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Così Lea Pericoli raccontava la sua vita da film

Così si raccontava in un'intervista concessa alla Federazione Italiana Tennis e Padel per il programma ufficiale degli Internazionali BNL d'Italia. I suoi ricordi del torneo diventano l'occasione per ripercorrere incontri, storie, personaggi che hanno caratterizzato la sua vita e reso indimenticabile la sua storia.

di | 04 ottobre 2024

Un primo piano di Lea Pericoli (Foto FITP)

Un primo piano di Lea Pericoli (Foto FITP)

E' morta a 89 anni Lea Pericoli, la signora del tennis italiano. Signora in campo, regina in campo e maestra di eleganza, è stata una delle prime donne a raccontare il tennis su giornali e in tv dopo averlo giocato ai massimi livelli. Così si raccontava in un'intervista concessa alla Federazione Italiana Tennis e Padel per il programma ufficiale degli Internazionali BNL d'Italia. I suoi ricordi del torneo diventano l'occasione per ripercorrere incontri, storie, personaggi che hanno caratterizzato la sua vita e reso indimenticabile la sua storia.

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Lea Pericoli, il racconto di una vita da icona

“Wally Sandonnino, l’ex campionessa diventata grande maestra che lavorava per la Federazione, mi acchiappò mentre stavo allenandomi su uno dei campi del parco del Foro Italico. “Ha fatto ginnastica?’ mi disse. Io candidamente risposi “No…” “Allora venga con me” mi disse. Io la seguii. E mi fece fare su e giú con le gambe, quello che oggi mi dicono chiamarsi ‘squat’, non so quante volte. Minimo 50, 100, 200 … Io, che ero secchiona e volevo far vedere che ero brava e ubbidiente, ce l’avevo messa tutta. Il giorno dopo ero massacrata, morta. Era il giorno della mia prima partita agli Internazionali (oggi BNL) d’Italia. E dovevo affrontare Maureen Connolly…”

Comincia così la storia della campionessa più popolare nella storia del nostro tennis, quella del suo rapporto con uno dei tornei più belli e importanti del mondo. Con una sfida impossibile, contro la n.1 del mondo dell’epoca, una fuoriclasse capace di realizzare il Grande Slam, giocata con l’handicap della “cura Sandonnino”. Era il 1954 ma è come fosse oggi nella sua elegante casa milanese, con tante foto della sua vita meravigliosa alle pareti e uno studio dove i trofei coprono le pareti (d’altra parte ha vinto 10 volte il titolo agli Assoluti in singolare, 11 volte in doppio e 6 in misto per un totale di 27 scudetti, un record… assoluto).

Da quella partita si parte per un percorso su quella terra rossa ombreggiata dai pini marittimi durato 20 anni durante il quale Lea può vantare una semifinale e 4 quarti di finale in singolare e 5 finali in doppio (sempre con Silvana Lazzarino). Una presenza di grande qualità sportiva che unita a un fascino unico, ancor oggi ineguagliato ha contribuito a rendere le sue partite dei momenti imperdibili.

“La Connolly era fortissima, non sbagliava mai: era una macchina della regolarità. Io non avrei comunque potuto far niente contro di lei, ma quel giorno, dopo la ‘cura Sandonnino’ avevo male dappertutto, ero paralizzata. Giocammo, mi ricordo, non sul Centrale ma su uno dei campi secondari, sotto i pini. Il n.2 forse. C’era comunque un mucchio di gente, perché lei era brava e io ero bellina e avevo le mutande di pizzo…”.

Ecco l’altro aspetto del ‘mito Pericoli’ agli Internazionali d’Italia, quello della giovinezza seducente e sexy, della tennista ‘di mondo’, spigliata, intraprendente che sa di piacere e gioca scientemente anche quella partita.

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“Io cominciai a farmele fare da subito, le mutandine col pizzo: mi piaceva indossare cose carine. L’anno della partita con la Connolly al Foro Italico c’era chi mi lanciava frecciatine perché giravo sempre con Dinny Pails, il campione australiano divenuto poi grande tencico. Dicevano che si era perdutamente innamorato di me. La verità è che ero l’unica che parlava inglese e quando mi conobbe chiese subito alla Federazione che gli facessi da interprete. Così finì che quando i professionisti venivano in Italia (allora c’era ancora la divisione tra i pochissimi ‘pro’ e il modo del tennis dei dilettanti, il mio…), i vari Victor Seixas, Tony Trabert, io giravo con loro. Facevo da interprete. Ero arrivata in Italia a 15 anni, nel 1950. La Connolly era una campionessa di cui avevo già sentito parlare quando ancora vivevo in Africa, ad Addis Abeba. Avevo vinto subito i campionati juniores. E subito mi aveva acchiappato Umberto Mezzanotte, il direttore della rivista Il Tennis Italiano. Ero quella che giocava con me mutande di pizzo.  Il primo torneo, mi ricordo, l’avevo giocato a Focette. E la voce si era sparsa. “Uh, gioca l’abissina…” dicevano, “gioca benissimo…”. Venivano a vedermi. Arrivò anche Fausto Gardini, il campione italiano. Si presentò e mi disse “Non faresti una foto con me?”.  “Certamente” risposi. Una foto con Gardini? Io impazzivo. Mi mise in mano una bella confezione di dentifricio Binaca. Quell’immagine uscì con la didascalia: Fausto Gardini premia Lea Pericoli con i dentifrici Binaca. Su tutti i giornali italiani venne lanciata una campagna. Per i dilettanti erano cose vietate. Gardini fu squalificato e io venni chiamata da Enrico Piccardo, il segretario della Federazione, un uomo piccolo di statura, tremendo. Io ero tutta contenta di essere chiamata in Federazione. Lui mi disse: ‘Signorina Pericoli, lei è venuta in Italia ha giocato e vinto i Campionati juniores da non qualificata, ha fatto la reclam della Binaca, ha dato scandalo con le mutandine di pizzo a Wimbledon. O lei mi promette che esce da quella porta e non gioca piú a tennis…. Altrimenti la squalifico a vita’. Io spaventatissima promisi. Poi figurati…”.

Lea Percoli in azione (Foto FITP)

Lea Percoli in azione (Foto FITP)

Lo scandalo di Wimbledon: meno di due mesi dopo il suo esordio romano, Lea era stata sui giornali di tutto il mondo.

“Come ti dicevo, io le mutande di pizzo per giocare me le ero fatte fare sin dall’inizio, da mia mamma o da una sartina. Volevo essere appariscente, ero vanitosetta. Quelle non erano state un’idea di Ted Tinling, lo stilista londinese. Tinling mi vestì per Wimbledon. Successe la fine del mondo. Mi ricordo qulla partita contro la spagnola Maria Josefa de Riba. Io non so come avessero fatto i fotografi ad andarsi a sdraiare dietro il fondocampo per fotografarmi…. Papà si infuriò. E, lì per lì, mi face smettere. Per me comunque era uno svago, il mio divertimento. Dovevo pagarlo di tasca mia. Lavoravo. Quando lasciammo l’Africa, la mia famiglia che là era molto benestante (intorno a casa avevamo un parco col campo da tennis…) dovette ridimensionarsi. L’azienda di mio padre era persa. Il primo lavoro lo trovai da sola. Mi iscrissi a un corso privato, un istituto di Piazza del Duomo dove insegnavano lingue, dattilografia. Chi mi dava lezione, un certo Mr Ottino, non faceva quello di mestiere: aveva un ufficio di Import Export. Capì che ero sveglia, vide come me la cavavo con l’inglese e disse: è inutile che fai un corso. Ti do l’attestato subito e alla fine del trimestre vieni a lavorare da me. E cosí feci, di corsa”.

Lea Pericoli consegna a Jannik Sinner la tessera FIT Gold

Lea Pericoli consegna a Jannik Sinner la tessera FIT Gold

“Mi ricordo che un giorno gli chiesi di uscire 5 minuti prima all’ora di pranzo. Lui scese con me e trovó davanti al portone Walter Chiari che era venuto prendermi. Ottino è quasi svenuto. Walter Chiari, era pazzo di tennis: veniva a prendermi per giocare. Come tennista non era granché ma era un tipo irresistibile. Andavamo a giocare al Tennis Club Lombardo, in via Sismondi, che era il piú vicino all’ufficio. Oppure al Tennis Ambrosiano dove io ero socia e qualche volta davo anche lezioni, al mattino presto, di nascosto. Mio padre non mi dava un soldo: dovevo cavarmela da sola. Dopo un anno di lavoro mi sono comprata la macchina: una Topolino usata”. E comunque qualche edizioni degli Internazionali non l’ho potuta giocare perché lavoravo”.

Altri tempi davvero. Nessun montepremi, spese a proprio carico, oltre a cavarsela con la racchette in quel tennis pre 1968 e inizio dell’Era Open bisognava organizzarsi e fare due conti.

 “Mi ricordo che all’inizio prenotavo alla Pensione Paisiello, in via Paisiello. Quando sono arrivata la prima volta era il 1 maggio. Non c’erano i mezzi e noi non avevamo i soldi per il taxi. Ci hanno caricato su dei camioncini, scoperti. Ci hanno fatto salire con delle scale di legno sul cassone. E via. Anche quando andavamo a Wimbledon magari veniva una Rolls Royce a prenderci ma stavamo all’Atlantic Hotel: una sterlina e 18 scellini a notte, in due. Io e Silvana Lazzarino. Non avendo una lira io e Silvanetta ci facevamo invitare a cena: eravamo carine e allora, in due, ci facevamo invitare. E quando proprio avevamo una partita importante il girono dopo, andavamo all’Air Terminal, proprio appena fuori dalla stazione di Earls’ Court e mangiavamo al bar che costava pochissimo”.

Ma torniamo a Roma, dove dopo la sfida del 1954 con Maureeen Connolly arrivò, nel 1958 il confronto con un’altra star, la brasiliana Maria Bueno. Anche in questo caso l’avversaria ebbe la meglio e poi si aggiudicò il torneo.

“Lei era davvero molto forte, bellina di fisico e aveva il fascino della giocatrice serve and volley. Siamo diventate anche amiche”. 

Nel 1959 arriva il primo piazzamento di prestigio: i quarti di finale. Al primo turno Lea batte l’americana McBride, al secondo l’americana Fageros. Una sfida particolare… “Certo, Carol Fageros, quella con le mutande d’oro. Era famosissima perché aveva giocato a Wimbledon con quelle mutandine. E infatti ci hanno messo sul campo centrale. Un pienone: erano tutti lì a guardarci: io con le mutande di pizzo, lei davvero molto attraente, vistosa….”.

Dall'archivio di SuperTennis: quando Lea Pericoli dialogava con Gianni Clerici

 

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Un’altra annata importante fu il 1962. Per la seconda volta nei quarti di finale, dove viene superata dalla campionessa del Roland Garros 1959, l’inglese Christine Truman, Lea Pericoli si iscrive per la prima volta al doppio con Silvana Lazzarino, l’altra stella del tennis italiano. Insieme raggiungono subito la finale dove per fermarle ci vuole una coppia di campionesse come Maria Bueno e la statunitense Darlene Hard. 

“Erano fortissime, erano la n.1 e n.2 del mondo. Silvana prima faceva coppia con Nicla Migliori, che era della generazione precedente alla nostra. A un certo punto è diventata la nostra capitana. E io ho preso il suo posto in campo accanto a Silvana. Ho un ricordo che ancora mi fa sorridere, di Carlo Della Vida, allora organizzatore degli Internazionali, che era lí un giorno accanto a noi mentre guardavo il tabellone. Gli dissi: cacchio, che tabellone che ci avete fatto, durissimo…. E lui sorridendo: ‘Ma no, cocca, siete cosí belline… Voi andate lí e fate tutti pallonetti…’. Che meraviglia, Carletto. Poi quando ho smesso con il tennis abbiamo giocato a golf insieme per tanti anni…”

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E veniamo all’annata clou, il 1967: è l’edizione del miglior piazzamento: semifinali in singolare e ancora finale in doppio (battute da Casals/Turner)… “Beh, i primi due tornei furono facili, perchè incontrai due giocatrici italiane con cui ero nettamente favorita: Elisabetta Scagnolari, Sandra Gobbò. La mia impresa fu battere poi l’australiana Gail Sherriff. Era la n. 5 del torneo e aveva un dirittaccio fortissimo. Le diedi 6-1 6-4. Poi in semifinale trovai di nuovo Maria Bueno e non ci fu nulla da fare”.

E’ un annata d’oro. Lea raggiunge anche gli ottavi di finale a Wimbledon e fa tripletta ai campionati Assoluti vincendo singolare, doppio (con Nicla Migliori) e misto ( con Nicola Pietrangeli, l’unico alloro conquistato insieme da questi due atleti simbolo del tennis azzurro). L’anno successivo, il ’68 delle grandi rivoluzioni, Lea a Roma non gioca. E’ l’ultima edizione  ‘da dilettanti’. In tabellone c’è invece Monica Giorgi, la giovane Monica Giorgi, della quale sarebbe diventata amica giocando anche più volte in doppio.  

“Monica era livornese, anarchica fino alla morte. Una volta si è ritirò in semifinale agli Assulti, proprio contro di me, per protestare contro Lucia Valerio, che l’aveva lasciata fuori dalla squadra azzurra. Non la voleva in Nazionale. Era una gran bestemmiatrice. Negli anni del terrorismo è finita anche in prigione. Quando ero sposata con Tito Fontana, che era un industriale importante, proprietario della Valextra, avevamo la barca in Sardegna. Questa ‘matta’ mentre era in crociera con noi dalle parti dell’Elba, una notte è andata su una torre, mi pare fosse a Marciana Marina, a scalpellare “Marini libero”. Era un anarchico in prigione per aver ucciso un giovane di Destra in una rissa. Vennero i Carabinieri sulla barca, a dirci che risultava che lei fosse nostra ospite, e che era meglio che … salpassimo. Mio marito dovette pagare anche uno scalpellino che andasse a cancellare la scritta”.

A 20 anni esatti dalla prima puntata arriva nel 1974 l’ultimo episodio della serie ormai cult di Lea Pericoli agli Internazionali d’Italia. Curiosamente l’ultima partita è ancora contro Gail Sheriff, l’australiana battuta nell’anno della miglior performance. 

Lea Pericoli (Foto FITP)

Lea Pericoli (Foto FITP)

“Gail a quel punto aveva ottenuto la cittadinanza francese. Si chiamava già Chanfreau, avendo sposato collega tennista Jean-Baptiste Chanfreau. Fu una partita tirata, ma persi. Era finita un’epoca: basti pesare che la finale fu tra Chris Evert e Martina Navratilova. Io avevo esordito contro la Connolly…. Di certo Roma è sempre stato un torneo molto prestigioso. Tutti ci mettevano l’animaccia loro, pur di vincere. Anche quando in palio c’era solo la gloria. Quando ci ripenso ritorno per un attimo dentro un mondo pieno di magia. Io non ho mai avuto un coach. Per allenarmi dovevo trovare giocatori maschi di terza categoria che avessero voglia di giocare dall’una alle due perché io lavoravo. Oppure alla mattina dalle 8 alle 9: poi doccia e via con la Vespa per andare in ufficio. E nelle serate romane, approfittavamo della folle passione tennistica di tanti personaggi famosi. Uno per esempio era Dino Verde, l’autore televisivo. Un altro l’attore Umberto Orsini , altro ‘maniaco’ di tennis. Facevamo persino dei doppi improbabili con una posta in palio. E così guadagnavamo pure qualcosa. Poi ci portavano fuori a cena. Eravamo giovani, ragazzi senza una lira. Ma felici”.

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