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Cultura e costume

Dall'equal pay alle "mutande colorate": 50 anni di battaglie per il tennis femminile

Il tennis ha fatto da apripista nelle lotte per l'uguaglianza di genere nel mondo dello sport. E' stata fatta molta strada, ma il percorso non è ancora concluso. La marcia per i diritti nello sport al centro della puntata di oggi della rubrica "Vincenti e gratuiti"

di | 05 luglio 2023

Billie Jean King, insieme a Margaret Court e Chris Evert, è l'unica ad aver vinto la Fed Cup da capitana e da giocatrice

Billie Jean King, insieme a Margaret Court e Chris Evert, è l'unica ad aver vinto la Fed Cup da capitana e da giocatrice

Le rivoluzioni possono durare anni, decenni, non fermarsi mai e continuare ad evolvere sempre. Quella delle donne, ad esempio. Si arriverà poi ad un momento in cui la parità sarà totale salvaguardando le necessarie differenze biologiche. Parità di diritti, doveri e rispetto.

Al momento siamo ancora lontani. Soprattutto nel rispetto per la persona in quanto tale. Eccezion fatta per lo sport. Dove il tennis è stato apripista e modello di riferimento. Mai come in questo caso è calzante palare di “Vincenti & gratuiti”, molti dei primi, quasi assenti i secondi. Dal montepremi uguale per uomini e donne alle mutande colorate che rompono le secolare regola del bianco a Wimbledon passando per il “congedo maternità” per le tenniste che potranno prendersi il tempo necessario dall’attività agonistica per diventare mamme e poi tornare a competere mantenendo la classifica bloccata.

Tutto comincia 50 anni fa, esatti. Correva l’anno 1973 quando 9 ragazze terribili armate di racchetta dissero basta e per la prima volta si sentì parlare di equal pay, stessa paga per tutti.  Erano nove, oggi dette le “original nine”: Billie Jean King, già numero uno della classifica mondiale, Rosie Casals (sua compagna di doppio) Peaches Bartkowicz, Judy Dalton, Julie Heldman, Kerry Melville Reid, Kristy Pigeon, Nancy Richey and Valerie Ziegenfuss. 

Decisero, soprattutto, che era l’ora di finirla con Rod Laver che vinceva 2000 sterline a Wimbledon nel ’68 mentre Billie Jean King, anche lei numero 1,  ne vinceva 750.

Billie Jean King: una regina rivoluzionaria

 Le signore del tennis - sulla scia di Suzanne Lenglen che per prima nel 1926 decise, tra lo scandalo, che era legittimo giocare a tennis per vivere, quindi da professionisti anche per una donna, di accorciare le gonne, indossare culotte e calzoncini e bandane colorate in testa - fecero una lunga lista di distanze e differenze e dissero “mai più”.

Fu la prima volta che si parlò di equal play. Nacque così la Women's tennis Association (Wta), il sindacato delle tenniste che oggi più che mai, come la Atp per gli uomini, decide, protegge e custodisce la vita delle oltre mille giocatrici professioniste che danno vita al circuito.

UN LUNGO ANNO PER LA WTA

Sarà un lungo anno questo per la Wta, il suo presidente Steve Simon e tutto il board. 

Celebrare i 50 anni della Wta e di quella battaglia dei sessi, sarà un po’ come “rinascere” dopo anni molto difficili per il tennis femminile, vuoi  per l’uscita di scena delle campionesse iconiche, da Maria Sharapova a Serena Williams, vuoi per il Covid e il gelo con la Cina dopo il caso Peng Shuai (la giocatrice di tennis scomparsa dopo aver denunciato per violenza sessuale il numero 3 del Partito comunista).

Billie Jean è una inarrestabile animatrice e testimone di quella battaglia che continua a fare la rivoluzione: interviste, trasmissioni tv, libri, imperdibile per aneddoti e dettagli “All in, un’autobiografia” (ed. Nave di Teseo).

Tre giorni fa qui a Londra si aggirava uno strano doubledeck bus rosso Londra dalle parti di South Kensington SW7 dove una volta sorgeva  il Gloucester hotel (oggi Millennium Gloucester hotel) e dove tutto iniziò. “Abbiamo fatto e continuiamo a fare la differenza” ha detto la King arrivando al loro vecchio hotel con Ilana Kloss, Rosie Casals, Penny  Moore, Alicia Boston.Tutte ragazze tra i 70 e e gli 80, sorridenti e armate di racchette, ricordi e progetti. 

Anche la Wta cerca di essere all’altezza. E sta mettendo a segno alcune mosse interessanti. Ad esempio raffinare il sistema per cui le giocatrici che desiderano diventare mamme possono “congelare" la propria classifica e poi tornare a competere nei tornei entro tre anni dalla nascita del figlio partendo da dove avevano lasciato.

La prima richiesta in tal senso arrivò nel 2018 da Serena Williams numero 1 al mondo e già incinta quando vinse l'Australian Open nel 2017 e, una volta partorito, tornò a giocare e a vincere partendo dalla posizione n.453. 

CINQUE MAMME IN CAMPO A WIMBLEDON

Oggi a Wimbledon sono 5 le giocatrici “mamme” in campo: Elena Svitolina, Viktoria Azarenka, Tajana Maria (bis mamma); Barbora Strycova, Yanina Vickmayer.

Grazie alle nuove regole la danese Carolina Wozniacki, 32 anni,  numero 1 del mondo nel 2012 e anche nel 2018, due volte mamma e fuori dalla gare dal 2020, ha già detto: “Tornerò presto in campo per vincere”.

Potrebbe fare lo stesso Naomi Osaka, la giovanissima nippo-americana, ex numero 1 del mondo travolta dalle crisi di panico fino a dire “basta competizioni” e ora felicemente in attesa.

L’australiana Ash Barty ha partorito ieri il piccolo Hayden. E chissà che non torni anche lei visto che ha solo 27 anni e quando ha lasciato era ancora numero uno. La Wta ha un obiettivo: fare del tennis un posto di lavoro, in tutti i sensi. La maternità è una scelta e va supportata. 

Vedremo. Un altro segno di attenzione lo ha mostrato la direzione del torneo di Wimbledon che risponde storicamente solo a se stesso e alla Casa reale, nè alla Wta nè alla Itf. Per la prima volta è arrivata una deroga al dress code del bianco. Ebbene sì: le giocatrici potranno indossare biancheria intima - leggi nello specifico mutande - di color nero o altro “purchè non sbuchi dal gonnellino o dall’abito o dal calzoncino” che restano rigorosamente bianchi. La concessione è stata fatta per evitare sgradevoli “incidenti” alle giocatrici in campo mentre hanno il ciclo. “Vivaddio… l'anno scorso ho preso la pillola per fermare l'emorragia perché sapevo che dovevo indossare mutande bianche e non volevo alcun imbarazzo” ha detto l’inglese Watson. “L’anno scorso ero sempre in bagno a controllare” ha detto la giovanissima Coco Gauff.

Martedì le mutande nere hanno esordito sul Centre court addosso alla campionessa in carica Elena Rybakina. Aryna Sabalenka, numero 2 del mondo, le ha indossate verdi. Magnifico. Meno contenta è stata Ons Jabeur, la giocatrice tunisina, numero 6 al mondo, una che già adesso sta facendo molto per il suo paese e la donna nel mondo islamico: “Questa nuova regola ci imbarazza perchè si saprà chi ha il ciclo o meno. E per noi musulmani questo è un problema”. Problema risolto: sarà una libera scelta con liberi colori. A prescindere, insomma.

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