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Costretto in casa a Parigi, il più dotato dei Next Gen francesi si è messo a comporre brani, mixando testi e musica con il computer e li pubblicati su Instagram. Addirittura sette pezzi in sette giorni. E il risultato di quella che è la sua grande passione fuori dal campo, non sfigura con la sua abilità di tennista
di Enzo Anderloni - Foto Getty Images | 04 aprile 2020
Stare chiuso in casa non è uguale per tutti: ognuno ha il suo spazio fisico, ognuno vive spazi creativi e spirituali tutti suoi. Corentin, 20 anni, francese, stella nascente del tennis, n.75 del mondo, si può dire che abbia il cielo nella stanza.
Da quando non può più allenarsi, andare in campo con la racchetta, Corentin Moutet, tennisticamente un estroso mancino di gran talento, sta riempiendo gli spazi fisici e mentali della sua giornata con l’altra grande passione della vita: la musica. Non si limita ad ascoltarla: quello lo faceva anche prima, tutti giorni e praticamente tutto il giorno, tra un allenamento e l’altro, una partita e l’altra. Ottimo pianista e cantautore, in questi giorni la musica la scrive, la canta e la suona.
In clausura ha trovato una vena fortissima e il coraggio di rendere pubbliche le cose che crea: ha aperto una pagina Instagram dove posta i suoi brani. Ed è un fiume in piena.
Sette brani in sette giorni: a Quentin Moynet, giornalista de l’Equipe che l’ha intervistato, ha raccontato che “non è una scommessa, un brano al giorno. E’ seguire un flusso istintivo. Testo e musica. Scrivere, armonizzare, cantare”.
Non tanto di più di quello che ronza sempre nella sua testa – ha spiegato – perché anche durante il girovagare per tornei, su un aereo o nella stanza d’albergo, il tempo per ascoltare musica c’è sempre. E anche per scriverla. Di certo in viaggio non c’è sempre a disposizione un pianoforte.
Alla domanda su quali siano le sue fonti di ispirazione Moutet ha risposto che “più che gli artisti sono i temi che trattano che mi interessano. Mi ispiro a rapper che magari sono meno conosciuti perché danno più importanza ai testi rispetto ai ritmi e alle melodie. E quindi magari vendono meno, passano meno alla radio. Per esempio Gizmo, Caballero, Youssef Swatt’s, Demi Portion. Quelli più conosciuti, tipo Ninho, mi piacciono ma mi interessano meno; non mi trovo granchè con quello che dicono”.
I primo pezzo è nato addirittura in aereo, nel tragitto da Los Angeles e Parigi, dopo l’annullamento del torno di Indian Wells: “Mi ero preparato una playlist con tutti pezzi di Diam’s (una rapper francese di grande successo una decina di anni fa, impegnata, con temi legati all’emancipazione femminile poi convertitasi all’Islamismo e sparita dalla circolazione n.d.r.). La conoscevo ma non l’avevo mai davvero ascoltata bene. E sono finito su “Ecorchée vive” (Scuoiata viva n.d.t.) . La melodia mi ha colpito. Il testo mi ha ispirato. L’ho ascoltata più volte di fila. E ho cominciato a scriverci sopra. Non volevo copiare quello che ha fatto lei: ho dichiarato subito apertamente che sono partito da quella canzone, da quella melodia per dire quello che volevo dire io”.
E’ nato così quello che Corentin ha chiamato “Premier freestyle”, intitolato “Ecorché vif”, “scuoitato vivo”. Con il piano, sulle stesse note di Diam’s, a fare da base melodica al suo testo. Condiviso con tutti su Instagram.
E poi il freestyle 2, CRITIQUE; il 3, EGOTRAP, il frestyle IV, ELLE; 5 L’invisible; 6 A suivre; 7 Frerot; 8 Hier Soir. Ne potrebbe quasi uscire un album.
Non aveva timore del giudizio degli altri? “Quello esiste sempre, in tutte le cose. Nel mio caso il problema poteva essere il fatto che io ero un giocatore di tennis che si metteva a fare qualcosa che non c’entrava niente con la racchetta. Come sarei stato giudicato? Ho pensato che qualunque fosse il giudizio degli altri ero sereno perché il mio mestiere è la racchetta e la musica è una passione, una specie di hobby. L’importante era fare le cose sempre in modo diretto, sincero. Nelle canzoni racconto veramente me stesso, quello che penso, che provo. Non ci sono bugie, falsificazioni. E secondo me quando si fa qualcosa che ci piace, con onestà, non si deve mai aver paura del giudizio degli altri. Comunque giudizi ne ho avuti parecchi, soprattutto positivi. E’ stato figo. Una bella esperienza che penso di ripetere”.
Dunque la musica per Moutet riesce a essere sempre compagna di viaggio. Quando gira il mondo da globetrotter del circuito Atp e quando è fermo, chiuso, bloccato in casa.
“Per me la musica è una sorta di psicanalisi. Qualcosa di molto introspettivo. Uno si fa delle domande, prende coscienza dei suoi sentimenti, prova delle emozioni e prova a metterle giù sulla carta. Questo per me è il bello di fare musica. Un modo di esprimere quello che ho dentro, che non è sempre facile far uscire”.
Chi l’avrebbe detto? Moutet non è certo uno che in campo tiene tutto dentro, che fa il compitino, che punta su ordine regolarità.
Ha un tennis da artista mancino, con il gusto della voleé e della smorzata, che fa già sognare tanti. Nella Race to Milan, il ranking che porta alle Next Gen Atp Finals di Milano, congelato in vista della ripresa dei tornei, è n.6, un posto davanti a Jannik Sinner. E la personalità non gli manca di sicuro: basta andarsi a riguardare che colpo si è inventato con Djokovic lo scorso anno a Bercy. Anche quello era musica…