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La ventenne kazaka Rybakina, che quest’autunno si è allenata a Roma, quest’anno in quattro tornei ha collezionato una vittoria e due finali, perdendo a Melbourne solo dalla Barty. E a Dubai ha fatto fuori anche la vincitrice degli Australian Open
di Vincenzo Martucci | 19 febbraio 2020
Il suo Slam preferito è quello di Melbourne e, dopo averci perso netto - 6-2 6-2 contro Ash Barty - aveva una sola via di riscatto: battere la neo campionessa degli Australian Open. Così, Elena Rybakina ha rimontato a Dubai l’americana elettrica Sofia Kenin, appropriandosi dell’etichetta di giocatrice più in forma dell’anno. Nella scia della finale di San Pietroburgo e nel nome della madre Russia, dov’è nata il 17 giugno 1999 e per la quale ha giocato in nazionale dal 2013 al 2018, quand’ha deciso di passare sotto la bandiera kazaka.
Promettente junior, con le semifinali ad Australian Open e Roland Garros, Elena, dall’alto dei 184 centimetri, è una classica picchiatrice del tennis moderno. Ha fatto tanta trafila nei tornei ITF per farsi le ossa: “Sono cresciuta pian pianino, senza scosse”. Ha fatto l’esordio Wta nel 2018 e, l’anno scorso, appena al settimo tabellone principale, ha firmato il primo titolo, sulla terra di Bucarest, entrando fra le top 50, volando 139 posizioni, dal 175 al 36.
”Finora è stata la soddisfazione più grossa della mia carriera”. Le belle atlete dell’Est europeo sono tante, ma quest’inverno, con il suo angelo custode Stefano Vukov, Elena ha affinato la tecnica alla scuola italiana, a Roma, con il tecnico internazionale Adriano Albanesi (già guida di Lesia Tsurenko) e il preparatore-nutrizionista Fabio Buzzanca. Così, imparando tecniche nuove e divertendosi di più in allenamento, ha imparato a sfidare se stessa sul piano del tocco e della sensibilità. “Migliorando la parte cognitiva e gli appoggi”, come specifica Albanesi.
Ecco dove nasce il miracolo-Rybakina, così risultati davvero eclatanti di questi primi quattro tornei dell’anno: Elena ha raggiunto la finale di Shenzen, superando anche la numero 17 del mondo, Elise Mertens, e cedendo poi in finale alla 34, Ekaterina Alexandrova.
Ha vinto Hobart, superando sotto il traguardo Shuai Zhang (n. 40 Wta); si è arresa al terzo turno al Melbourne contro la numero 1 della classifica, Ash Barty. E' arrivata in finale a San Pietroburgo, collezionandolo scalpo di Maria Sakkari (n. 21) e fermandosi poi contro Kiki Bertens (n. 8). Quindi a Dubai ha ribadito la nuova dimensione da "top 20”, rimontando la Kenin.
Proprio questo match è emblematico dei grandi progressi tecnici e della varietà che ha introdotto nel suo arsenale. Prima della cura-Albanesi, Elena era infatti la classica picchiatrice che, non avendo alternative, nei momenti di difficoltà, si ostina a colpire ancor più forte la palla prendendosi rischia sempre maggiori sui colpi migliori, quindi, soprattutto, col diritto.
Adesso, invece, è rimasta tranquilla e concentrata, dopo il primo set concesso, peraltro al tie-break, alla favorita. Intanto, s’è concentrata sulla prima di servizio, che le ha dato un grande apporto non solo in potenza ma anche in varietà, soprattutto col kick che ha tenuto lontano dal campo alla risposta l’americana-rivelazione di Melbourne.
La Kenin era al rientro sul circuito dopo la parentesi Fed Cup, deve adattarsi al nuovo ruolo di bersaglio da neo regina Slam: sicuramente è meno in palla della kazaka. Che sbandiera grande sicurezza insieme alle 16 vittorie su 19 partite giocate nel 2020, due su tre perse solo in finale. Da numero 19 del mondo in ulteriore evoluzione.
La fiducia è diventata una leva essenziale, grazie alle sette partite su sette al set decisivo che Rybakina si è aggiudicata quest’anno. Un progresso nel progresso, anche se quello tattico-mentale è forse decisivo: “Prima, non lavoravo tanto sugli schemi, su quello che dovevo fare in campo, giocavo molto d’istinto, lasciavo andare il braccio, ma ho imparato che, soprattutto quando non senti la palla al meglio, certe indicazioni di gioco sono fondamentali. Contro la Kenin le ho utilizzate al 90 per cento”.
Peraltro condendo la strategia con 25 vincenti ed appena 5 errori gratuiti. Davvero cifre che rivalutano la picchiatrice di Mosca e la proiettano in un’altra dimensione. Perché la nuova sicurezza dei colpi porta serenità: “Non mi sentivo affatto nervosa, sapevo che sarebbe stata dura, mi ero preparata molto bene e non mi aspettavo di vincere. Ho cercato di dare il meglio, ma non sentivo la pressione. So che tutti possono battere tutti”.
Con quel servizio salva-guai, 7 ace anche contro Kenin, e un totale stagionale di 111 che la dicono lunga. E promettono ancora tanto.