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Mentre Nadal e Djokovic continuano a macinare chilometri in campo, Roger s’è fermato operandosi al ginocchio destro. Lui, che in oltre 20 anni di carriera ha avuto pochissimi guai fisici, ha comunicato che tornerà soltanto sull’erba. E se, al contrario di quanto si è pensato, questa andasse considerata - per lui e per il tennis - un’ottima notizia?
di Gabriele Riva | 27 febbraio 2020
Otto, trentotto, millenovecentonovantotto e duemilaotto. Uno strano ‘filotto’ cabalistico che riguarda Roger Federer. E i suoi (pochi) stop per infortunio. L’ultimo, comunicato al mondo giusto una settimana fa, riguarda un’operazione in artroscopia effettuata al ginocchio destro che terrà il Re svizzero lontano dai campi per tutta la stagione sul rosso (facendogli saltare il Roland Garros per la quarta volta in cinque anni) e riconsegnandolo al tennis, guarda caso, sul verde dell’erbetta di cui è ghiotto. E a quel punto, bello affamato.
— Roger Federer (@rogerfederer) February 20, 2020
Leggiamo quei quattro numero, intanto. Otto, come gli stop per infortunio rilevanti e significativi in una carriera ultraventennale, lunga e sana. Trentotto è banalmente l’età anagrafica di un campionissimo ormai maturo, per dirla politically correct. Millenovecentonovantotto è l’anno in cui Ruggero da Basilea è diventato professionista, diciamo l’anno in cui ha dato il la alla sua carriera (escludendo attività giovanile e juniores). Duemilaeotto? L’anno in cui si palesò il primo crack.
Adesso, prima di entrare nel dettaglio della timeline degli infortuni di Federer, facciamo qualche conto. 38 anni, di cui 22 di professionismo, con un infortunio evidente soltanto dopo i primi 10 e una media di guai fisici in rapporto alle stagioni giocate di uno ogni 2,75. Mica male. Forse si esagerava nel dire che Roger sapeva vincere senza sudare, ma di certo è stato sempre in grado di farlo senza farsi male.
Pulito, leggiadro, mai contrito né ‘tirato’ nei gesti e nelle prestazioni, Federer è sempre stato - al contrario di Nadal - un talento che non deve logorare il fisico per arrivare all’obiettivo. Impressione confermata in qualche misura pure dalla scienza. Secondo il teorema delle smorfie del chiropratico lombardo Alfio Caronti (uomo di fiducia di Riccardo Piatti e oggi nel team di Jannik Sinner), per esempio, il volto di Roger privo di contorsioni innaturali nell’esecuzione dei colpi rappresenta uno sforzo naturale, sciolto, senza tensioni per muscoli, nervi e tessuti.
12 anni fa però, nel 2008 a Parigi Bercy contro James Blake, il mondo cominciò a capire che anche nel meccanismo perfetto di Federer ogni tanto poteva succedere di avvertire uno scricchiolio. Sembrava impossibile perché, a quel punto, in 763 match giocati da pro non si era mai ritirato una volta. Quel che non era dato vedere, al grande pubblico e ai più, era una schiena dolorante, comunque messa alla prova dalla volontà di primeggiare sempre e comunque.
Con questi numeri (un infortunio in 10 anni e un ritiro in più di 750 partite), anche fossimo in Formula 1, di Federer, si parlerebbe di una macchina velocissime, scattante, prestante e pure solidissima. Che non ‘rompe’ mai o quasi. Ovviamente però quando spingi il pedale sempre fino in fondo, il guasto è da mettere in conto.
E infatti la schiena tornò a tormentarlo 5 anni dopo (cinque!), nel 2013. Tra il primo e il secondo infortunio degno di nota, Federer era riuscito a conquistare il record per il maggior numero di semifinali Slam consecutive (23 da Wimbledon 2004 agli Australian Open 2010). Insomma, non il classico periodo di relax.
Questo secondo del 2013, ‘scoppiato’ a Indian Wells, è uno degli infortuni più importanti della carriera di Roger Federer. Non necessariamente il più ‘severo’, per usare un gergo medico, ma certamente quello da cui ha tratto un grande insegnamento (lo stesso che, dal comunicato relativo all’operazione della scorsa settimana, guida ormai le sue scelte).
Dopo oltre 750 partite in dieci anni di carriera Roger Federer nel 2008 si ritirò per la prima volta da un torneo
Di quegli stessi anni anche la cura Edberg: Stefan, al fianco di Roger Federer in qualità di suo coach nel biennio 2014-2015, professava parsimonia nel dispendio delle energie ed estrema oculatezza nella programmazione. Contromisure ai problemi fisici che funzionarono. Almeno fino all’inizio del 2016, Australian Open, quando per la prima volta arrivò l’usura a riscuotere il suo tributo.
Paradossalmente non lo fece in campo, ma nella stanza da bagno: Roger, dopo aver perso contro Djokovic a Melbourne, spiegò di essere intento a preparare il bagnetto per le sue gemelle quando, a seguito di un movimento neanche troppo innaturale, sentì uno strano ‘tac’ al ginocchio sinistro. Era il menisco che si sfilacciava: non sentì neanche male sul momento e si accorse che era una cosa grave solo qualche ora dopo, allo zoo con le bambine: il ginocchio si era gonfiato.
In quel 2016 Roger dev’essersi sentito per la prima volta (e forse l’unica)… vecchio. Appena tornato dall’intervento in artroscopia al menisco, si fermò di nuovo a Madrid: “Non avevo nulla, dopo un allenamento ho cominciato a sentire male alla schiena e mi sono fermato”. A Wimbledon, qualche settimana dopo, è di nuovo il ginocchio a ribellarsi ai cinque set (persi) contro Milos Raonic in semifinale.
Fuori tutta la stagione, a costo di saltare l’Olimpiade di Rio, di non vincere un torneo per la prima volta dopo 16 stagioni consecutive e uscire dai Top 10 dopo 14 anni. Ma il nuovo Roger è così, appena vede accendersi una spia sul cruscotto, accosta, fa il tagliando e poi riparte. E per uno come lui ripartire vuol dire tornare a vincere uno Slam, il 18°, a Melbourne all’alba del 2017.
In ottemperanza alla nuova filosofia, lo stesso anno, dopo la finale alla Rogers Cup, Federer rinuncia al Masters 1000 di Cincinnati, dove aveva già vinto sette volte. Questo sesto significativo stop, ancora imputabile alla schiena, si esaurisce agli Us Open dove si presenta in condizioni tutt’altro che smaglianti (sconfitto da Del Potro nei quarti di finale).
FOTO-TIMELINE: TUTTI GLI INFORTUNI PIÙ RILEVANTI DELLA CARRIERA DI ROGER FEDERER
Federer si era fermato anche nel 2019, proprio agli Internazionali BNL d’Italia, prima di affrontare Tsitsipas nei ‘quarti’ e subito dopo aver battuto in tre set - salvando due match point - Borna Coric. Nel volto sconfitto del croato Federer deve aver intravisto lo spettro di Dodig e, questa volta, aveva preferito lasciar perdere: “Non sono al 100% e dopo un consulto con il mio team è stato deciso che è meglio fermarsi”.
Il filotto degli infortuni si è chiuso proprio giovedì scorso, con l’annuncio a social media unificati (Facebook, Instagram e Twitter): “Il ginocchio destro mi infastidisce da tempo, mi sono operato, torno per la stagione su erba”. Molti hanno pensato che fosse una brutta notizia, e lo è per il tempo in cui Federer sarà costretto alla poltrona. Ma in realtà ha due risvolti nettamente positivi: Roger tiene ancora molto alla sua salute e alla sua condizione.