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La 27enne spagnola, che ha chiuso il 2020 al numero 44 del ranking mondiale, è anche medico e sta affrontando l'emergenza sanitaria in prima linea all’ospedale La Paz di Madrid: “Non avrei mai immaginato di trovarmi faccia a faccia con una pandemia così grave”
di Gianluca Strocchi | 18 gennaio 2021
In primavera aveva fatto parlare di sé per il suo impegno in prima linea nella lotta al Coronavirus, in un ospedale di Madrid, raccontando con un video pubblicato sulla pagina Facebook del World Padel Tour come è cambiata la sua vita. La spagnola Barbara Las Heras, 27 anni, che ha chiuso il 2020 alla 44esima posizione del ranking mondiale, è infatti medico all’ospedale universitario La Paz della capitale iberica, dove sta completando la sua specializzazione "in medicina fisica e riabilitazione" ma da diversi mesi ormai è chiamata ad affrontare l’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia che da quasi un anno ha sconvolto il pianeta.
Proprio per il suo ruolo di operatore sanitario nei giorni scorsi si è sottoposta al vaccino e ha “celebrato” questo momento postando una foto sul suo profilo Instagram. “È responsabilità di tutti sconfiggere questo virus. Io mi sono già vaccinata, e tu?”, il testo con cui accompagna l’immagine, per ricordare a tutti l’importanza della medicina e della scienza in questo particolare periodo all’insegna delle sofferenze e delle difficoltà, nel suo Paese come nel resto del mondo.
“Stiamo vivendo una situazione difficile, complicata, sconosciuta”, aveva sottolineato Las Heras nel video postato in primavera descrivendo la battaglia quotidiana contro il nemico invisibile, che migliaia di vittime sta continuando a mietere.
“Quando ho iniziato a studiare medicina sapevo che avrei vissuto momenti intensi, ma non avrei mai immaginato di trovarmi faccia a faccia di fronte a una pandemia, qualcosa di così grave e così globale come quella che in questo momento stiamo affrontando. Qui l'intero ospedale è stato ristrutturato per adattarsi ad assistere il maggior numero possibile di persone. Noi professionisti stiamo svolgendo dei compiti che in condizioni normali non eseguiremmo. Ci stiamo sacrificando come mai avremmo immaginato. Lavoriamo tutti uniti, remiamo tutti insieme verso un unico obiettivo, ed è quello che perseguo personalmente e che anche tutta la gente desidera. Anche io sto cercando di adattarmi il più possibile. In ospedale provo a dare il meglio di me, cerco di essere il più utile possibile e di offrire affetto e speranza. Dove sono? Dove capita. Lavoriamo nei turni di mattina, pomeriggio e sera, circa 60 ore settimanali. Molte volte sono all’ingresso delle emergenze. E, naturalmente, devi accogliere gli ammalati e i loro accompagnatori con un sorriso ed entrare in empatia il più possibile. Se sto piangendo molto? Beh, ci sono due tipi di lacrime: quelle dell'emozione, quando ci troviamo di fronte a molti pazienti, se vengono viste, le altre no, perché le conservo dentro, se ci riesco ovviamente”.