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I gesti bianchi vanno in scena per raccontare di noi, di paure e passioni, sogni e sfide, vittorie e sconfitte delle nostre vite: da "Roger" con Vittorio Solfrizzi a “Il muro trasparente- Delirio di un tennista tennista sentimentale” di e con Paolo Valerio
di Claudia Fusani | 24 ottobre 2021
Ebbene sì, chi lo avrebbe mai detto? Se la narrazione tennistica fatica al cinema, perché mai dovrebbe bucare in teatro? E invece, complice forse anche la nuova popolarità nazionale di questo sport, si scopre che il tennis a teatro è un po’ come un servizio a uscire e il diritto inside-out. Punto sicuro. Esecuzione perfetta. Naturalmente efficace.
L’occasione ce l’ha offerta il palinsesto degli spettacoli teatrali nella Capitale questa settimana. In pratica negli stessi giorni - e gli autori non ne sapevano nulla, meno che mai i direttori artistici - al Teatro Quirino è in programmazione “Il muro trasparente- Delirio di un tennista tennista sentimentale” testo di Paolo Valerio e Marco Ongaro, a cura di Monica Codena, unico attore in scena, lo stesso Paolo Valerio. All’Ambra Jovinelli è in scena “Roger”, testo di Umberto Marino, interprete (unico) Emilio Solfrizzi.
Il primo è una storia di amore e di tennis consumata davanti ad un muro da allenamento che è un po’ il lettino dello psicanalista dove in circa mille colpi - veri, reali e soprattutto vari, dritti, rovescio, voleè e tocchi sotto rete - Max confessa la sua storia segreta e disperata con Giulia. Sullo sfondo una colonna sonora da intenditori, da Patty Pravo a Psycho Killer in una cavalcata tra i Settanta e i Novanta. Qua e là, soprattutto per segnare i ben dieci quadri in cui è diviso il racconto, molte citazioni: Open, Infinite jest, I taccuini segreti di Freud ma anche Catullo, Platone e il Don Giovanni. Gran finale, senza spoilerare la storia, tutti sul palco al di là del “muro trasparente” a giocare ciascuno di noi contro il proprio muro. Portare la racchetta è consigliato anche se la produzione dello spettacolo ne mette a disposizione di igienizzate.
“Roger” è un classico monologo affidato alla bravura di Emilio Soltrizzi. Lo scenografia è ridotta all’osso: un campo da tennis (una metà campo) le righe, due sedie, quelle del cambio campo e poi basta. Solo la voce e la presenza scenica di Soltrizzi e le forza delle parole di Marino che sa, da appassionato tennista, come nulla come una partita di tennis, che può essere lunga, quasi infinita, imprevedibile e con continui cambi di fronte, possa essere metafora delle nostre vite. Quello che va in scena è un grande match con un lungo pre-partita e numerosi riflessioni-confessioni a margine.
Il numero 2 sfida il numero 1. E questo numero 1 si chiama nientemeno che Roger. È imbattibile, inarrivabile: è la classe, la forza, la bellezza. È Dio. Ma lui, il numero 2, è pronto a sfidare quel Dio. Si infila le scarpe non proprio nuove, si sistema la divisa coordinata ma non proprio all’ultima moda. E scende in campo. Nell’eterno duello tra il numero 2, cioè la maggior parte di noi, e il predestinato, il numero 1. In questo caso si chiama Roger ed è inevitabile pensare a Federer che però, sia detto a onor di verità, non si è mai atteggiato da numero 1. Anzi, è un giocatore che ha saputo accettare sconfitte e risalite.
Ma qui non è Federer il tema. Il tema siamo noi, ciascuno di noi, gli sfidanti che, con energia debordante, si mettono in gioco nella partita della vita con quel Roger (Federer) che è il modello irraggiungibile. «Il tennis – ha spiegato Solfrizzi in un’intervista – è lo strumento per parlare d’altro. Roger, il tennis stesso, sono metafora per raccontare un pezzo di nostra umanità. Numero 2 è un uomo che vive, invecchiato e imbolsito, nell’attesa di confrontarsi con qualcuno che è nettamente, straordinariamente, più bravo, tanto da assumere i contorni di una divinità. Lo spettacolo parla di tutti noi, perché tutti siamo dei numeri 2, parla dell’uomo di fronte alla propria vita, che cade e si rialza, che si confronta con Dio e non rinuncia a vivere».
In realtà ci sono già stati numerosi allestimenti teatrali ispirati al tennis. Già nel 1913 Vaslav Nijinski portò sul palcoscenico Jeux. Di recente abbiamo visto lo spettacolo “Open - La mia storia” tratto dall’autobiografia di Andre Agassi, “Doppio misto” di Danilo De Santis e il monologo “La solitudine del tennista”. Si aggiungono vari spettacoli di letture con accompagnamento di luci e suoni.
Nel caso di Valerio, nipote di Vasco, storico capitano di Davis cui è intitolata una famosa competizione a squadre under 18, è difficile dire se venga prima il tennis (è stato un’ottima seconda categoria, è ancora a 60 anni un competitivo 34) o il teatro. In entrambi i casi si tratta di una magnifica ossessione. “Amo il tennis così come la poesia e il teatro”.
In un’intervista a Supertennis parla del potere del gesto tennistico e del tocco della palla come di parole che si raccontano. La specificità del suo spettacolo sta nel fatto che il “muro” usato dai campioni per allenarsi è diventato l’espediente narrativo della storia. Non il muro irregolare in pietra prediletto da Björn Borg. Un muro in plexiglass alto tre metri e mezzo e alto sei, si erge sul boccascena, in faccia al pubblico. La rivisitazione contemporanea, ai tempi del virus, della quarta parete di Diderot. La palla che “rompe” il muro trasparente per quasi mille colpi ha una straordinaria forza comunicativa. Le cuffie che ogni spettatore deve indossare per seguire il monologo di Max-Valerio sono la seconda innovazione tecnica dello spettacolo.
“Dal punto di vista coreografico sul tennis si può pensare a qualcosa di fortemente innovativo e non solo dal punto di vista estetico. Occorre lavorare su quello che è irresistibile fascino della ricerca del movimento e quindi della perfezione” spiega Valerio.
La piece andrà in scena anche a Torino al teatro Astra il 17 novembre, in contemporanea con le Nitto ATP Finals, il torneo degli otto grandi "maestri" di tennis del 2021 (prima di 5 edizioni italiane).
La coincidenza di ben due spettacoli teatrali che muovono dal tennis non può essere solo una coincidenza. Probabilmente il tennis sta trovando, dopo il boom di libri dedicati a questo sport, una sua popolarità artistica oltre che mediatica.
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