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Da Nicola Pietrangeli a Ilie Nastase, da Steffi Graf a Roger Federer, ecco i dieci momenti più curiosi nella storia di Wimbledon
di Alessandro Mastroluca | 29 giugno 2025
La storia di Wimbledon non è fatta solo di campioni e trionfi da record. Lo dimostra questa antologia di dieci momenti bizzarri, curiosi, inattesi. Lo "strano ma vero" Championships edition.
"Che meravigliosa partita ascoltatori italiani. Non ringrazieremo mai abbastanza i nostri giocatori per queste emozioni che ci offrono...". Ci sono 17,7 milioni di italiani, a notte fonda da noi, davanti alla tv quando Nando Martellini commenta così il gol di Gianni Rivera, il gol che conclude Italia-Germania Ovest 4-3, semifinale della Coppa del Mondo di calcio 1970. Tra quei 17,7 milioni di italiani non c'è Nicola Pietrangeli. L'icona del tennis italiano è fra gli oltre 100 mila che quella partita l'hanno vista allo stadio, l'Azteca di Città del Messico, dove una targa celebra quella semifinale come “La partita del secolo”. È andato in Messico in viaggio con sua moglie, e da appassionato di calcio, oltre che buonissimo giocatore, non si è perso l'occasione di assistere all'evento. Come tanti in Italia, non credeva che la nazionale azzurra potesse arrivare in finale. Finale che gli azzurri perderanno 4-1 contro il Brasile di Pelé. C'è un problema. Il giorno dopo la finale, Pietrangeli dovrebbe contemplare e calpestare altri prati, quelli di Wimbledon. Quel che succede dopo lo apprendiamo dal suo libro autobiografico scritto con Paolo Rossi, "Se piove rimandiamo".
Chiamai Londra e spiegai la situazione al giudice arbitro Mike Gibson: lo informai che sarei arrivato con un giorno di ritardo perché il volo Città del Messico-Londra faceva scalo a New York e lo pregai di non mettermi in campo. Lui fu comprensivo e mi garantì che avrei giocato il martedì. Perfetto.
Io felice e tranquillo arrivo il lunedì sera e mi recai al solito ristorante dove ci ritrovavamo noi giocatori. Lì incontrai un tennista jugoslavo, Boro Jovanovic che, vedendomi, strabuzzò gli occhi e mi chiese: che ci fai qui? Sai che ti hanno dato scratch? Non sei in tabellone". Non ci potevo credere! Il giorno dopo andai di corsa a Church Road per chiedere conto dell'accaduto a Gibson: "Mi dispiace, Nicola, il lunedì bisogna essere presenti".
La leggendaria carriera di Nicola Pietrangeli
Colpo di sonno
Dorothy Cavis-Brown è una donna elegante. Ha i capelli chiari, cotonati come si usava all'epoca, siamo infatti nel 1964. Indossa un trench, scarpe col tacco bianche. Nel momento di sua massima e involontaria celebrità, la vediamo con le gambe accavallate, le braccia incrociate sopra, e la testa reclinata sopra la spalla destra. Si è addormentata su una sedia. La sua sedia, quella di giudice di linea a Wimbledon. Sta arbitrando la prima partita della prima giornata di quell'edizione, sul campo 3, tra il sudafricano Abe Segal e lo statunitense Clark Graebner. Prima dell'inizio degli incontri si è svolto un abituale cocktail party, un piccolo benaugurante rinfresco, riservato agli ufficiali di gara.
Il primo ad accorgersene è Segal che, sul match point, si aspetta di sentirla chiamare fuori la volée di Graebher. E invece vede la sua testa andare parallela all'erba. “Sapevo che il mio tennis era noioso, ma non fino a questo punto” scherza. Dopo un primo infruttuoso tentativo di un raccattapalle, Robbie Thornton, le si avvicina, prova a rianimarla temendo un malore. Riesce a svegliarla, poi vincerà anche la partita e raggiungerà i quarti di finale. Per qualche giorno Cavis Brown non arbitrerà.
Conosciamo questa storia anche per la foto di Dorothy Cavis-Brown accasciata sulla sedia. L'ha scattata Arthur Sidey, per 46 anni al Daily Mirror, che in quel 1964 ha scattato un'altra foto celebre, forse la sua più celebre. È a Snetterton, un circuito del Norfolk dove il giornale per cui lavorava organizzava una gara per auto di Formula 1. Sidey è accovacciato in una buca quando Phil Hill esce di pista e gli vola sopra la testa. Sidey alza le braccia e scatta. Hill esce illeso, la foto riesce benissimo e il fotografo gli manderà un biglietto: “Siamo stati entrambi molto fortunati”.
Arthur Sidey's award-winning photograph of line judge Dorothy Cavis-Brown fast asleep at the end of a match on Court No. 3 at Wimbledon in 1964. She dozed as the contest concluded and, to general laughter, as the players left the court pic.twitter.com/MgCzcupwWu
— Historic Sports Pictures (@HistoricSports2) May 17, 2021
Ha un grande sogno, Hans Redl, giocare a Wimbledon. Ma c'è un problema: ha un braccio solo. Due proiettili dell'Armata Rossa l'hanno trafitto durante la Battaglia di Stalingrado (1942-43). Redl, tennista austriaco costretto a giocare per la Germania dopo l'Anschluss, l'annessione del 1938, sopravvive alla battaglia, una delle più importanti della Seconda Guerra Mondiale, in cui oltre un milione e mezzo di soldati restano sul campo, morti o dispersi. Nonostante l'amputazione del braccio, torna ad allenarsi per giocare a tennis come faceva prima della guerra.
Ci riesce, ma gli ostacoli non sono finiti. C'è una regola nel tennis in base alla quale nell'eseguire il servizio “il battitore lancia la palla in aria e la colpisce con la racchetta prima che tocchi il suolo. Il servizio si considera eseguito nel momento in cui il giocatore colpisce, sia che prenda la palla, sia che la manchi”. Hans Redl non può lanciare la pallina con la mano. Ma non si arrende. Nel 1947 va a Wimbledon due mesi prima del torneo, e chiede in tribunale una modifica del regolamento, e la ottiene a pochi giorni dalla chiusura delle iscrizioni. Redl debutta a Wimbledon. E gioca talmente bene da passare tre turni, battendo il britannico Archer, lo svizzero Ellmer, poi ancora un britannico, Slack, in cinque set. Perderà solo contro Bob Falkenburg, che nel 1948 avrebbe vinto il titolo.
Hans Redl reached the fourth round of Wimbledon despite having only one arm. pic.twitter.com/mxxjn44iY8
— FactBuffet (@FactBuffet) October 22, 2022
Vedere un giocatore scendere in campo a Wimbledon con pantaloni lunghi di flanella e una camicia bianca con i bottoni era normale negli anni della Belle Epoque, quelli dei gesti bianchi. Gli anni in cui il Lawn Tennis era associato a un'immagine di aristocratico divertimento. Non certo nel 1983, quando il tennis aveva abbandonato quel look, come le racchette di legno, le palline bianche e i retaggi del passato lontano. Eppure è così che Trey Waltke, 28enne da da St. Louis, Missouri, scende in campo per il primo turno di Wimbledon 1983 contro Stan Smith.
I giornali dell'epoca raccontano che i pantaloni li aveva comprati in un negozio di abbigliamento per il cricket. Prima del match ha chiesto a un rappresentante dei giocatori, Weller Evans, di incontrare il referee Alan Mills, per evitare problemi. Mills gli avrebbe chiesto solo: “I pantaloni sono bianchi o color crema?”. Ricevuta la conferma del colore, bianco come da regolamento a Wimbledon, Mills ha dovuto dare il suo ok. “Non vediamo problemi, anche se consiglieremmo al signor Waltke di scendere in campo con una divisa più convenzionale”. Waltke non lo fa. Supera il primo turno, perché Smith si ritira, prima di perdere al secondo contro Ivan Lendl.
Trey Waltke 1982 Wimbledon pic.twitter.com/WQnnInn7J2
— Jay Williams ???????????? ???? (@Jay_M_Williams) January 9, 2023