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Jaime Morrocco è la persona che garantisce il servizio di traduzione simultanea in tutte le conferenza stampa dei tornei più importati. Da trent’anni. Il segreto? “Sanno che non sono un giornalista e si fidano di me”
di Claudia Fusani | 06 maggio 2025
E’ la persona che sussurra ai giocatori. E alle giocatrici. Senza di lui sapremmo molto meno, diciamo quasi nulla, del tennis. O meglio, di ciò che passa nella testa di un giocatore prima, dopo e durante un match. Da 25 anni è il loro speciale “confessore” e per quanto le regole del gioco prevedano che traduca in simultanea ciò che dicono, Jaime Morrocco ha il privilegio di essere il custode esclusivo di quel momento unico e speciale che segna la distanza tra la parola detta e quella riferita. Un patrimonio di sensazioni, dettagli, piccoli retroscena che raccontano molto dei campioni e delle campionesse che ha avuto il privilegio di assistere come traduttore ufficiale del circuito Atp e Wta. “Il segreto? Giocatori e giocatrici sanno che non sono un giornalista e si fidano di me” dice facendo una premessa: “Non bisogna mai dimenticare che ciascuno di loro ha una storia e un carattere”.
Questa chiacchierata è avvenuta durante le pause tra le decine di conferenza stampa che mr Morrocco deve gestire in un torneo. I giocatori, almeno i top 30 iscritti e i campioni nazionali, infatti sono obbligati per contratto ad avere un media day in ogni torneo - una conferenza stampa di presentazione prima del torneo - e poi un briefing stampa alla fine di ogni match vinto. I primi giorni di un 1000 come Roma sono una specie di frullatore.
Un sorridente Jannik Sinner in conferenza stampa (foto Sposito FITP)
Morrocco è americano di origine italiana, dal 1989 è manager di Asap sport, il servizio di traduzione e trascrizione immediata delle conferenze stampa di Master 1000 Atp e Wta. “Un servizio alla stampa e ai lettori” precisa. E in effetti nulla sarebbe com’è senza questo prezioso servizio. “Il mio primo torneo - racconta - furono le Virginia Slim championships a New York…sembra un secolo fa, per come la tecnica ha cambiato il gioco e per il mondo che si muove intorno ai tornei, format televisivi ormai inviolabili. Puoi fare questo lavoro solo se ami il tennis e lo conosci bene” sorride Jaime.
Giocando e scherzando, aspettando le conferenze stampa, un giorno è spuntato fuori una sorta di biglietto segreto con una speciale classifica dei migliori di questo trentennio che ha trasformato i tornei di tennis nei format stellari che siamo abituati a vedere in giro per il mondo.
Punto primo: “Mai pensare che i giocatori abbiamo poco da dire, errore madornale, io imparo sempre, dicono sempre cose nuove, certo hanno il loro slang, il loro vernacolo. Ricordo Nick Bollettieri, ad esempio, il suo inglese che era un mélange di ogni accento e varie lingue…”.
Ma andiamo a quel biglietto. In cima alla classifica c’è Andy Roddick, “grande humour, veloce, quando un giornalista faceva una domanda stupida lui lo diceva. Molto divertente, eravamo complici”. Serena Williams, “anche lei estremamente simpatica e ironica. Odiava le domande troppo lunghe, mi guardava con complicità. Molto puntigliosa, anche. Aggiungo, corretta. Nella conferenza stampa dopo la famosa finale agli Us Open quando perse contro Osaka, quella in cui l’arbitro le dette il penalty point per coaching, Serena spiegò per filo e per segno perchè non aveva mai avuto coaching e perchè non avesse mai imbrogliato”.
Medvedev e Rublev meritano, secondo l’uomo che sussurra ai tennisti, un posto speciale. Eppure, soprattutto Daniil, sembra così poco simpatico, in campo poi …. “Errore. Medvedev è persona molto lucida e intelligente, appassionato di letteratura russa e scacchi, per capirsi. Sia lui che Rublev soffrono molto per la guerra e la situazione che si è creata nel circuito con russi e bielorussi. Rublev ha avuto il coraggio di scriverlo sulla telecamera a Dubai, “stop war, peace”. L’anno dopo scrisse, sempre a Dubai e in telecamera, il nome di Viktor Tsoi, la rock star russa morta anni fa che è stata la colonna sonora delle proteste di tanti giovani, in Russia e in Bielorussia. Rublev scrisse ‘Tsoi è vivo’…” . E ancora canta Peremen, la sua hit più famosa, che significa “cambiamento” e che è stato l’inno delle giovani generazioni dell’ex Urss.
Diciamo che Morrocco preferisce, anche per garbo e deontologia, esprimersi più su ciò che è stato e non su ciò che è. Ecco allora spuntare fuori la ex numero 1 del mondo, la belga Kim Klijsters: “Molto gentile, sempre sorridente, educata, intelligente. La stampa ha provato per anni a cercare qualunque pretesto per scatenare la guerra fuori dal campo con Justine Henin, l’altra belga che allora contendeva la prima posizione a Kim. Posso dire che non ci sono mai riusciti. Grazie soprattutto a Kim. Sono sicuro che lei sia tornata alle gare solo perchè le mancava veramente il tennis e la competizione”.
Con Ernests Gulbis, l’ex tennista lettone rampollo di una ricchissima famiglia lettone tanto potente quanto effimero nella sua carriera (a Roma non si può dimenticare il 2008 quando eliminò al secondo turno Roger Federer) occorre scomodare un lessico diverso da quelle tennistico: “Un assolutamente simpatico pazzo, non parlava di tennis ma di Kandinsky, di musei e arte contemporanea. Con lui non si aveva mai idea di cosa potesse succedere in una conferenza stampa”.
Morrocco non lo dice ma personaggi così mancano al sistema tennis. Perchè certo Roger Federer è sempre stato “perfetto”: “Parlava tre, quattro lingue, molto a suo agio davanti alle telecamere, puntuale con i giornalisti, sapeva cosa serviva e cosa dare loro in pasto. Consapevole, in inglese diciamo molto starpower e good quote”. Storia diversa quella con Rafa Nadal. “Alla sua prima conferenza stampa a Wimbledon si era perso, lo incontrai, gli indicai la strada che facemmo insieme. Lui mi chiese un po’ di statistiche per inquadrare l’analisi del suo match. Se l’è sempre ricordato e ogni volta, che avesse vinto o perso, mi ha sempre chiesto come sta il mio cane”. Sullo spagnolo gli aneddoti sono infiniti. Sempre per privacy e deontologia, Morrocco ne racconta solo un altro: “Il ricordo più bello che ho è l'Australian Open 2022, quando si fece male (addominali, ndr). Arrivò in conferenza stampa dolorante. Alla fine, si alzò, scese i gradini per venirmi a salutare. Ebbi la sensazione netta che fosse un addio. In effetti poi lo è stato”.
Roger Federer (Getty Images)
Menzione speciale per Andy Lapthorne, campione inglese di tennis in carrozzina, un giovane uomo “con una importante storia personale di depressione e resilienza”, una storia che andrebbe conosciuta di più e meglio. E per Diede de Groot, la 28enne campionessa para-olimpica olandese, vincitrice di 23 titoli slam, “una umanità eccezionale e una leader straordinaria”. Indimenticabile, anche, “la vulnerabilità” di Jana Novotna, e non solo per quella finale persa a Wimbledon contro Steffi Graf (1993) per colpa di un doppio fallo (indimenticato il pianto sulla spalla della duchessa di Kent).
Andy Lapthorne (Getty Images)
Un aggettivo per molti di loro, che altrimenti ci vorrebbe un’enciclopedia. Andy Murray è “un combattente con un grande cuore, pragmatico, concreto, riconoscente alla vita”. Segni particolari: “Adora i cani e una volta ha raccontato di parlarci via Skype quando è lontano”. Per non parlare di quando “a Wimbledon (2023, ndr) ospitò nel suo box Nazanin Zaghari-Ratcliffe”, l’attivista iraniana che ha passato sei anni in carcere a Teheran ed è sopravvissuta ad abusi e violenze perché ogni tanto poteva seguire in un piccola tv le partite di Murray a Wimbledon. Di Martina Navratilova ricorda quello che definisce “un eccesso costante di aggressività dovuta a tanta rabbia interiore”. Di Nole Djokovic “si deve dire ciò che è: perfetto, non mostra mai emozioni”. Un po’ come Sinner, insomma. Tra gli azzurri “i più comunicativi sono “Berrettini, Errani, Pennetta, Sonego, Musetti”.
C’è un graffio o una carezza per tutti, giocatori e giocatrici. Ma c’è la privacy. E la professione. “Loro - ripete Jaime - sanno che io sono osservatore e non giornalista e che non userò mai ciò che dicono”. E così si ha la sensazione che le parole che loro dicono a volte restano ma spesso se ne vanno.
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