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Il confronto di cartello di stasera sullo Chatrier propone l’ultimo francese in gara nel torneo dei francesi, un genietto mancino discontinuo ma pericoloso del tennis che si esalta davanti alla sua gente. Un’altra test nella crescita del Profeta dai capelli rossi nella corsa al numero 1
di Vincenzo Martucci | 02 giugno 2024
Sinner e Moutet. Il ghiaccio e il fuoco. La regolarità e l’imprevedibilità. Ilò tennis è bello anche perché propone, divisi da una rete ma armati di ugual racchette e sollecitati da medesime situazioni tecno, tattiche e mentali, stili e persone totalmente diverse. Il confronto di stasera sul Philippe Chatrier, cuore del tennis mondiale e cattedrale della terra rossa, nasconde anche altre micce: dallo sciovinismo francese, drammaticamente aggrappato all’ultimo giocatore di casa doc, il più inatteso nello squadrone schierato grazie alle wild card dal potente FFT e quindi fortemente sollecitato - si spera in modo corretta- dal facinoroso pubblico giacobino di Porte d’Auteuil -, alla sfida tecnica fra l’attaccante da fondo, evoluzione moderna, completa e fisica del regolarista, che si poggia sulla solidità dei colpi da fondo campo, e l’inventiva più pura di un mancino che non è classificabile come tipologia, se non sotto la voce: “esplosivo, maneggiare con cura”.
Da una parte, stasera, nel secondo match di cartello in “prime time” con un italiano in locandina, in un confronto peraltro inedito, ci sarà l’autocontrollo silenzioso, discreto ed elegante - alla Bjorn Borg - del 22enne altoatesino che sta scalando il numero 1 del mondo di Novak Djokovic, costruendosi pezzo dietro pezzo, giorno dopo giorno, e che con la sua flemma guida anche i ben noti ardori di un pubblico troppo propenso ad esaltare ed abbattere i protagonisti sportivi (e non solo).
Dall’altra, il mancino 25enne ribelle, cui la federtennis francese ha tagliato i fondi dopo mille follie in campo che hanno sfiorato la rissa, un ripeto talmente incontrollabile sul campo, fra servizi da sotto, a cucchiaio, anche a raffica, anche senza soluzione di sorta, e tagli continui alla palla che accarezza intingendola nel curaro per regalare l’avversario beffardi smorzate e micidiali ed insoliti cambi di ritmo, buttandosi a rete appena può.
Se decidessero i numeri, non ci sarebbe storia fra il solido, acclamato, ascendente, numero 2 del mondo e il 79 (record 51), fra chi quest’anno, come Corentin, arrivando a Parigi, aveva un bilancio di 6 vittorie e 7 sconfitte e chi, invece, come Jannik, è arrivato come un uragano al test-Slam sul rosso con 18-2 e il primo trionfo Slam in Australia. Senza contare l’anno scorso, che ha fatto da trampolino alle ambizioni massime dell’italiano e invece ha visto il francese, operato a gennaio al polso, affrontare un lungo e delicato recupero, durante il quale ha staccato una mano del rovescio, giocandolo a una sola.
Jannik Sinner esulta (foto Getty Images)
Il ghiaccio esteriore di Sinner nasconde un’eruzione continua di umanissime emozioni e di legittime aspirazioni in un’attività alla quale sta destinando tutte le sue energie ed il suo tempo, curando ogni aspetto di sé per il raggiungimento del traguardo cui nessuno tennista italiano è mai arrivato, il numero 1 del mondo. Il fuoco esteriore di Moutet esprime una realtà evidente di chi si mostra così com’è, e vive intensamente le situazioni, meglio ancora se davanti a un pubblico feroce e patriottico come sarà quello di stasera a Parigi.
Così, se i coach di Jannik, Vagnozzi & Cahill, si prodigano di complimenti per la dedizione l’attitudine, per la maturità e la consapevolezza del Profeta dai capelli rossi, e sono ugualmente contenuti e distinti nelle loro reazioni, la guida di Correntin, Petar Popovic, ex 411 ATP, di Novi Sad, già allenatore di Krajnovic, in tribuna sembra molto più un tifoso che un allenatore. “Siamo tutti e due molto emotivi. Ormai ci conosciamo bene, dopo questi 15 mesi insieme”. In campo litiga anche con Corentin, che a sua volta lo riprende e cerca di calmarlo: “Stai urlando come in uno stadio di calcio”, gli ha persino gridato in questi giorni a Parigi. Il problema è che Petar non sa come gestire il suo ragazzo: “Sul campo può essere un genio del tennis oppure cadere in una sorta di autodistruzione totale”. Come aiutarlo? “E’ sorprendente, può fare due-tre allenamenti terribili (eufemismo) e poi, subito dopo, altrettanti eccezionali, in certi momenti sembra che non migliori e non possa proprio riuscirci, mostrando limiti che sembrano invalicabili, e in altri invece si accende e va intravedere terreni di crescita inesplorati. Non parliamo dei tornei: nei Challenger è impossibile motivarlo per partite davanti a pochi spettatori: lui si carica d’adrenalina, perciò gioca sempre bene a Parigi e si esprime da top 10, mentre altrimenti può scadere al 500. Ha avuto una gran forza, dopo l’operazione, perché il polso si infiammava di continuo: fino ad ottobre pensavamo davvero che dovesse giocare ormai il rovescio a una sola mano. Però soffro tanto con lui, come se stessimo in campo insieme”.
Le coach de Moutet qui saute dans le public depuis le début du match j’ai jamais vu ça il régale ??#rolandgarros pic.twitter.com/mtegem8eU7
— Ilias ?? (@Laventuretennis) May 31, 2024