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Nella terza puntata di Tie-Movie scorrono le immagini di una finale di Wimbledon mai giocata e per questo ancora attuale ed eterna come solo l'effimero sa essere
di Ronald Giammò | 14 marzo 2025
Potenza di una passione. Se fondare una casa editrice è il modo più elegante per sperperare una fortuna, anche il tennis è passione per cui vale la pena svenarsi. Ne sa qualcosa Robert Evans, illustre produttore cinematografico hollywoodiano, che sul finire degli anni Settanta pensò bene di dar sfogo alla sua passione tennistica finanziando una pellicola che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto diventare "il film sul tennis più autentico che sia mai stato realizzato", 'Players', lungometraggio del 1979 a cui è dedicata la terza puntata di Tie-Movie, format in onda ogni sabato alle 13:30 su SuperTennis Tv.
A convincerlo vieppiù della bontà del suo progetto concorsero due fattori. Storico, il primo; con lo sport che negli anni Settanta cominciava ad affacciarsi sempre più sui grandi schermi, e la boxe - Rocky - a fregiarsi del primato estetico di disciplina più cinematografica, anche per le altre discipline si apriva ora una strada per verificarne la riproducibilità davanti alla macchina da presa. Più intuitivo invece il secondo; il puntare su due protagonisti giovani e belli, noncurante delle rispettive doti attoriali ma fiducioso che la chimica tra i due avrebbe silenziosamente operato per una feconda sintesi: da una parte Ali MacGrow, già ammirata in Love Story una decina d'anni prima, dall'altra Dean Paul Martin, figlio dell'omonimo cantante ma soprattutto abile tennista, capace di giocare per quattro anni consecutivi i Championships di Wimbledon e, per questo, in grado di impugnar racchette e tirar colpi senza la stampella di una controfigura.
Risultato: giudizi oscillanti tra il "disastro" e il "nobile fallimento", l'invito rivolto ai due protagonisti a cercar fortuna altrove o continuare a restare ai margini di questo mondo (MacGrow non appariva in un film da dieci anni), un'ironia tagliente nei confronti dei dialoghi presenti nel film, e critiche diffuse e feroci ad inquadrature e canoni estetici, più prossime a quelle presenti su di un catalogo di moda che a quelle che dovrebbero invece informare la settima arte. Incredibile a dirsi, l'unico a salvarsi da questa tempesta fu proprio lui: il tennis.
Digiuno di cinema ma devoto appassionato della disciplina, Evans fece calare sulla lavorazione del film il suo caveat imponendo sceneggiature e decretando tagli, licenziando e sostituendo, subordinando il tutto - storia, amori, gesta e imprese - al solo tennis e alla sua rappresentazione. Che, quarantacinque anni dopo, appare ancora oggi come l'unica conchiglia ad essersi salvata dall'oblio e dall'erosione del tempo. I primi minuti del film, quale che sia stata la riflessione da cui sono sgorgati, ci appaiono come un unico lungo piano sequenza durante il quale vengono ritratti, dai loculi dei loro spogliatoi fino all'erba a cielo aperto del Centrale di Wimbledon, i due finalisti che di lì a poco si sarebbero contesi il titolo. C'è Guillermo Vilas, e c'è Pancho Gonzales, qui in veste di coach ma vincitore sul finire degli anni Quaranta di due US Open e degli stessi Championships in doppio; la carrellata prosegue con Ilie Nastase, un giovanissimo John McEnroe, John Lloyd, Denis Ralston, Vijay Amritray, John Alexander, Jim Mcmanus. Tutti insieme, muti e partecipi e veri. Affini nella spontaneità con cui, riproducendo i loro gesti di sempre, riescono a restituire un'atmosfera che ancora oggi è la cosa più vicina e vera al tennis che sia mai stata filmata.
Filmare la vita, e così cercare di fissare un'atmosfera, è andar a caccia dell'effimero nella speranza di cogliere l'eterno che lo anima. Quarantacinque anni dopo quell'eterno è ancora intatto, e resiste intoccato alle modeste prove attoriali fornite dai due protagonisti, a una sceneggiatura improbabile così come a tutta la turbolente gestazione avuta dal film. "Martin non lo vedrei recitare in modo convincente in nessun ruolo, ma quando impugna una racchetta è assolutamente credibile", dichiarò anni fa Quentin Tarantino dopo essersi imbattuto nel film. Segno che Players, seppur a modo suo, la sua scommessa l'ha vinta. Peccato che Evans non fosse più tra noi per potersela intestare.
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