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Sorpresa Michelsen: "Sono il mental coach di me stesso"

L'ennesimo buon prodotto della scuola americana sta tentando (almeno) di ripetere l'avventura del 2024, quando a Melbourne arrivò al terzo turno per arrendersi ad Alexander Zverev

13 gennaio 2025

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La crisi di Stefanos Tsitsipas è ormai sempre più evidente. Ma stavolta vale la pena di leggerla dagli occhi di colui che l'ha sconfitto. Alex Michelsen è l'ennesimo buon prodotto della scuola americana e sta tentando (almeno) di ripetere l'avventura del 2024, quando a Melbourne arrivò al terzo turno per arrendersi ad Alexander Zverev. 

“Forse – dice Alex con un sorriso – l'Australia mi porta fortuna, visto che resta questo il mio miglior torneo dello Slam. Ci sono stati molti break e alcune volte il mio servizio mi ha tradito, ma ho risposto bene e mi sentivo spesso in controllo dello scambio. A un certo punto mi sono detto che l'unica cosa che contava era pensare a un quindici alla volta. È andata bene e sono contento di essere al secondo turno”.

“Sono cresciuto vedendo anche giocatori come Stefanos, ricordavo le sue finali Slam e il modo in cui aveva giocato contro Djokovic. Affrontare questi top player rappresenta qualcosa in più per un giovane come me, che può sentire il carisma di avversari del genere. Di certo c'è che sono numero 41 del mondo a 20 anni e questo è già un bel risultato. Non posso lamentarmi, anche se ovviamente non mi posso accontentare”.

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“Mental coach? Non ne ho, sono il mental coach di me stesso. Da piccolo mi capitava spesso di innervosirmi e lanciare la racchetta. Poi sono migliorato e per esempio contro Tsitsipas sono sempre rimasto molto composto. Ma non accade sempre, a volte mi capita ancora di non riuscire a restare concentrato per tutto il tempo che serve. Lo scorso anno credo di aver perso almeno 10 partite per questa ragione: sbaglio uno o due colpi ed è finita. Senza dubbio è un aspetto su cui devo migliorare e su cui sto lavorando. Perché lo faccio da solo? Perché sono uno che ama stare da solo”.

“La competizione fra noi americani? Non ci penso, onestamente. Anche perché Taylor (Fritz, ndr) è lontano e non arriverò in fretta a essere il migliore, suppongo. Quello che conta è arrivare al mio miglior rendimento”.

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Intanto, Iga Swiatek comincia la trasferta down under nel migliore dei modi, superando la numero 1 del mondo in doppio, la ceca Siniakova.

“Di certo non era il match più facile per cominciare – spiega la polacca – anche se mi è piaciuto il mio atteggiamento: nel secondo set ho fatto tesoro degli errori commessi nel primo e posso dire di aver giocato una partita solida”.

“Il coaching box? Finalmente, una buona soluzione. In passato capitava che la regola del coaching potesse essere sfruttata solo in stadi più piccoli, perché in questi così grandi è quasi impossibile ascoltare consigli dalla tribuna. In questo modo, chi trova utile ricorrere al consiglio del coach può farlo. Sì, credo che adesso la regola abbia finalmente un senso anche negli Slam”.

Inevitabile, per Iga, una domanda sulla vicenda della sospensione per la positività a una sostanza dopante.

“Cosa ho imparato? Che nella vita accadono situazioni fuori dal tuo controllo, che devi solamente imparare a gestire. Di certo non è stato un periodo facile ma ho senz'altro imparato qualcosa che mi tornerà utile in futuro. È stata una lezione di vita, per certi versi”.

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Insieme a Wimbledon, l'Australian Open è stato fin qui lo Slam meno fortunato, per la polacca.

“Abbiamo cambiato qualcosa nella preparazione perché c'è stato il cambio di coach – spiega – ma nulla di particolare rispetto al passato. Se non il fatto che stavolta c'è lo sparring partner con me nel team. Mantengo le aspettative basse perché so quanto questa superficie per me sia difficile da gestire”.

“Le teenager di oggi? Forse fanno più fatica a emergere perché hanno davanti a loro alcune giocatrici molto continue. Penso a me e Aryna (Sabalenka, ndr), per esempio: dunque se noi siamo nel draw, per loro ci sono meno chance. Inoltre il gioco è diventato più fisico e ci vuole più resistenza, oltre che esperienza. Ma in generale la transizione da junior a pro è sempre molto complessa. Per me è stato tutto sommato un passaggio che è andato liscio, ma so che normalmente è più complicato”.


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