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La Muchova dal bel tennis, diverso, torna protagonista dopo uno stop di 10 mesi. L’erede di Jana Novotna cerca stabilità dopo una esplosione tardiva e un difficile cammino con una delicata crescita umana ma anche tanti infortuni
di Vincenzo Martucci | 06 ottobre 2024
“Non sapevo come sarebbe stato l’anno, se avrei giocato, se non avrei giocato e che livello avrei avuto”. Karolina Muchova che gioca la finale di Pechino contro Gauff sulla scia del nuovo ko su Aryna Sabalenka sembra l’angelo vendicatore del tennis. Lei che, l’anno scorso, dopo la finale del Roland Garros e le semifinali di Cincinnati e degli US Open, era salita al numero 8 del mondo, conquistandosi quella prima fetta di paradiso che il talento le riconosce da sempre ma indole e fisico le avevano impedito. Subito dopo, ahilei, l’erede di Jana Novanta ha avuto quello che definito “l’infortunio peggiore più serio” e s’è operata al polso ed è tornata in campo solo 10 mesi, lo scorso giugno, e questo di Pechino è appena il settimo torneo della sua nuova carriera. Che ha avuto tre picchi: la finale sulla terra di Palermo, persa con onore contro Zheng, le semifinali agli US Open, infilando avversarie ben più rodate, come Potapova, Paolini ed Haddad Maia, e di qualità come Osaka, fermandosi solo contro Pegula e al terzo set e quindi la finale di Pechino che la riporta fra le top 30.
QUALITA’
Contro Coco Gauff, che l’ha buttata 2 volte su 2 nei precedenti e sempre sul cemento, sia pure americano, Muchova parte sulla carta sfavorita. Ma in realtà la 28enne ceca non è mai davvero sfavorita con quell’arsenale tecno-tattico di colpi, e la capacità di sorprendere sempre le avversarie con la sua unicità e l’imprevedibilità di un gioco molto fluido. Che le consente uscite perentorie e disarmanti da fondo e, in un attimo, la porta a rete a chiudere scambi che sembravano compromessi. Un potenziale che l’esalta soprattutto contro avversarie di potenza come Sabalenka, battuta due volte su tre, ma che finora non è riuscita ad esprimere compiutamente contro l’erede delle Williams, perdendosi sempre due set a zero ma che potrebbe ritrovare nelle condizioni psicologiche migliori. Come appunto questa finale, con tutta la pressione ancora una volta sulle spalle della afroamericana, più giovane di 8 anni, che ha salutato coach Brad Gilbert per legarsi Matt Daly, ex pro numero 941, col quale si sta concentrando sul servizio, per rilanciare le enormi ambizioni di grandezza. Da più giovane vincitrice del torneo da Caroline Wozniacki nel 2010.
INDISPENSABILE
Di certo, il tennis in generale ha sempre bisogno di un giocatore di talento tennistico come Muchova. Che è arrivata tardi, si è fermata spesso (addominali e schiena) e ci ha messo tanto ad assemblare il suo gioco e superare gli scogli dell’anima. Con partite già quasi vinte e poi invece perse, come sembrava anche la finale del Roland Garros contro Swiatek 2023 quando si arrese con un clamoroso doppio fallo. Karolina è cresciuta pian pianino, conoscendosi, soprattutto come persona, e quindi anche come fisico, e decidendo quindi che i suoi allenamenti non potevano essere così duri e dovevano prediligere la qualità alla quantità per non svilire il tocco naturale, la fantasia, la creatività. Che rimangono le sue armi migliori, seguendo il solco dell’idolo di sempre, Roger Federer, ma anche forte di gambe importanti che le vengono da papà, Josef, ex calciatore. Con lo spirito di tenniste come Justin Henin, non a caso una delle sue ammiratrici Doc: “Karolina è una delle giocatrici che guardo con più piacere”. E come ribadisce lei, sempre più conscia di sè e delle sue possibilità: “E’ quello che sono e come mi piace giocare, ciò che mi soddisfa in campo. Sono solo io. Non vorrei giocare in nessun altro modo, anche se a volte è troppo. Mi diverto ma devo sicuramente trovare più disciplina”.