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Due modi diversi di affrontare le difficoltà: quello dell’altoatesino nei quarti di finale contro Tommy Paul e quello del tedesco, sempre nei quarti, contro Lorenzo Musetti. Stesso campo, stesso orario, stesse palle: due esiti e due visioni del mondo diametralmente opposte
di Enzo Anderloni | 17 maggio 2025
È stata una serata difficile quella di ieri, quella della semifinale degli Internazionali BNL d’Italia, per noi che viviamo in Sinnergia. Calati come sempre nei panni dí Jannik Sinner abbiamo patito parecchio quei drammatici 28 minuti in cui lo statunitense Tommy Paul lo ha strapazzato in lungo e in largo davanti ai 10.500 del Campo Centrale ammutoliti per la sorpresa, increduli di fronte alla partita che stavano vedendo.
Dobbiamo ammetterlo: abbiamo temuto il peggio. Anche perché, a differenza della maggioranza dei 10.500 del Foro e dei milioni davanti ai teleschermi, sapevamo, come Jannik, che il peggio poteva avverarsi.
I più hanno sicuramente pensato: è addormentato. Quando si sveglia il problema si risolve da sè. Avranno archiviato la partita vinta da Sinner 1-6 6-0 6-3 come una semplice serata iniziata storta e finita, come prevedevano, in gloria.
Il tennis però non è il pattinaggio artistico, il salto in alto o il golf. La tua prestazione non dipende solo da te. Dall’altra parte della rete c’è un altro che cerca di fare a te quello che tu stai cercando di fare a lui. E se tu non trovi la chiave per neutralizzare il suo gioco, se, come direbbe De André, non gli spari dritto nel cuore, quello si volta, imbraccia l’artiglieria e ti ricambia la cortesia.
Tommy Paul è un signor giocatore, cresciuto sugli “hardcourt americani, i campi duri, dove il rimbalzo è deciso e regolare. Tommy è velocissimo sul campo, ha un gran senso del timing e se la palla che gli arriva è bella veloce, e gli permette di colpire all’altezza della vita, diventa un incubo per chiunque. Serve benissimo e tira missili di diritto e di rovescio con tempi di reazione micidiali. Inoltre sbaglia poco.
Jannik lo sapeva e aveva pensato di aggredirlo ma caricando la palla con quella giusta quantità di top spin che, come dice lui, la fa “saltare” di più. Questo avrebbe impedito a Paul di colpire d’anticipo all’altezza della vita, avrebbe dovuto impedirgli di imporre il suo gioco.
Quando però è arrivato sul campo (come ha poi spiegato) Jannik ha trovato condizioni particolari: faceva più freddo del previsto. E quando ha cominciato a cercare di spingere forte si è trovato a colpire una palla dura per il freddo e pesante per l’umidità che rimbalzava più bassa del previsto e che lui non riusciva a far “saltare” dalla parte di campo di Tommy Paul come avrebbe voluto. Risultato: il massacro del primo set che hanno visto tutti. Paul, partito fortissimo, ha dominato gli scambi, anche il virtù del fatto che la sua rapidità nell’impattare la palla è proprio il modo migliore per disinnescare il tennis di Sinner (se se ne è capaci). Jannik è uno che toglie il tempo agli avversari; Tommy ha ottenuto i suoi notevoli risultati con lo stesso sistema, sia pure a livello minore, perché la sua palla non ha il peso e la complessità di quella del nostro n.1.
A quel punto Sinner ha dovuto scavare dentro se stesso per trovare la soluzione. L’altro non gli avrebbe regalato niente, lo ha capito subito. Ha dovuto trovare un modo di rallentare un po’ i ritmi della partita, per trovare più continuità con il servizio. Piano piano è riuscito a rallentare appena appena anche la palla negli scambi (senza che l’altro approfittasse per sparagliela imprendibile) e a imprimerle quella dose di rotazione in più che ha incrinato la perfezione di Paul nella prima mezz’ora di partita.
A quel punto è cominciata un’altra partita, con un’inerzia opposta, ma non è stato uno “svegliarsi”: è stato trovare la soluzione giusta a un problema complicato. Complicato ancora di più dal fatto che la vescica sotto il piede destro, che si era procurato nella partita contro l’olandese De Jong, gli faceva molto male e a un certo punto (verso la metà del terzo set) lo ha un po’ limitato negli spostamenti. E l’americano, dopo aver subito un primo break (1-3), è riuscito a rientrare in partita (2-3), tenendo tutti col fiato sospeso fino all’ultimo “quindici”.
Noi che viviamo in Sinnergia, che eravamo sugli spalti in piena empatia con lui, abbiamo sofferto fino alla fine perché sul 5-3 era evidente che un nuovo break di Paul avrebbe rimesso tutto in discussione.
Invece per fortuna è finita bene: Jannik ha radunato tutte le energie e giocato il suo turno di battuta con quello che aveva, consapevole che non poteva concedersi altri passi falsi. Ha chiuso da campione una partita affrontata con una serie di condizioni avverse, a partire soprattutto dalla qualità di un avversario che è riuscito a battere proprio perché ne ha rispettato il valore e le qualità. Un avversario che lo aveva impegnato a fondo anche nei quarti di finale degli Us Open 2024.
Viene spontaneo il paragone con quanto era successo mercoledì sera, sullo stesso campo, alla stessa ora, tra Alexander Zverev e Lorenzo Musetti. Il tedesco partiva favorito contro il nostro n.9 del mondo. Arrivato sul Campo Centrale trovava lo stesso freddo umido di ieri sera, le stesse palle che rimbalzavano poco e assorbivano l’umido del Lungotevere. E un avversario che lo conosceva bene e ha subito impostato la partita come non piaceva a Zverev, che è stato molto falloso con il diritto che cercava di spingere esattamente come ha fatto Sinner contro Paul nel primo set.
La differenza è stata che Zverev ha continuato a sbagliare nello stesso modo e a subire il gioco di Musetti fino alla sconfitta finale. Poi si è lamentato della qualità delle palle, che secondo lui era scarsa e un problema da risolvere e ha criticato il modo di giocare di Musetti definendolo uno che aspetta solo l’errore dell’avversario.
Il confronto tra l’atteggiamento di Sinner e quello di Zverev spiega molto bene perché Jannik è n.1 del mondo da 49 settimane (saranno 50 lunedì 19 maggio) e Sascha non è mai andato oltre il n.2 e non ha mai vinto un titolo dello Slam.
Per prima cosa evidentemente non ha approfondito tutte le conoscenze tecniche del gioco, cosa che invece Sinner ha fatto. Non dovrebbe infatti stupirsi che le stesse palle da tennis, di qualità selezionata per i grandi tornei, possano offrire performance diverse a seconda delle condizioni climatiche.
La gomma naturale (caucciù) della quale è composto il nucleo diventa più o meno elastica a seconda della temperatura (più caldo, rimbalzi più vivaci e viceversa). Il feltro (che nelle palle di qualità ha un’alta percentuale di lana naturale) tende ad assorbire l’umido, appesantendosi, e a gonfiarsi. Ergo è evidente le stesse palle, sul Campo centrale del Foro Italico, a meno di 100 metri dal Tevere, avranno un comportamento diverso sotto il sole di mezzogiorno e alle nove della sera. Tutti dovrebbero saperlo. Tutti ci devono fare i conti. Come tutti devono fare i conti con il modo di giocare dell’avversario (il tennis funziona così).
Se tu, quando la partita ti sfugge di mano, pensi (e poi dici anche) che la colpa è delle palle che fanno schifo e dell’avversario che si approfitta dei tuoi errori, non diventi n.1 e non vinci titoli del Grande Slam.
Se invece accetti la situazione e la difficoltà, hai la forza di non mollare finché non trovi una soluzione e stringi i denti perché appoggiare il piede per terra ti fa davvero male, allora ti chiami Sinner e sei il n.1. Stesso campo, stesse palle, stesso avversario con un gioco che ti dà fastidio. Trovandoti delle scuse puoi arrivare quasi in cima. In cima davvero mai.
La faccia imbarazzata che fa Sinner (e la sua lunga esitazione) quando gli inviati sul campo di ATP Media gli chiedono che problema avesse nel terzo set, dato zoppicava un po’ e si toccava una gamba, è la fotografia del modo di pensare di un n.1.
Si capisce benissimo che non vorrebbe parlare di quelle grossa vescica che ha sul piede. Arrossisce, esita. Poi in un attimo si rende contro che non dire sarebbe come mentire, perché tutti l’hanno visto in difficoltà. Però ammettere di avere una ferita gli costa: per lui non esistono scuse per una prestazione non perfetta. Né in pubblico né soprattutto quando è da solo, davanti allo specchio.
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