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Nelle parole che il tecnico catalano ha pronunciato durante la sua lunga carriera da coach, si vede qual è il suo mantra. Si capisce che con lui conta di più come si arriva sulla palla, rispetto a come si colpisce. Ed è chiaro come il lavoro sui dettagli diventi fondamentale
di Cristian Sonzogni | 13 dicembre 2023
“Bisognerebbe fare la carriera da giocatore professionista, poi fermarsi e fare il coach, quindi riprendere a fare il tennista ancora una volta. Così il ciclo sarebbe perfetto, potresti capire tutti i tuoi errori e trovare la chiave per risolverli”. La filosofia di Francisco Roig, catalano, 55 anni, si può riassumere bene con questa sua frase. Il nativo di Barcellona – annunciato come coach di Matteo Berrettini dalla trasferta australiana di inizio 2024 – è uno che cerca difetti e risolve problemi: lo ha fatto per quasi due decadi con Rafael Nadal, che ha lasciato solamente nel 2022 per dedicarsi al progetto (poi naufragato in fretta, dopo appena 5 mesi) con Sloane Stephens.
Ma il fatto che sia rimasto agganciato a Rafa in sostanza per tutta la carriera del maiorchino, spiega alla perfezione quanto il vincitore di 14 Roland Garros (e 22 Slam) sia stato legato alla figura di Roig, di volta in volta spalla di fiducia vicino ai coach principali che hanno seguito Nadal, da zio Toni a Carlos Moya. Una figura che è sempre rimasta dietro le quinte, con un profilo basso ormai sempre più raro da trovare, e che tuttavia lo accomuna all'ex coach di Matteo Berrettini, Vincenzo Santopadre.
“Ho cominciato giovane – spiegava lo stesso Roig parlando del suo inizio da allenatore – quando avevo solo 30 anni e Alberto Berasategui mi chiese di seguirlo nel circuito. Accettai quell'offerta, e da lì cominciò il mio percorso”. Un percorso che è passato attraverso diversi ottimi giocatori, come i suoi connazionali Albert Costa e Feliciano Lopez. Fedele allo stile appreso alla scuola di Toni Nadal, 'Francis' è uomo che resta ben attaccato a ciò che conta, senza troppa filosofia.
“Quello che hanno insegnato a me – ha raccontato a chi gli chiedeva paragoni tra epoche diverse – e quello che insegno io ai miei giocatori non si somigliano in nulla. Il tennis è in costante evoluzione e bisogna restare al passo giorno dopo giorno, apportando correttivi continui. Il tennis di oggi, per esempio, è molto più rapido di quello di allora, c'è necessariamente meno strategia e più fisico. Pensare velocemente e bene è roba per pochi. Se posso riassumere il concetto, è più importante come arrivi sulla palla di come colpisci”.
Un concetto, quest'ultimo, che con la mente rivolta a Berrettini potrebbe essere particolarmente importante, in vista di una buona riuscita del progetto in partenza col tennista romano. Matteo – non lo scopriamo noi – colpisce la palla come pochi. Ma proprio gli acciacchi fisici, a loro volta portatori di limitazioni nei movimenti, ne hanno frenato spesso le ambizioni.
“La tecnologia dei materiali – altro concetto caro a Roig – ha aiutato molto e oggi quasi nessuno serve più la seconda palla a meno di 160 orari. Ai miei tempi (erano gli anni Ottanta e Novanta, ndr), anche i big server e i campioni come Boris Becker e Ivan Lendl servivano la seconda intorno ai 130. Ed erano considerati dei fenomeni. Solo le palle, oggi, sono meno rapide di allora, ma questo per paradosso facilita il fatto di arrivare a colpire bene. E dunque ancora più forte”.
Insomma, le parole d'ordine nel tennis visto da Francisco Roig sono poche, ma chiarissime. Movimento, controllo, attenzione. “I migliori sono i migliori perché si muovono meglio degli altri e dunque hanno maggiore controllo sulla palla. Non è tanto essere veloci, ma muoversi bene. Né rapidi, né lenti, ma al tempo corretto, quello della pallina”.
A proposito di fisico, non è solamente importante 'arrivare' bene all'impatto, ma pure utilizzare il corpo durante il colpo. Ascoltate questo 'trucco': “Sapete cosa è utile? Riprendere un giocatore in partita e poi, in post-produzione, togliergli la racchetta. Così si vede davvero e più chiaramente cosa fa con il corpo, se si muove bene o male. Il corpo è la rappresentazione del proprio tennis”.
Il concetto è quello che gli inglesi chiamano 'easy power': la palla deve scorrere col minor sforzo possibile, proprio grazie all'aiuto dei movimenti corretti. Ed è chiaro che tutto questo, unito alla facilità di colpitore del Berrettini dei momenti d'oro, costituirebbe un mix dirompente. Come un mix dirompente è stato quello che ha saputo creare Rafael Nadal.
“Perché Rafa ha vinto tanto? Perché in posizioni difficili si trovava comunque con il corpo nella posizione migliore possibile per controllare la palla. Come del resto fa Novak Djokovic. Nel 2008 Rafa era già numero 1 del mondo, eppure sapeva che al suo gioco mancava qualcosa. Per questo ascoltava i consigli di chiunque, come ha sempre fatto in carriera, e ha saputo limare i difetti”.
Parlando di Nadal non può non emergere il tema mentale, altra chiave del successo secondo Roig. Con un asterisco ad accompagnare il tutto: “Certo che la tenuta mentale fa ugualmente tanta differenza nella carriera di un giocatore. Però per essere forti mentalmente bisogna avere un bagaglio tecnico completo e di alto livello. Se ho una lacuna da qualche parte, questa lacuna mi entrerà in testa durante il match e mentalmente mi darà fastidio. Ecco perché prima di parlare di mental coach, bisogna lavorare in campo”. A giudicare dalla visione di Roig, per Matteo Berrettini la prossima stagione sarà una sfida stimolante.