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E' tutto vero! Sinner travolge Djokovic e va in finale

Sinner è il primo giocatore a battere Novak Djokovic in semifinale all'Australian Open. Ed è il quinto italiano in singolare maschile a centrare una finale Slam

di | 26 gennaio 2024

Il sorriso di Jannik Sinner (Australian Open)

Il sorriso di Jannik Sinner (Australian Open)

È troppo bello per essere vero, eppure è tutto meravigliosamente vero. Jannik Sinner porta l’Italia del tennis per la prima volta in finale agli Open d’Australia, regala a se stesso il primo atto conclusivo di uno Slam e offre ai tifosi del Bel paese un weekend inimmaginabile, nel quale il tennis azzurro può firmare una doppietta singolo-doppio attesa 65 anni. È troppo assurdo per essere vero, ma è incredibilmente vero anche lo score.

Non state ancora sognando: 6-1 6-2 6-7(6) 6-3, nella semifinale degli Australian Open 2024, nella tana di Novak, contro Djokovic in persona, annichlito in 3 ore e 22’ di gioco che sarebbero potute essere 2. Perché, ancor più del punteggio o del risultato, c’è stata una prestazione gigantesca. Per due ore la miglior partita mai giocata da un tennista italiano nella storia di questo sport. Del resto, dall’altra parte della rete c’era il piu vincente di sempre e questo serviva per batterlo sul suo impianto preferito.

Che Jannik potesse battere Nole era chiaro a chiunque lo avesse visto aggiudicarsi al fotofinish l’incontro nel round robin di Torino e a chi lo avesse visto annullare 3 match point a Malaga. Era chiaro a chi lo avesse visto arrivare ulteriormente maturato a Melbourne, anche dopo la off season più breve della sua giovane carriera. Era chiaro a chi lo avesse visto lievitare come una torta in forno, crescere come una quercia piantata su un terreno fertile, prendere velocità come una biglia su un piano inclinato, trovare risposte e soluzioni sempre più precise a problemi sempre più complessi, come una sofisticatissima intelligenza artificiale.

Che Jannik Sinner potesse battere Novak Djokovic era chiaro a chi lo avesse visto presentarsi in Australia su una nuvola e dominare i primi 5 incontri senza perdere un set, spazzando via avversari con una personalità disarmante, prendendoli per la gola con un break, puntuale, in avvio, per poi stritolarli gentilmente. Ma nonostante tutto è clamoroso il modo in cui Jannik ha trattato Nole, come se non fosse la sua seconda semifinale Slam (a fronte delle 48 del serbo), come se a contendergli un posto in finale ci fosse un van de Zandschulp, un de Jong o un Baez qualsiasi. Senza pietà.

Il primo passo per giocarsela con Djokovic è evitare di uscire battuti dagli spogliatoi, evitare che Nole scenda in campo con il mantello dell’invincibilità sulle spalle”, ci aveva rivelato l’ex pro australiano John Millman. Facile a parole, ma un motivo c’era se negli ultimi 5 anni nessuno da queste parti era riuscito a scalare la montagna serba, se a Melbourne il numero 1 del mondo si è portato a casa 33 partite consecutive, non aveva mai perso un match nell’ultimo weekend del torneo e se nella sua bacheca brillano 10 copponi intitolati a Noman Brookes. Eppure se c’era un giocatore in grado di spezzare l’incantesimo era l’edizione 2024 di Jannik Sinner. “La cosa più incredibile è che questo ragazzo non ha paura di nulla”, mi aveva detto un lustro fa uno dei suoi primi maestri. A distanza di 5 anni, qualche bug si è intrufolato nel sistema – si chiama vita - ma il ragazzino di Sesto Pusteria dalla zazzera rossiccia è diventato un giovane adulto, soprattutto un campione di tennis. E attorno alle sue eccezionali qualità si sono sviluppate più certezze che dubbi.

Australian Open, la stretta di mano tra Jannik Sinner e Novak Djokovic (Getty Images)

Il primo set era cruciale e Jannik lo sapeva: nella sua lunga parabola melbourniana, Novak aveva perso solo una partita dopo aver vinto il primo parziale – 10 anni fa nei quarti contro Wawrinka – a fronte di 87 vittorie. Simone Vagnozzi e Darren Cahill avevano inserito l’informazione nel computer e il risultato – per il serbo - era stato devastante. 6-1 in 35 minuti, nessuna palla break concessa dall’azzuro e il serbo costretto a commettere 9 errori nei primi 4 game (poi diventati 13 nei primi 6) nel vano tentativo di forzare la serratura del nostro.

Dopo un’ora, il tabellone segnava 6-1 4-2 0-30. Di fronte all’ennesimo gratuito e forse ad una condizione fisica non perfetta, il numero 1 del mondo piegava la testa, scuotendola sconsolato. Per la prima volta nel match Sinner allentava la morsa e concedeva tre punti consecutivi, Djokovic respirava, chiamava a raccolta il pubblico e decine di bandiere serbe sventolavano sulle tribune della Rod Laver arena, i cui spettatori intonavano il grido “Nole! Nole”. Anche i neutrali, se non altro perché con i biglietti a 450 dollari australiani ambisci legittimamente ad uno spettacolo che non offra i titoli di coda dopo un’ora. Nole annullava una prima palla break, ma non riusciva ad evitare l’ineluttabile: dopo un’ora e 13 il tabellone indicava 6-1 6-2. Per trovare una roba del genere bisognava tornare indietro al debutto australiano di Djokovic, nel 2005 contro Safin, a quando Jannik Sinner andava all’asilo.

Nel terzo set la sfida si riapriva per merito di un serbo meno falloso e per colpa di un altoatesino più umano, che nel primo game spediva in rete il rovescio che gli avrebbe potuto dare due palle break e che in generale non riusciva ad affondare il bisturi nella carne quando ne aveva la possibilità. Come sul 5-5 0-15, quando Jannik sbagliava un appoggio in avanzamento che avrebbe ipotecare l’incontro o come nel tie-break, quando dopo 2 ore e 27 il 22enne affossava in rete un dritto sul match point.

Djokovic rivedeva la luce e riusciva ad allungare la contesa al quarto set. In fondo, un modo per prolungare la sua agonia e per offrire un’oretta extra di spettacolo al pubblico, tra il quale lo stesso Rod Laver (i commentatori australiani lo chiamano The Man Himself, per far capire che si parla della leggenda del tennis, non dello stadio).

Ceduto il primo set del torneo, Jannik riprendeva il flo del discorso, dimostrando che si era trattato di un gesto di cortesia. Nel quarto gioco, con Nole al servizio sul 40-0, l’azzurro strappava applausi con un passante in recupero incrociato di dritto, un tocco alla Djokovic che invertiva l’inerzia del game e faceva esplodere il centrale di Melbourne Park. “Sinner! Sinner!” gridava il pubblico, come a voler restituire il sostegno privato al migliore dei due, come a certificare che il campo aveva emesso il suo verdetto. Oggi Jannik è più forte, onore a Jannik. Dal 40-0 al break in un amen, anche Djokovic ammetteva il k.o. Finiva 6-1 6-2 6-7 6-3.

Jannik Sinner esulta (foto Getty Images)

È presto per dire se siamo di fronte ad un passaggio di consegne: non lo era stata la vittoria di Jannik nel round robin di Torino, così come non lo era stata la finale di Wimbledon vinta da Alcaraz contro lo stesso Nole. Ma oggi la sensazione è quella: Novak Djokovic è stato sconfitto dalla sua versione 3.0, da un giocatore che serve piu forte, che picchia regolarmente con i due fondamentali da fondo e che non sbaglia nulla né tatticamente né nell’esecuzione. Che ti stringe nella sua morsa dal primo all’ultimo punto. E che per questo ti toglie la voglia di lottare. Sinner vola in finale: il major un tempo lontano è cosa nostra e l’Open d’Australia, il major un tempo più indigesto e inaccessibile è sempre più Happy per il tennis italiano.

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