politico contrario alla dittatura militare di destra del generale Augusto Pinochet.

Al trionfo azzurro in Coppa Davis non saranno più associate soltanto le note della canzone di Domenico Modugno che cantava contro l'insalata e l'insalatiera, le magliette rosse di Adriano Panatta e Paolo Bertolucci, le certezze di Corrado Barazzutti, le speranze frustrate di Tonino Zugarelli di essere impiegato di più dopo la grande prestazione in semifinale contro Roger Taylor sull'erba.

Vincere la Coppa Davis non sarà più associato, nei ricordi degli appassionati di tennis, al via libera di Ignazio Pirastu, responsabile sport del Partito Comunista, amico di Pietrangeli, né alle discussioni con Belardinelli, al suo malore della vigilia, a un ritorno in Italia senza clamori né applausi, alla notte che il capitano Pietrangeli passò con la coppa nel letto.

Quella squadra resta indimenticabile, fondamentale perché ha appassionato l'Italia al tennis, perché ha cambiato lo sport e l'economia in Italia come racconta Lello Cirillo nel libro "Quando il tennis fece boom".

Questa squadra lo sarà. E in fondo lo è già. Perché in tv Sinner fa ascolti degni delle partite della nazionale di calcio, perché la Gazzetta dello Sport oggi, nel giorno di Juve-Inter, dedica il titolo principale di prima pagina e le prime 11 pagine alla Coppa Davis. Perché cresce il numero dei tesserati, perché tanti che prima il tennis non lo guardavano adesso cominciano a non perdersi una partita.

Jannik Sinner, Lorenzo Musetti, Matteo Arnaldi, Lorenzo Sonego e Simone Bolelli, più Matteo Berrettini a Malaga solo da tifoso ma pur sempre primo italiano in finale a Wimbledon e capace di far aprire al tennis il palco del festival di Sanremo come aveva fatto Novak Djokovic, stanno cambiando il mondo del tennis in Italia. Lo fanno nel solco di chi ha aperto la strada negli ultimi anni nel tennis maschile come Fabio Fognini, primo italiano a vincere un Masters 1000 e primo a vincere, con Bolelli, una partita alle Nitto ATP Finals. Nel segno di Andreas Seppi, esempio di serietà che oggi si specchia nella cultura del lavoro di Jannik Sinner, scoperto da Massimo Sartori, storico coach di Seppi, e allenato da Simone Vagnozzi, che con lui ha lavorato.

 

Questi cinque ragazzi non hanno realizzato solo un'impresa sportiva. Perché sono grandi tennisti e soprattutto belle persone, come hanno più volte detto Filippo Volandri e il presidente della Federazione Italiana Tennis e Padel, Angelo Binaghi. Tutti per uno, uno per tutti, i moschettieri del tennis italiano dimostrano che un gruppo di amici può diventare campione del mondo. E rappresentano un esempio da inseguire per i bambini, e da presentare per le famiglie. Il tennis non è mai stato, si potrebbe dire, in mani migliori.

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