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Le storie

Lungo la Senna/9: Stiamo già piangendo

Ai tennisti importa delle Olimpiadi, e anche tanto. E la riprova sono le lacrime di una Swiatek disperata. Ma anche i sorrisi di Errani e Paolini e la soddisfazione di Musetti, capaci di riportare il tricolore in una semifinale olimpica - anzi in due - dopo esattamente un secolo

di | 01 agosto 2024

La Tour Eiffel con i cinque cerchi dei Giochi 2024 (Foto Getty, grafica Vecteezy)

La Tour Eiffel con i cinque cerchi dei Giochi 2024 (Foto Getty, grafica Vecteezy)

Avete ancora il coraggio di sostenere che ai tennisti importi poco dell’Olimpiade? O che la sentano meno degli altri? O che non avvertano il peso di rappresentare un intero Paese? Sareste dovuti capitare dalle parti del Roland Garros, qualche ora fa, precisamente nel tunnel che è stato allestito per ospitare le telecamere delle tv – la cosiddetta zona mista, passaggio obbligato per tutti gli atleti, vincitori e vinti, dopo un match – perché vi sareste imbattuti nel dramma, non sappiamo come definirlo altrimenti, di Iga Swiatek, la numero uno del ranking – ripetiamo: la migliore tennista del mondo -, reduce da una sconfitta (inattesa) in semifinale con la cinese Zheng, travolta da un pianto irrefrenabile, inconsolabile, perfino imbarazzante per il senso di impotenza che suscitava in chi le era davanti e istintivamente avrebbe voluto consolarla come si fa – o si dovrebbe fare - con le persone, anche le sconosciute, che appaiono chiaramente in difficoltà. Non è un mostro di simpatia, la Swiantek; né solitamente il suo modo di fare o di esprimersi suscita particolarmente empatia, ce lo ha ricordato anche la statunitense Collins, l’altra sera, in coda al match perso con la polacca.

Iga Swiatek (Getty Images)

Ma in quella circostanza, oggi, avremmo voluto abbracciarla, sussurrarle che può ancora battersi per una medaglia, seppure di bronzo, ricordarle che ha solo 23 anni e almeno un altro paio di edizioni in cui riprovarci, giurarle che l’orgoglio del suo Paese e della sua gente per le imprese straordinarie che ha già realizzato, non cambia di una virgola.

E invece siamo rimasti a guardarla, impotenti, mentre non riusciva a ricomporsi, si allontanava, tornava dopo lunghissimi minuti e andava lunga, senza fermarsi ai microfoni di nuovo tesi, con ancora i lucciconi agli occhi e il cuore in panne.

Perché innanzitutto questo è lo sport, senza voler essere ipocriti: la delusione cocente, lacerante in certi casi, che provoca la sconfitta, il senso di vuoto e disperazione che genera aver perduto l’occasione, l’appuntamento con la storia, e il tempo infinito – quattro lunghissimi anni – che ci separa dalla prossima opportunità. E in fondo forse a suo modo questo volevano dire lo stupore della collega della Rai di fronte alla felicità di Benny Pilato per aver conquistato un 4° posto, o le parole un po’ sghangherate della Di Francisca: davvero sei contenta di aver mancato di un centesimo la medaglia, dopo tutti questi anni di allenamenti e sacrifici? Si può sostenere che se sei una delle più forti nella tua disciplina arrivare quarti non metta in discussione il tuo talento ma sia una delusione – badate bene, una delusione, non un fallimento -, senza per questo essere tacciati di mancanza di sensibilità o, peggio, di non avere cultura della sconfitta?  

Tutta la soddisfazione di Jasmine Paolini e Sara Errani (foto X Jasmine Paolini)

Perché se vincere o perdere non spostasse nulla, se conquistare o meno una medaglia olimpica o mondiale non cambiasse la carriera di un (o un’) atleta, di che parleremmo?

Se non facesse differenza il risultato che otterranno le nostre ragazze domani, in una semifinale olimpica, non le avremmo trovate oggi, al termine del quarto di finale vinto, anzi stravinto con le inglesi, ancora molto concentrate, incapaci, e giustamente, di lasciarsi andare, poco disponibili ad assecondare chi tra i cronisti gli ricordava dello straordinario traguardo raggiunto, la prima semifinale olimpica italiana dopo cento anni, il diritto, comunque vada domani con le ceche Noskova e Muchova, di completare il percorso del torneo.

“Sinceramente – ci hanno guardato un po’ disarmate Jasmine e Sara – pensiamo solo a vincere la nostra semifinale e a batterci per l’oro, altro che”.   

 

Le battaglie saranno due, cari amici. Perché gli ori in palio, per lo sport e il tennis italiano, sono due. Le ragazze, il ragazzo. Per noi, sono già d'oro. E per una disciplina che non raccoglieva sorrisi e risultati da cento anni, è già una discreta soddisfazione.

Del resto, ormai siamo quelli che riscrivono la storia, quelli dei 47 anni dopo. Vorremmo arrivare ad un secolo. E magari domani non andrà come speriamo, ma lasciateci sognare, lasciateci fantasticare per una notte di ori, inni e tricolori. Ma chi l'ha detto che ai tennisti non importa dell'Olimpiade? 

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