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Parola ad Angelica Moratelli, che in questa intervista racconta tutto. La trentina sta vivendo una seconda vita tennistica in doppio, dove ha conquistato ben 33 titoli (il primo nel lontano 2011), arrivando a vincere anche due Wta 125. Terza giocatrice d’Italia nel ranking mondiale di specialità alle spalle di Sara Errani e Jasmine Paolini, la 30enne è attualmente numero 70
02 marzo 2025
Messa da parte la carriera da singolarista, Angelica Moratelli sta vivendo una seconda vita tennistica in doppio, dove ha conquistato ben 33 titoli (il primo nel lontano 2011), arrivando a vincere anche due Wta 125. Terza giocatrice d’Italia nel ranking mondiale di specialità alle spalle di Sara Errani e Jasmine Paolini, la 30enne di Trento è attualmente numero 70, a un passo dalla miglior classifica di numero 62 raggiunta nel settembre dello scorso anno.
Come valuta il suo inizio di stagione?
“Ho deciso di cominciare l’anno con la United Cup in modo da allenarmi senza avere la pressione delle partite: dopo la tournée asiatica di fine 2024 ho dovuto fronteggiare due ernie che mi hanno costretta ad un avvio di stagione graduale, poi vista la presenza in rosa di Sara Errani sapevo che non sarei mai scesa in campo. Il sorteggio agli Australian Open non ha sorriso a me e Katarzyna Piter, visto che ci siamo subito ritrovate di fronte ad Andreeva e Shnaider, mentre insieme a Jaqueline Cristian è arrivata un po’ a sorpresa la finale a Cluj-Napoca. Nel complesso, sono soddisfatta del livello di gioco espresso in questi due mesi: il tennis mi piace sempre di più, ora sogno di raggiungere la Top-50 per poter disputare anche i Wta 1000”.
Ci parli di Jaqueline Cristian: con lei ha un rapporto speciale anche fuori dal campo, non è vero?
“Ci troviamo molto bene insieme. Mi sarebbe piaciuto giocare al suo fianco anche a Melbourne, ma non sapevo se saremmo riuscite a entrare in tabellone e non ho voluto rischiare. Io e Jaqueline passiamo del tempo insieme anche fuori dal campo, ma con moderazione: la nostra è un’amicizia nata per caso ed è davvero bellissima, se consideriamo che fino a qualche mese fa non ci conoscevamo nemmeno e ci limitavamo a un saluto nei vari tornei. È una ragazza molto semplice, al pari della sua famiglia: l’influenza del coach spagnolo, che ha una mentalità più simile alla nostra, la sta portando a essere più aperta e solare con l’esterno. Giocare nel circuito assieme a lei è bellissimo”.
Pur avendo cambiato diverse compagne, nell’ultimo anno ha avuto una buona continuità di rendimento: qual è il segreto?
“La classifica parla e aiuta parecchio perché soltanto se hai un buon ranking vieni considerata dalle giocatrici di livello. Ho avuto la fortuna di instaurare buoni rapporti anche lontano dalle competizioni con tutte le compagne con cui ho giocato, da Cristian a Zarazua. La mia paura era quella di essere giudicata, ma in realtà è andato tutto per il verso giusto perché le ragazze incontrate in questo percorso mi hanno sempre lasciata esprimere. Giocare tutti i tornei con la stessa partner è diverso, perché alcuni meccanismi di gioco diventano naturali, ma penso di essermi adattata bene alle varie situazioni”.
Fino al Roland Garros ha giocato quasi sempre con Camilla Rosatello. E poi?
“Non è semplice mantenere un certo equilibrio tra due donne molto competitive e dotate di caratteri forti. A un certo punto, ci siamo rese conto di avere degli obiettivi diversi: io ero più focalizzata sul doppio e forse ho spinto in maniera eccessiva anche Camilla verso questi orizzonti, dunque il nostro rapporto è cambiato. La separazione è stata sofferta da parte di entrambe, ma ancora oggi penso che sia stata la scelta migliore. Non abbiamo gestito a dovere l’ansia da prestazione, non eravamo consapevoli di ciò a cui stavamo andando incontro nel circuito Wta. Tra di noi resta un buon rapporto, sono contenta che abbia ripreso a giocare in singolare, ma mi auguro che non trascuri il doppio perché è forte e ci sono di mezzo tanti soldi e la classifica Wta”.
In singolare non è andata oltre la posizione numero 318. Ha qualche rimpianto?
“Sono arrivata al punto di credere di aver dato il massimo, anche se ogni tanto ripenso ancora al singolare… Non mi sono mai scrollata di dosso certi limiti e paure, in allenamento mi esprimevo sempre bene mentre durante le partite non riuscivo a lasciarmi andare: alla lunga, è diventato frustrante sia per me che per il mio staff. Ho qualche rimpianto se ripenso all’attività giovanile, forse potevo fare meglio ma hanno influito anche alcune scelte. Quando guardo alcuni singolari nel circuito Wta mi scende la lacrimuccia, ma ora mi godo il doppio: sono soddisfatta dei risultati che sto ottenendo e della classifica che ho”.
Angelica Moratelli e Camilla Rosatello (foto Maiozzi/FITP)
Opelka ha definito il doppio una disciplina per ‘singolaristi falliti’: come risponde?
“In molti lo pensano e io me ne sono resa conto più volte, sia nei tornei internazionali che durante le gare a squadre. Ora si parla molto del doppio grazie alle dichiarazioni di Opelka: a volte, serve anche la cattiva pubblicità per rendere virale un argomento poco dibattuto. Il doppio sta cambiando molto, il livello si sta alzando tantissimo ma rispetto al singolare è tutta un’altra cosa: sono due modi diversi di interpretare il tennis. Come specialità resta sottovalutata, ma se ripenso alla settimana che ho vissuto a Cluj-Napoca, dove a ogni incontro c’era il tutto esaurito e il pubblico era molto caloroso, sono fiduciosa per il futuro”.
Uno dei primi a replicare a Opelka è stato Vavassori…
“Andrea sta vivendo un momento stratosferico ed è un bene che abbia dato ulteriore riscontro a quanto detto da Opelka. La sua presenza all’interno del board dell’ATP è importante perché può portare a chi di dovere tutte le richieste dei doppisti: è carismatico e molto empatico, sa come esprimersi e la considero una persona indispensabile per l’intero movimento. In Italia, comunque, dobbiamo ricordarci di avere anche una leggenda della specialità come Sara Errani: forse di lei si parla troppo poco, ma negli anni ha fatto delle cose straordinarie”.
Angelica Moratellie e Jaqueline Cristiam con il trofeo delle finaliste di doppio a Cluj-Napoca 2025 (foto Facebook Transylvania Open)
A livello di guadagni, c’è ancora una differenza enorme tra singolare e doppio.
“Sì, il montepremi del doppio è circa il 20% del totale. Gli introiti sono minori perché la gente preferisce guardare i match di singolare: è una cosa difficile da accettare e su cui bisogna lavorare. C’è un’importante disparità anche tra il circuito Atp e quello Wta. Per ridurre tutti questi gap, si dovrebbe fare in modo che il pubblico si avvicini maggiormente ai doppi, che spesso sono anche molto divertenti. Agli Us Open le persone vanno sui campi per godersi lo spettacolo, indipendentemente dalla presenza dei grandi nomi: ricordo l’atmosfera pazzesca durante il mio match di terzo turno contro Dabrowski e Routliffe, con le tribune sold out e tutti che tifavano per il bel tennis. In Italia, invece, c’è una cultura differente: nel tennis, così come negli altri sport, si analizza soltanto il risultato finale, senza pensare alla qualità del gioco”.
Proprio agli Us Open è in arrivo un doppio misto ‘rinnovato’: che idea si è fatta?
“Posso comprendere la scelta degli organizzatori perché puntano su una maggiore visibilità, ma allora si dovrebbe parlare di torneo esibizione e non di una prova dello Slam. Viene meno la tradizione, anche se poi magari questo esperimento risulterà seguito e apprezzato dal pubblico. A me non piace, non deve essere data la priorità ai singolaristi perché il doppio appartiene a chi si cimenta costantemente in questa specialità. In uno Slam, se sei numero 80 del ranking di doppio rischi di non entrare in tabellone perché viene data la precedenza a chi è meglio piazzato in singolare. La gente comune non va a vedere il doppio della Moratelli, ma preferisce vedere una top player come la Badosa che passa un turno e poi si ritira per dare precedenza al suo percorso individuale”.
Angelica Moratelli e Camilla Rosatello (foto Maiozzi/FITP)
In apertura accennava alla United Cup. Cosa si prova a indossare la maglia dell’Italia?
“La Nazionale è tutto per me. La United Cup è una competizione ‘diversa’, si gioca in un’atmosfera più rilassata rispetto ai tornei del circuito ma le emozioni non mancano, a cominciare dall’inno che risuona prima dell’inizio delle sfide e che dà una carica enorme. Alla prima partecipazione mi sono ritrovata a sfidare Zverev: non avevo mai giocato contro un uomo prima di quel momento e quindi ho provato delle sensazioni strane, ma mi sono divertita tantissimo. Uno dei miei obiettivi è la Billie Jean King Cup: so di essere dietro ad altre giocatrici, ma continuerò a lottare per farmi trovare pronta qualora dovesse arrivare una convocazione. Sarebbe un sogno anche vestire la maglia dell’Italia alle Olimpiadi: sono cresciuta guardandole in televisione e per questo motivo mi piacerebbe gareggiarvi nel 2028”.
I risultati della coppia Errani-Paolini possono incidere sulla crescita del doppio in Italia?
“Sono contentissima per loro perché so a quali difficoltà vanno incontro ogni settimana. Sara è ancora molto competitiva dopo tantissimi anni nel tour, mentre Jasmine gestisce alla perfezione il duplice impegno tra singolare e doppio, contribuendo a dare maggior valore alla specialità. Io e la Cristian abbiamo un modo di giocare simile al loro: a me piace tanto stare a rete come fa la Errani, mentre Jaqueline è più una Paolini perché predilige gli scambi da fondo. La speranza è che attraverso i loro risultati possano portare più gente possibile ad avvicinarsi al doppio, a cominciare dai giovani che hanno la concezione sbagliata di tennis come ‘sport da singolaristi’. Ognuno deve sentirsi libero di esprimersi nella specialità in cui si trova meglio”.
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