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Le storie

Auguri a Nicola Pietrangeli, i 91 anni di un'icona dello sport a Bologna per tifare Italia

Compie 91 anni Nicola Pietrangeli, simbolo del tennis italiano e primatista assoluto per partite giocate e vinte in Coppa Davis. Questa la sua storia, raccontata anche attraverso le testimonianze contenute nello speciale SuperTennis "Io, Nicola"

di | 11 settembre 2024

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Compie 91 anni Nicola Pietrangeli, icona del tennis italiano. Dire Pietrangeli significa soprattutto dire Coppa Davis e oggi è a Bologna a fare il tifo per gli azzurri che scendono in campo contro il Brasile da campioni del mondo.

In Davis vanta il record di partite giocate (164) e di incontri vinti in singolare (78-32) e in doppio (42-12). Ha formato con Orlando Sirola la coppia più vincente di sempre nella manifestazione (34 successi in 42 partite). L’ha vinta però solo da capitano, nel 1976. Il suo merito maggiore, ha sempre dichiarato, è stato l’aver portato l’Italia in Cile, aver vinto la partita sul piano diplomatico e politico contro chi spingeva per il boicottaggio come forma di protesta contro il regime del generale Augusto Pinochet.

Campione della Dolce Vita resa marchio e identità da Federico Fellini, Pietrangeli è stato considerato fra i dieci migliori tennisti del mondo fra il 1957 e il 1964, quando le classifiche le stilavano i giornalisti. Ha trionfato due volte al Roland Garros, nel 1959 e 1960, anni in cui è stato indicato come numero 3 del mondo. Ha vinto due volte agli Internazionali d’Italia e vinto complessivamente 48 titoli, ai quali si aggiungono la medaglia d’oro ai IV Giochi del Mediterraneo di Napoli nel 1963 (battendo lo spagnolo Manuel Santana) e quella di bronzo nel doppio insieme a Sirola. Ha conquistato anche la medaglia di bronzo nel singolare maschile al torneo di esibizione di tennis ai Giochi Olimpici di Città del Messico nel 1968.

Il tennis, ha detto a Dario Cresto-Dina per il libro Sei chiodi storti, “è lo sport più difficile, lo sport dei pazzi e degli uomini soli”. La sua storia è una gaudente eccezione alla regola.

Nick 90 La leggendaria carriera di Nicola Pietrangeli

Nick 90 La leggendaria carriera di Nicola Pietrangeli

GLI INIZI

Questa è la storia di Nicola Chirinsky Pietrangeli. Suo nonno Michele è emigrato da un paesino vicino a L’Aquila per fare il muratore in Tunisia. È diventato costruttore, ha conosciuto una signora napoletana a Fiuggi, l’ha sposata. Hanno avuto cinque figli, compreso Giulio, il padre di Nicola. Quando è nato Giulio Pietrangeli non ha ancora sposato Anna De Yourgaince, scappata dalla guerra di Russia, in passato moglie di un conte.

La famiglia Pietrangeli vive una bella vita, ma con la seconda guerra mondiale cambia tutto. “Appena arrivati di nuovo i francesi – racconta nello speciale di SuperTennis "Io, Nicola" -, hanno messo in un campo di concentramento, non in galera, tutti i professionisti, i benestanti italiani”. Compreso suo padre, ’unico che a Tunisi poteva girare con un’auto sportiva americana, e suo nonno. È il campo di prigionia di a Gammarth, a 300 km da casa. Lì c’è un campo da tennis. Nicola e il padre si iscrivono a un torneo in doppio e lo vincono: un pettine ricavato dalle schegge di una bomba è il primo premio della sua carriera.

Dopo la guerra tutti i prigionieri vengono espulsi dalla Tunisia. Il padre e il nonno scendono a Palermo, poi risalgono verso Roma. “Dopo un po' di tempo non avendo i soldi per prendere una nave vera, mia madre non so come ha fatto ci fece espellere da Tunisi – racconta ancora Pietrangeli –. Con un viaggio che si potrebbe vedere solo al cinema, non dico nella stiva ma quasi, arriviamo a Marsiglia. Prendiamo un treno per Ventimiglia. Da lì, li raggiungiamo a Roma. Viveva in una pensione a via delle Carrozze, a piazza di Spagna. Eravamo noi tre in questa stanza, io andavo a scuola dove c'è il Ministero dei Trasporti e tornavo a casa a piedi, così risparmiavo quelle dieci lire del biglietto dell'autobus”.

Il giovane Pietrangeli diventa "Er Francia" ma non capisce una parola di italiano. Nella Capitale suo padre si reinventa rappresentante di Lacoste. In un anno, ha raccontato Pietrangeli, ha venduto 280 mila magliette a 2.800 lire l’una.

Nicola scopre da subito il talento per lo sport. Gioca nei ragazzi della Lazio, che lo manda in prestito alla Viterbese e alla Ternana. Fino ai 18 anni, ha ammesso, si sentiva più forte come calciatore che come tennista. Il padre, che era stato socio del Parioli, conosceva Giovannino Palmieri, padre di Sergio direttore degli Internazionali BNL d’Italia. Il tennis diventerà la sua vita. Come ha imparato? “Mi sono messo a giocare con il miglior maestro che esiste – racconta nel nostro speciale -, il muro. Lo odiavo, non sono mai riuscito a batterlo”.

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I DUE TRIONFI SLAM DI NICOLA PIETRANGELI

Se Roma gli ha cambiato la vita, Parigi gli ha cambiato la carriera. I due trionfi al Roland Garros restano la pagina più prestigiosa di una storia, che ha sintetizzato con la sua solita fulminante ironia: “Se mi fossi allenato di più, avrei vinto di più ma mi sarei divertito di meno”.

Primo italiano a vincere uno Slam, Pietrangeli ha celebrato il primo trionfo parigino il 30 maggio 1959, un sabato assolato e carico d'attesa. Batte da favorito in finale il sudafricano Ian Vermaak, testa di serie numero 4: ventisei anni, braccia lunghe e carriera breve. In quelle settimane, ha raccontato, frequenta Candida, nome d’arte di Catherine Jajensky, spogliarellista polacca del Crazy Horse.

Il locale è l'eden del piacere a Parigi dal 1951, in una villa dal nome che è tutto un programma: l'Ile d'amour, l'isola dell'amore. Gliel'ha presentata il proprietario Alain Bernardin, grande appassionato di tennis. Il suo numero, ha detto Pietrangeli al Corriere della Sera, “era il bagno di mezzanotte: arrivava sul palco e faceva il bagno in una vasca di cristallo. Girava su una Buick bianca decapottabile. Su cui entrai al Roland Garros, la domenica della finale del 1959, con lei a fianco. [Dopo la finale] uscii in tripudio, tenuto d’occhio dalla squadra Narcotici. La Buick era appartenuta all’ex di Candida, Jacques Angelvin, il Mike Bongiorno francese: arrestato perché teneva la droga nel paraurti”.

Il 28 maggio 1960 Pietrangeli vince il suo secondo titolo consecutivo al Roland Garros, battendo in finale il cileno Luis Ayala che cerca di logorarlo da fondo campo. “E' stato il mio peggiore avversario – ammette a SuperTennis -. Io correvo bene in orizzontale, meno in verticale. E questo 'mascalzone' di Ayala mi faceva solo palle corte e pallonetti”. Dopo la partita, quando si toglie le scarpe, i calzini sono rossi di sangue. “Il dottore mi ha tolto la pelle sotto le piante dei piedi, ho camminato per due giorni con le pantofole” racconta.

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L'AMICIZIA CON SIROLA

Nel 1959 dopo la finale di singolare gioca anche per il titolo in doppio con Orlando Sirola, l'altra metà della più grande coppia del tennis italiano.  Sirola, fiumano di quasi due metri, troneggia dall'alto della sua statura. Pietrangeli, sicuro e preciso, ne asseconda la serenità. “Era un fratello maggiore” ha detto Pietrangeli qualche anno fa ricordando l'amico scomparso nel 1995. “Il nostro – racconta a SuperTennis – è stato un matrimonio fra due persone diversissime. Lui prendeva la chitarra, andava all'osteria, si scolava mezzo litro di vino. Avremmo vinto sicuramente di più se fossimo stati meno giocherelloni”.

Una delle ultime volte che si sono incontrati, tre settimane prima della sua morte, Sirola l'ha salutato con un rimprovero scherzoso: “Tu diventare grande mai, eh?”. Sono diventati grandi insieme a Parigi in quel 1959. Insieme battono in finale Neale Fraser e Roy Emerson, che avrebbe vinto il titolo in doppio per i cinque anni successivi al Roland Garros.

1960, OLIMPIADI A ROMA E WIMBLEDON

Nel 1960 Pietrangeli arriva in semifinale a Wimbledon. Trascina Rod Laver al quinto set ma, nonostante abbia vinto più punti, finisce per pagare un break incassato nel primo game del set decisivo. In finale avrebbe affrontato un altro australiano, il suo amico Neale Fraser che aveva più volte battuto.

I suoi risultati gli valgono un’offerta di Jack Kramer per entrare nel suo circuito di tennisti professionisti, che allora guadagnavano molto bene nei tornei a loro dedicati ma non potevano giocare gli Slam e la Coppa Davis. In un primo momento accetta, ma la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi nella sua Roma lo convince a rifiutare e stracciare il contratto.

1957-61 LA DOPPIETTA AGLI INTERNAZIONALI

Il suo palcoscenico, dove lo stadio più affascinante del mondo porta il suo nome, rimane naturalmente Roma. Al Foro Italico Pietrangeli ha celebrato il suo primo trionfo agli Internazionali d’Italia nel 1957. In quell’edizione del torneo supera in finale Budge Patty e in finale Beppe Merlo, considerato l'inventore del rovescio a una mano. L'ultima finale tutta italiana al Foro si chiude 8-6 6-2 6-4. Pietrangeli trionfa sul campo che oggi porta il suo nome anche con un po' di fortuna.

Prende tre nastri, ha ricordato, negli ultimi tre punti: prima un diritto, poi un rovescio velenoso, poi un altro rovescio con palla tesa. È la sua prima vittoria in carriera contro Merlo che non è mai riuscito a vincere gli Internazionali.

 

Nicola Pietrangeli, nei quarti a Wimbledon nel 1955, in semifinale nel 1960

Nicola Pietrangeli, nei quarti a Wimbledon nel 1955, in semifinale nel 1960

L'anno successivo Pietrangeli non riuscirà a bissare quel grande risultato e perde in finale 5-7 8-6 6-4 1-6 6-2 contro il mancino australiano Melvin Rose, capace di raggiungere la terza piazza del ranking mondiale. Rose, futuro coach anche di Margaret Court, Billie Jean King e Arantxa Sanchez-Vicario, è stato inserito nella International Tennis Hall of Fame di Newport nel 2001. 

Da romanzo la finale del 1961, in una Torino da tutto esaurito. È un’edizione speciale, che celebra il Centenario dell’Unità d’Italia nella prima capitale del Regno. Un’edizione che si chiude con una finale speciale tra il giocatore italiano più forte di sempre e quello che viene da tanti ancora considerato il tennista più forte di sempre, l’australiano Rod Laver, unico nella storia capace di completare due volte il Grande Slam (1962 e 1969). Dal secondo però, Pietrangeli sfianca Laver a suon di meravigliose palle corte. “Ricordo che a premiarmi dopo la finale fu l’allora moglie di Umberto Agnelli, Antonella Bechi Piaggio. E ricordo anche che, siccome i giocatori della Juve (che quell’anno avrebbero vinto il 12° scudetto, ndr) erano tutti soci dello Stampa Sporting, al  circolo c’era il campo da ‘calciotto’ e io durante il torneo giocavo a pallone con loro. Perché il calcio è sempre stata una passione fortissima per me”. 

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IL SIMBOLO DELLA COPPA DAVIS

Nella storia del tennis, Pietrangeli è il simbolo della Coppa Davis. A 18 anni potrebbe scegliere se rappresentare Tunisia o Francia oppure se prendere il passaporto italiano. Il resto è storia. Per l’Italia ha giocato 164 partite in Coppa Davis, 110 in singolare e 54 in doppio: nessuno ne ha disputate di più nella storia della manifestazione, in totale e nelle singole specialità. Un record praticamente imbattibile anche perché sono cambiati i regolamenti. Pietrangeli in nazionale ha giocato anche una quindicina di partite all’anno per quasi vent’anni. Oggi non sarebbe possibile.

Debutta in Coppa Davis a Madrid, contro la Spagna, a punteggio già acquisito sul 3-0 per l’Italia. Il vero esordio, si può dire, è dell’anno successivo in doppio con Sirola. Insieme vinceranno 34 incontri di doppio consecutivi. Sono loro a guidare l’Italia alla prima finale della sua storia dopo la memorabile rimonta nella finale Inter-Zone contro gli Stati Uniti a King's Park. Non c’è nulla da fare, però, nello scontro per il titolo contro l'Australia di Neale Fraser e Rod Laver, due dei migliori giocatori del mondo.

Nel 1961, Pietrangeli è ancora una volta il mattatore a Roma nella finale inter-zone contro gli Stati Uniti, ma a Melbourne contro l'Australia si ripete lo scenario di un anno prima: l'Italia perde 5-0.

La Coppa Davis è sempre rimasto il suo grande amore, lasciato da giocatore solo a 39 anni con una vittoria, in doppio contro l’Olanda a San Benedetto del Tronto nei quarti della zona europea. Accanto a lui, il suo erede, Adriano Panatta.

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IL TRIONFO IN COPPA DAVIS IN CILE

La Coppa Davis non l’ha vinta da giocatore, ma da capitano. La sua posizione, confermata anche nello speciale “Io, Nicola” di SuperTennis, non cambia: “Il merito sportivo è solo dei giocatori. Il merito mio, che però non divido con nessuno, è di averli portati là” . Là, a Santiago, nel Cile che da tre anni era sotto la dittatura di destra guidata dal Generale Pinochet. I partiti e i movimenti di sinistra erano fortemente contrari alla partenza dell’Italia perché, con una tesi familiare ai sostenitori dei boicottaggi sportivi in ogni tempo, giocare lì avrebbe significato legittimare il regime.

Ci si mette anche Domenico Modugno, che canta una canzone modesta nel testo ma potente nel messaggio contro la trasferta. “D’accordo che ci piace l’insalata / e che l’insalatiera è alla portata / ma non mischiamo con faciloneria / la dittatura alla democrazia” canta nella strofa più nota della canzone che si chiude con due versi-slogan: "Non si giocano volée con il boia Pinochet". Nel mese di novembre del 1976, rivela a SuperTennis, ha ricevuto anche “due minacce di morte: 'Brutto fascista, ammazziamo te e tutta la tua famiglia'. Non è divertente”.

Nicola resiste. Presenzia a infiniti dibattiti pubblici, anche in televisione. Per non partire, ha ripetuto più volte, devono togliermi il passaporto. A sbloccare la situazione è Ignazio Pirastu, responsabile dello sport del Partito Comunista Italiano (PCI), perché i comunisti cileni hanno avuto segnali inquietanti: il popolo si sarebbe compattato attorno al regime se non si fosse giocata la finale. Una finale, commenta Pietrangeli, “difficile da perdere”. Difatti non ha storia.

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Ma nemmeno la vittoria cambia l’atteggiamento dell’opinione pubblica. Tornano praticamente di nascosto, e per una notte Pietrangeli dorme con la Coppa Davis (e il suo gatto) nel letto.

Penso che Pietrangeli abbia fatto più di ogni altro per il tennis italiano” ha scritto il ceco Jaroslav Drobný, tre volte campione Slam tra il 1951 e il 1954, nella prefazione al libro di Pietrangeli “Tennis” (Edizioni Mediterranee). In campo, ha aggiunto, “talvolta prendeva le cose un po’ troppo alla leggera, ed è forse questa la ragione per la quale il suo tennis aveva dell’imprevedibile. Quando era in vena, giocava da sogno. Quando era in giornata no, pareva un incubo materializzato. Nessuno, però, smetteva di vederlo giocare, con la speranza di veder apparire a sprazzi il suo genio tennistico, che – al contrario – quand’era in forma mostrava fino alla nausea. In Pietrangeli ha sempre prevalso l’essere umano sulla fredda macchina capace di giocare alla perfezione ma senza anima”.

NICOLA E LE DONNE

L'uomo Pietrangeli si è innamorato di quattro donne importanti. La prima l'ha sposata. E' Susanna Artero, madre dei suoi figli Marco, Giorgio e Filippo. “Era bellissima – ha raccontato a Repubblica -. A lei e alla sua migliore amica Paola Campiello, la bruna e la bionda, negli anni Cinquanta andava dietro tutta Roma. Mi innamorai della bruna. Ci siamo messi insieme da ragazzini: io 21, lei 18 anni” .

Lo vedo la prima volta sotto casa, avevo il cane di una signora del palazzo che si chiamava Nicola. Con mio marito ho passato dei periodi bellissimi” racconta Susanna Artero nello speciale di SuperTennis. Perché è finita? “Io ho tradito lui, lui ha tradito me tante volte, non tocchiamo questo tasto” dice. “Ma non ho mai messo in pericolo la famiglia” si difende Nicola.

Sono finite anche le storie più recenti, spiega ad Aldo Cazzullo in una recente intervista sul Corriere della Sera. “Con Lorenza perché non volevo sposarla. Con Paola, l’ultima, perché non volevo convivere”.

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La più glamour è sicuramente la love story durata sette anni con la conduttrice Licia Colò, che ha raccontato a SuperTennis cosa l'aveva conquistata del campione. Non certo la sua celebrità di sportivo di successo. “Non sapevo che fosse così famoso – ha ammesso -. Quando due persone si innamorano, è normale pensare che il rapporto sia per la vita. Anche io ho pensato che quello con Nicola lo fosse. Secondo me, aveva le gambe più belle che avessi mai visto”.

La differenza di età, spiega, non è stata un ostacolo. “Non la vedevo, se non negli stili di vita – racconta -. Ma lui ha fatto cose folli per me: è salito per la prima volta su un camper e abbiamo fatto un viaggio all'avventura. chi conosce Nicola, lo conosce per la simpatia, l'eleganza, le barzellette, il modo speciale di fare pubbliche relazioni. Pochi conoscono la sua sensibilità”. La stessa con cui ha accolto, durante quegli anni, i due gatti Pupino e Pupina.

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IL RAPPORTO CON I FIGLI

La stessa che hanno conosciuto i suoi figli. “Con loro ci siamo conosciuti meglio e di più quando ho smesso di giocare” ammette il campione.

Nicola, dice il figlio Filippo nello speciale SuperTennis, “è un padre ingombrante solo dal punto di vista della sua popolarità. È un padre meraviglioso, generoso, un grande amico. Una persona, e penso di poter parlare anche a nome dei miei fratelli, che non ci ha fatto mai mancare niente. Forse un po' la presenza quando eravamo più piccoli, ma mai l'affetto”.

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NICOLA PIETRANGELI E LEA PERICOLI: LA COPPIA DEL TENNIS IN ITALIA

Con Lea Pericoli, invece, solo un’amicizia di quelle che il tempo rinforza con strati di affetto, confidenza e reciproca condivisione. “Perchè fra me e Nicola mai stata una storia? Gliel'ho chiesto, per il libro in cui racconto la sua vita. Mi ha detto: perché tu avevi sempre un altro, e io almeno due!”.

La loro ha tutti i tratti di un'amicizia speciale. “Siamo stati complici, lui mi copriva, mi giustificava perché, pur avendo sempre un comportamento politically correct, non mi sono mai fatta mancare niente nelle mie passioni. Sembravamo due amanti perché io scivolavo nella sua stanza d’hotel, ma per giocare a carte, ore e ore a poker, in 4 o 5, o a ramino e scala 40 noi due” raccontava a Vincenzo Martucci per la Gazzetta dello Sport nel 2015.

Alle pagine del libro che ha dedicato a Nicola, "C'era una volta il tennis", Lea affida uno dei più poetici ritratti dell'amico campione: “E' stato il più bravo a rimanere giovane”.

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IL CAMPO PIETRANGELI

“Io sono l’unico vivo che ha una cosa intitolata a suo nome. Il perché non lo so. In Italia non c’è uno che ha una fontana, una strada, solo io. Questo mi riempie di grande orgoglio” ha detto in un’intervista a Walter Veltroni per il Corriere dello Sport-Stadio nel 2017. Dal 2006 l'ex Stadio della Pallacorda al Foro Italico, incorniciato da diciotto monumentali statue di atleti in marmo di Carrara, è lo Stadio Pietrangeli.

Il presidente del CONI dell'epoca, Gianni Petrucci mi chiama al telefono. Mi dice: vieni domani al Foro Italico che ti dobbiamo fare un regalo. Arrivo e mi fa: 'Vedi questo campo lo vogliamo intitolare a te'. Gli chiedo: 'Perché non il centrale?' Mi risponde: Quello l'abbiamo appena costruito, possiamo anche buttarlo giù un domani. Quello che ti vogliamo intitolare non si tocca, perché è monumento nazionale” ha raccontato nello speciale di SuperTennis.

Il presidente della Federazione Italiana Tennis e Padel Angelo Binaghi, nello stesso programma, rivendica la paternità dell'intitolazione dello stadio a Pietrangeli. “L'idea è stata mia e solo mia. Pensai di dedicarlo al campione del nostro sport più popolare a livello internazionale. Andai dal segretario generale del CONI Raffaele Pagnozzi che la contestò e disse che non si poteva fare. Un mese dopo l'hanno fatta”.

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Qui ha più volte ripetuto che vuole sia celebrato il suo funerale. Anche perché, chiosa con la consueta ironia, non ci sarebbero problemi di parcheggio. Per sé immagina una celebrazione con la musica: Charles Aznavour, Barry White, a chiudere Frank Sinatra che canta My Way. Un finale iconico per un campione da leggenda.

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