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Marco Rossani è il team manager dello Stringing Team Wilson Italia: da quando le Nitto ATP Finals si disputano a Torino è alla sua squadra che i campioni affidano le proprie racchette. “Dobbiamo essere tecnici ma anche un po’ psicologi”. Racchette e tensioni di Djokovic e Sinner
di Tiziana Tricarico, da Torino | 19 novembre 2023
Sono i primi ad arrivare al Pala Alpitour e gli ultimi ad andarsene, con un orario preciso e stabilito da regolamento. Stiamo parlando della squadra degli incordatori ufficiali che da quando le Nitto ATP Finals si disputano a Torino è lo Stringing Team Wilson Italia guidato da Marco Rossani (“Finito il match, a qualsiasi ora della notte, i giocatori potrebbero avere la necessità di lasciare le racchette per averle pronte il mattino dopo per allenarsi”).
Incordatore professionista da quasi quarant’anni e da 25 operativo sull’ATP Tour (guida anche il team degli incordatori agli InternazionaliBNL d'Italia), della sua squadra fanno parte Paolo Aramini (stinger), Andrea Candusso (stringer), Alberto Librè (stringer) e Simone Candusso (runner). Precisione e professionalità le linee guida di un’equipe che deve operare velocemente e con precisione estrema.
“Lo Stringing Team Wilson Italia comprende 30 persone - spiega Rossani - e qui siamo in cinque. L’incordatore praticamente è personale: se comincia a lavorare con un giocatore all’inizio del torneo lo segue di massima per tutta la durata della manifestazione, anche perché ogni macchina ha impostazioni biomeccaniche adatte a chi la utilizza, in modo da ridurne la fatica per quanto possibile in giornate che durano anche 15 ore. Per scelta aziendale, legata ad un’efficienza il più vicina possibile alla perfezione, le macchine sono sempre nuove, non ce ne sono di itineranti: ogni volta vengono montate, installate e lasciate accese per ore e prima dell’inizio dell’operatività sono ricalibrate di nuovo, in modo che, ad esempio, i 23 kg di tensione siano assolutamente uguali per tutte. L’unica variabile è l’incordatore, ma anche questa viene resa prossima allo zero dallo standard di lavoro. Utilizziamo poi un sistema in-cloud che raccoglie tutte le specifiche riguardanti il singolo giocatore con un planning che indica chi ha incordato per chi”.
Curioso scoprire che i più esigenti sono i doppisti: “Non so perchè , forse perché giocano più di volo o perché hanno una maggiore sensibilità: sta di fatto che sono indubbiamente i più pignoli - sottolinea Rossani -. Uno su tutti l’australiano Matthew Ebden: intendiamoci, è sempre molto garbato ma è anche tanto, tanto esigente. Non incolpa l’incordatore: è consapevole che ricreare esattamente quello che vuole è molto difficile, parliamo magari di mezzo millimetro di lunghezza dell'ovale dopo l'incordatura…. La verità è che un po’ per tutti è molto labile il confine tra esigenza e psicosi, ovviamente in senso buono. Tutti cercano rassicurazioni e noi tecnici dobbiamo essere un po’ psicologi, che però si limitano ad ascoltare e basta e che tuttalpiù dicano ‘sì, va bene farò come vuoi tu’”.
Le racchette dei Djokovic e Sinner
Oggi l’attenzione è concentrata sui finalisti, perché per raggiungere grandi obiettivi ci vogliono strumenti perfetti. “Djokovic, come anche Zverev o Tsitsipas, ha un'incordatore personale. Mi è capitato però di lavorare per lui a Wimbledon o agli Internazionali d’Italia perché, in quanto incordatori del torneo, erogare comunque il servizio fa parte dei nostri compiti. La sua racchetta e particolarmente elaborata, molto customizzata: usa una corda ibrida, monofilamento e budello, tirata a 27.5 kg, monta due over grip uno sopra l’altro che cambia anche dopo l’allenamento. Per quanto riguarda Sinner, che in questo torneo è affidato ad Andrea Candusso, la sua racchetta non ha troppe specifiche rispetto a quella in commercio: utilizza una corda monofilamento tirata a 28 kg. Il suo attrezzo, incordato, pesa 328 grammi. Di solito Jannik ci manda quattro racchette per il match ma ce n’è una che marca e che usa per il warm-up. Per le richieste ‘on court’, cioè durante la partita, specie se lunga, di solito manda due racchette che devono essere lavorate simultaneamente: l’altra sera nel match contro Djokovic del round robin in 18 minuti abbiamo preso in consegna, incordato e riconsegnato”.
Ogni giocatore ha la sua routine: “C’è chi le porta e mi dice: falle quando vuoi, come Alcaraz, il più rilassato di tutti, l’unico degli otto singolaristi in gara qui che utilizza una racchetta praticamente priva di modifiche. Altri invece vogliono che la racchetta sia incordata il più tardi possibile, a ridosso del match. Spesso a portarcele sono i coach per questione di praticità, ma dipende anche dalla logistica del torneo, perché se siamo in una zona di passaggio vengono i giocatori. Medvedev è l’unico che quasi sempre le porta di persona ed è quello che ringrazia sempre. Ma sono molto gentili anche Sinner, Alcaraz ed Hurkacz”.
Una squadra che lavora a metà strada tra un’equipe da sala operatoria e un team di meccanici della Formula Uno: “Non ci cronometriamo ma per solito utilizziamo una lavagna con i tempi di ritiro, incordatura e riconsegna - precisa ancora Rossani -. La difficoltà maggiore è rappresentata dall’’on court’: possono capitare imprevisti, come una corda che inaspettatamente si spezza non per colpa di chi sta lavorando e c’è poco, anzi pochissimo tempo per rimediare. E’ questo l’incubo di ogni incordatore. Normalmente, nonostante si lavori sotto pressione, gli intoppi sono quasi inesistenti anche se personalmente ne ricordo uno con CarolineWozniacki a Roma qualche anno fa: ci fu un fraintendimento tra la giocatrice ed il coach, e di conseguenza con no,i e fui costretto, a ridosso del match, ad incordare quattro racchette perfettamente in meno di un’ora, quando di norma ci vogliono 18/20 minuti per ogni singolo attrezzo”.
Professionalità è la parola chiave. “Una volta non c’era la cultura dell’incordatore: adesso servizi privati e servizi offerti dai tornei hanno più o meno lo stesso livello e tutti gli incordatori sono certificati a livello internazionale - conclude Rossani -. Anche se certificazioni a parte, fondamentale resta sempre l’esperienza maturata. Il problema è che ancora oggi non siamo percepiti come una componente fondamentale, così come i fisioterapisti. Come incordatori siamo ancora una figura controversa, anche se un nostro errore può incidere sulla prestazione del giocatore. Ed in questo FITP è stata tra le prime federazioni ad avere un approccio professionale a questa categoria”.
La racchetta di Carlos Alcaraz