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Ci sono tennisti motivati “al compito”, quelli cioè che giocano bene, danno buoni risultati nei test tecnici e richiedono all’insegnante indicazioni per migliorare. E poi ci sono quelli “orientati al risultato”, quelli che non vedono l’ora di fare la partita. Servono due approcci differenti
di Antonio Daino | 04 luglio 2019
Nei ragazzi orientati al compito il comportamento è finalizzato a mostrare un certo grado di abilità, competenza e padronanza, diventando prioritario il confronto con se stesso e i relativi progressi percepiti e realizzati sul campo; c’è una continua spinta a migliorarsi e a misurarsi nella progressione tecnica ai fini di una percezione personale di incremento del proprio livello “prestativo” in assoluto come indicatore dell’incremento della propria abilità.
Nei ragazzi orientati al risultato ci sono invece coloro i quali desiderano mostrare le loro abilità rispetto agli altri, sono molto attenti al confronto e scelgono ambienti e situazioni che esaltano la comparazione con gli altri. In particolare sono molto interessati a prestare attenzione a coloro che possono guardarli, apprezzarli, riconoscere pubblicamente la loro abilità sportiva.
In questo caso la riuscita e l’impegno per migliorarsi sono legate al confronto, al contesto sociale, al superamento dell’altro più che all’orgoglio di sentirsi migliore.
In considerazione della fase evolutiva che attraversano i ragazzi tra i 10 e i 12 anni, è opportuno creare il giusto mix tra situazioni che favoriscono lo sviluppo della motivazione orientata al compito, che dovrebbe essere prioritaria data la limitata capacità tecnica, e quella orientata al risultato che comunque è opportuno stimolare in questa fase dell’apprendimento in cui ci si cimenta nelle prime competizioni.
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