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Padel

La lezione di Juan Martin Diaz, un gigante della pala

Ai tempi in cui collezionava vittorie su vittorie insieme a Belasteguin, “El Galleguito” vedeva ogni sconfitta come un fallimento. Oggi, a 46 anni compiuti, riconosce i propri limiti e ha rimodellato gli obiettivi: “Essere ancora competitivo è già una vittoria. E sono certo che giocherò a padel per tutta la vita”

di | 07 ottobre 2021

Nel mondo del padel di oggi il termine leggenda è associato soprattutto a Fernando Belasteguin, che dopo aver vinto tutto continua a essere fra i primissimi del ranking a 42 anni compiuti. Ma buona parte della storia vincente di “Bela” non sarebbe stata scritta senza il suo compagno storico, Juan Martin Diaz, meno celebrato ma ancora nel giro grosso a 46 anni compiuti.

“El Galleguito” non vince più come un tempo, ma si mantiene fra i primi 30 della classifica (attualmente al numero 26) e incanta ancora per talento, imprevedibilità e soprattutto quei riflessi che l’hanno reso celebre fra gli appassionati di tutto il mondo. I traguardi del duo Belasteguin-Diaz sono conosciutissimi: sono stati la coppia numero uno del mondo per 13 anni consecutivi, dal 2001 al 2014, vincendo 170 finali delle 191 disputate e riuscendo nel loro percorso a restare imbattuti per 1 anno e 9 mesi (23 tornei di fila).

Risultati impensabili nel padel equilibratissimo di oggi, ma che fino a qualche anno fa erano la regola e valgono al mancino di Mar del Plata il ruolo di numero due di tutti i tempi, alle spalle del solo Belasteguin.

Diaz e Belasteguin ai tempi d'oro: insieme hanno vinto 170 tornei

Le strade dei due giocatori più vincenti di sempre si separarono agli albori del World Padel Tour come lo conosciamo oggi, al termine dell’ennesima stagione (2014) chiusa in vetta alla classifica. All’epoca i due avevano un accordo per giocare insieme anche l’anno seguente, ma si accorsero che iniziava emergere qualche segnale di incompatibilità, così prima di rischiare di rovinare il rapporto umano decisero di dividersi.

Un po’ come successo di recente a Belasteguin con Sanyo Gutierrez, dal quale ha detto di essersi separato proprio per evitare di compromettere il rispetto reciproco costruito negli anni.

Il problema, per Diaz, è che dal momento del loro addio “Bela” è rimasto ai vertici vincendo altri 35 tornei con Pablo Lima, e poi trovando la via del successo anche con Tapia e Sanyo. Lui, invece, ha vinto soltanto il Master Final del 2015 con Maxi Sanchez e poi più nulla, dovendo anche fare i conti con ripetuti problemi fisici. Eppure non ha mollato di un centimetro, nemmeno quando fra 2019 e 2020 la seconda operazione al ginocchio l’ha tenuto lontano dal circuito per la bellezza di 405 giorni. Alla sua età è un’eternità, ma pian piano ha ripreso a lavorare con la stessa voglia degli anni d’oro, rimodellando – saggiamente – i propri obiettivi in base alle sue attuali possibilità.

Una volta – ha raccontato in un’intervista col portale argentino Olè – giocavo per vincere i tornei, la soddisfazione me la dava solamente il risultato. Ma oggi non posso più lottare per vincere i tornei, e già arrivare ai quarti di finale è un bel traguardo. Quindi la mia lotta quotidiana è contro altre cose: lo scorrere del tempo, il mio corpo e la freschezza dei giovani. Non sono più il giocatore di vent’anni fa, il mio ginocchio non è lo stesso di allora e già riuscire ancora a competere a certi livelli è una soddisfazione. Essere capaci di accettare la propria realtà non è sinonimo di sconfitta. Tutti dobbiamo riuscire ad accettare ciò che non va, e sfruttare certi segnali per capire dove è possibile migliorare”.

Juan Martin Diaz, classe 1975: è stato numero 1 del mondo per 13 anni consecutivi, dal 2001 al 2014

Comprendere i propri limiti, e sapersi accontentare di risultati che un tempo sarebbero stati da buttare via, non è da tutti. E da parte di chi ha vinto quanto Diaz è una splendida lezione di sport. “In una certa fase della mia carriera – ha detto ancora – qualsiasi risultato che non fosse vincere il torneo mi sembrava un fallimento. Durante le partite riuscivo a mostrare comunque una pseudo tranquillità, ma fuori dal campo mi risultava davvero difficile calmarmi e tornare alla normalità dopo una sconfitta. Credo sia un comportamento comune a tutti coloro che nei rispettivi sport vincono molto. Mentalmente questa situazione generava una pressione che a volte diventava difficile da sopportare”.

Era come se fossero obbligati a vincere ogni singolo torneo, tanto che una volta Diaz arrivò a scusarsi con i propri sponsor perché per quattro tornei di fila lui e Bela mancarono la finale. “Mi sentivo in colpa, mi chiedevo perché mi pagassero malgrado perdessi, e se sarei più tornato quello di prima. Sono cattivi pensieri che ti passano per la testa quando vinci tanto, e ti possono mandare in crisi”.

Nei momenti più difficili l’ha aiutato la sola e semplice regola che l’ha accompagnato per tutta la carriera, ed è sempre stata alla base dei suoi trionfi: tenere i piedi per terra. “Come dice Pep Guardiola – ha aggiunto – troppi elogi indeboliscono. Per restare così a lungo al numero uno è importante non montarsi mai la testa, e continuare a sfidare se stessi ogni giorno, in ogni allenamento e in ogni partita”. Un approccio che l’ha aiutato anche a non scoraggiarsi quando, inevitabilmente, le fasi finali dei tornei ha iniziato a vederle dalla tv, e non più da dentro la gabbia insieme agli altri tre protagonisti.

Juan Martin Diaz con l'attuale compagno Pablo Lijo: hanno raggiunto i quarti a Valladolid e Malaga

Dopo aver giocato i primi cinque tornei del 2021 insieme a Coki Nieto, Diaz ha scelto di fare coppia con lo spagnolo Pablo Lijo, col quale lo scorso dicembre aveva vinto a Cagliari la prima edizione delle Cupra FIP Finals. Sono partiti forte con i quarti a Valladolid e poi si sono ripetuti a Malaga, mentre negli ultimi due tornei hanno collezionato un ritiro e un forfait, per un fastidio al menisco di Juan Martin. Ma adesso il problema sembra superato (anche se a fine anno Diaz dovrà sottoporsi a un intervento in artroscopia che richiederà un mese di recupero) e la coppia è tornata a competere e vincere a Minorca.

“Oggi non sono più io a decidere – ha scherzato l’argentino (che ha anche il passaporto spagnolo: il padre era galiziano) –, ma è il mio ginocchio. Però amo la competizione, e sono certo che continuerò a giocare a padel per tutta la vita. Sicuramente non nel World Padel Tour, perché fra non molto arriverà un momento nel quale a certi standard non riuscirò più a essere competitivo. Ma sul fatto che andrò a avanti a giocare ci metto la firma. Non importa se saranno tornei per veterani, gare a squadre o chissà cos’altro. Voglio solamente continuare a provare quell’adrenalina che solo una partita riesce a darmi”.

Una motivazione che lo accompagna da quando nel 1997 ha messo per la prima volta piede in Spagna per fare il professionista, e 24 anni più tardi è ancora la sua benzina. Più stimolante di una lista infinita di vittorie.

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