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Cultura e costume

Roland Garros, l'aviatore che baciava le nuvole

Storia di Roland Garros, l'eroe dell'aviazione a cui è intitolato l'impianto che ospita lo Slam su terra rossa

di | 08 giugno 2023

L'aviatore Roland Garros (Getty Images)

L'aviatore Roland Garros (Getty Images)

Lo Stade Roland Garros, l'impianto che ospita il secondo Slam della stagione, deve tutto al trionfo della Francia in Coppa Davis nel 1927. Era la Francia dei “Moschettieri”: Jacques Brugnon, Jean Borotra, Henri Cochet e René Lacoste. Quattro campioni accolti da eroi dopo il successo a Philadelphia contro gli Stati Uniti del grande Bill Tilden. La coppa d'argento che tanto ricorda un'insalatiera viene esposta all’Opéra Garnier, all'Eliseo, nei saloni del Ritz.

Intanto matura un'idea. All'epoca in Davis esisteva il Challenge Round per cui il tabellone, che prevedeva una prima fase divisa per continenti e una seconda Inter-Zone per le nazioni vincitrici della prima, serviva a definire la nazionale che avrebbe sfidato i campioni in carica, direttamente qualificati alla finale. La Francia, dunque, avrebbe giocato in casa per confermare il titolo. Per il Challenge Round del 1928, questa l'idea, serviva un nuovo stadio. Non bastavano più gli impianti dell Stade Français e del Racing Club de France, due polisportive che ad anni alterni ospitavano gli Internazionali di Francia.

Proprio nel 1927, scade la concessione di utilizzo dello stadio Jean Bouin dove gioca la squadra di calcio del Club Athlétique de Société Générale (CASG), sciolta nel 1951, di cui ha fatto parte da giovane Borotra. Pierre Gillou, présidente del Racing e Emile Lesieur, omologo dello Stade Français, presentano le proprie candidature. Vince il progetto di Lesieur. Il rivale propone di unirsi in società. Così l'8 settembre 1927 ottengono una concessione di 25 anni in cambio di un affitto di 20 mila franchi e del 6% dei ricavi lordi futuri. Lesieur accetta a una condizione: che il nuovo stadio porti il nome di un suo amico e compagno di università. Non è un tennista, giocava solo come passatempo. È un pioniere dell'aviazione, un eroe di guerra che nelle eliche dei suoi aerei incideva una frase di Napoleone: “La vittoria appartiene al più perseverante”. Si chiamava Eugène Adrien Roland Georges Garros. Dal 1928 lo conoscono tutti come Roland Garros. E questa è la sua storia.

L'aviatore Roland Garros (Getty Images)

Nato nel 1888 a Saint-Denis nell'Isola della Riunione, a quattro anni si è trasferito con la famiglia in Cocincina dove il padre avvocato ha aperto uno studio. Nel 1900 viaggia da solo a Saigon a Parigi per studiare al College Stanislas. Ma non finisce il primo anno perché si ammala di polmonite. Lo trasferiscono così nella succursale di Cannes. Più del sole e del mare, lo salva la bicicletta. Infatti quando poi andrà a studiare al liceo di Nizza, dove si diploma in latino e lingue, praticherà ciclismo e calcio. Farà parte anche della squadra di ciclismo dell'École des hautes études commerciales de Paris (HEC), dove si diploma in diritto. E' qui che conosce Lesieur, grande rugbista per lo Stade Français e la nazionale di Francia. È sua la prima meta nella storia dei Bleus nel torneo delle Cinque Nazioni, dal 2000 diventato Sei Nazioni con l'aggiunta dell'Italia.

Nel 1909, una dimostrazione di volo a Champagne gli cambia la vita: quel giorno realizza la sua vocazione, il volo. Igenitori hanno divorziato, perciò deve lavorare per mettere da parte i soldi necessari a prendere le prime lezioni. Impara a volare su un monoplano Demoiselle, un aereo leggero con il sedile del pilota sotto l'ala, tra le ruote del carrello. Secondo alcune fonti il suo primo maestro sarebbe stato il pioniere brasiliano dell'aviazione Alberto Santos-Dumont che li ha progettati. Garros ottiene la licenza numero 147 dell' Aéro-Club de France nel 1910. In quegli anni la Francia è al centro del mondo dell'aviazione anche per merito di Louis Blériot, primo pilota ad attraversare in volo il Canale della Manica. Sarà proprio su uno degli aerei realizzati da Blériot che Garros concluderà il primo gran premio organizzato dall'Aero-Club di Francia, il Circuito d'Anjou. Raccontano che portasse sempre con sé delle uova sode. “Mi mettono le ali” diceva, almeno così si legge: chissà se è solo una bella storia per dire che niente si inventa, nemmeno gli slogan delle bibite energetiche.

Quel che è certo è che il 6 settembre 1911 Garros ha battuto il suo primo record di altitudine, portando il suo aereo a 3.910 metri. E il 23 settembre del 2013, a bordo di un monoplano Morane-Saulnier, decolla alle 5.47 da Fréjus-Saint Raphaël sulla riviera francese. Dopo sette ore e 53 minuti atterra a Bizerte, in Tunisia. È il primo volo nella storia attraverso il Mediterraneo. 

Roland Garros al momento dell'atterraggio a Bizerte dopo la storica traversata del 1913 (Getty Images)

Garros diventa una sorta di celebrità nel mondo dell'aviazione. Tra i suoi amici c'è il poeta e regista Jean Cocteau, che gli ha dedicato la raccolta di poesie "Le Cap de Bonne Espérance". La sua è una dedica in versi liberi, pubblicata dopo la morte dell'aviatore. Inizia così: “Garros, io ti / Garros qui / noi / tu Garros/ niente più che questo silenzio nero”.

Durante la Prima guerra mondiale, Roland Garros combatte le prime battaglie aeree. All'epoca, ogni velivolo militare aveva bisogno di un pilota e di un altro soldato che maneggiava pistole, fucili e poi mitragliatrici. Garros ha un'intuizione. Conosce i lavori dell'ingegnere Raymond Saulnier, co-fondatore della Morane-Saulnier, e aiuta l'aeronautica militare francese a sviluppare un sistema di sincronizzazione che consente di sparare nella stessa direzione di volo senza colpire le eliche. 

Grazie a questo risultato la Francia ottiene importanti vittorie sull'aeronautica militare tedesca. Ma il 18 aprile 1915 Garros è costretto a un atterraggio d'emergenza dietro le linee nemiche e viene fatto prigioniero. Il suo aereo attira l'attenzione di un giovane ingegnere olandese, Anthony Fokker. Lo chiamano “l'olandese volante”, il primo aereo l'ha costruito a vent'anni. Fokker osserva quel meccanismo di sincronizzazione, studia come applicarlo sui caccia dell'Luftstreitkräfte , l'aeronautica tedesca. È lui la mente dietro al triplano di Manfred Albrecht von Richthofen, il leggendario Barone Rosso, l'asso degli assi del volo (80 vittorie in battaglia gli sono state riconosciute durante la Prima guerra mondiale).

È Fokker a creare per i monoplani tedeschi della famiglia Eindecker il dispositivo di sincronizzazione delle mitragliatrici che li renderà, per gli alleati, i “Fokker Scourge”, i “Flagelli di Fokker”. Almeno per un anno, finché nel 1916 non arriveranno i nuovi Nieuport francesi, gli Airco DH.2 e i Royal Aircraft Factory F.E.2 britannici che ne annulleranno il vantaggio.

Roland Garros posa con il suo Morane-Saulnier (Getty Images)

Garros è ancora prigioniero dei tedeschi. Tenta più volte di fuggire, finché a febbraio del 1918 incontra un altro pilota al campo di Scharnhorst a Magdeburgo, nella parte orientale della Germania. I due di notte riescono a indossare, di nascosto, uniformi delle guardie tedesche. Fuggono, dormono in un cimitero, si nascondono nella folla di un cinema, riescono avventurosamente a scappare prima in Olanda e da lì a Londra e infine a Parigi. Accolto da eroe, Garros incontra il presidente Georges Clémenceau, che lo vorrebbe come progettista e gli offre un impiego dietro una scrivania per l'esercito. Ma Garros, “l'uomo che baciava le nuvole” per citare il titolo italiano del suo libro di memorie (66thand2nd), vuole tornare a volare. E parte, il 5 ottobre del 1918, per quella che sarebbe stata la sua ultima missione sui cieli delle Ardenne. È morto in battaglia, cinque settimane prima della fine della guerra, il giorno dopo il trentesimo compleanno, affrontando uno squadrone degli aerei tedeschi progettati da Fokker. Ma la sua leggenda è rimasta viva, anche grazie all'amico Lesieur che si è ricordato di lui al momento di realizzare la nuova cattedrale del tennis francese nel 1927. E ancora oggi, a quasi cent'anni di distanza, nessuno si ricorda più dei grandi aviatori dell'epoca. Ma c'è sempre chi si chiede perché uno dei più importanti appuntamenti del tennis mondiale continui a portare il nome di un uomo che ha sempre sognato soltanto di volare.

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