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Dal tedesco di ceppo russo ci si aspettava molto di più, sin dal trionfo di Roma 2017, quando ventenne era arrivato al numero 3 del mondo e lanciava il guanto della sfida al vertice del tennis
di Vincenzo Martucci | 25 agosto 2020
Andy Murray recita a soggetto come nei tempi belli: piagnucola, smoccola, impreca, cigola nell’anima in sincrono con quelle sue anche sbilenche, ma alla fine della giornata proclama il credo dell’atleta e dell’uomo vero. “L’importante è venire a capo dei problemi, soprattutto se le cose vanno male e i problemi sono tanti”.
E’ la forza dei Fab Four di cui ha fatto legittimamente parte finché il fisico ha tenuto, accompagnandosi a quei mostri di Federer, Nadal e Djokovic. Una legge che Medvedev e Tsitsipas stanno imparando, mentre gli altri NextGen, Shapovalov e Zverev proprio non migliorano e con loro Thiem, che è il primo della generazione di mezzo ma è stato anche il migliore dell’estate dimezzata dal COVID-19. Ahilui, all’austriaco bum-bum, degno erede di Thomas Muster, questi scivoloni capitano e capiteranno ancora, da giocatore costruito, condannato a rimuovere di pura potenza gli ostacoli che trova davanti, in campo.
Solo che il gioco moderno appiattisce i valori, tutti tirano fortissimo e la differenza viene da quel pizzico di varietà e follia e tocco in più. Che Dominic non possiede, diventando spesso prevedibile e intestardendosi nella ricerca di colpi di maglio sempre più poderosi e sempre più a rischio di errore. Così, ha perso le ultime due finali del Roland Garros contro quel gatto dalle mille risorse di Rafa Nadal. Così, il numero 3 del mondo e 2 del torneo che riporta il grande tennis maschile negli Stati Uniti, ha perso contro Krajinovic nel torneo di Flushing Meadows bis, mascherato da Cincinnati, come se avesse le mascherine di quest’epoca di Covid-19.
La crisi di Sasha Zverev è più clamorosa. Perché dal tedesco di ceppo russo ci si aspettava molto ma molto di più, sin dal trionfo di Roma del 2017, quando, ventenne, forte di cinque titoli, era arrivato al numero 3 del mondo e lanciava, anche troppo sfrontatamente, il guanto della sfida al vertice del tennis. Nel 2018 è rimasto grande protagonista, ha firmato 4 tornei, ha toccato i primi quarti in uno Slam, al Roland Garros, bissando l’impresa l’anno scorso, quando invece di tornei ne ha vinto solo uno (Ginevra), evidenziando sempre più i limiti caratteriali, fisici e tecnici, a dispetto delle promettentissime qualità.
Morale: la potenza naturale si svilisce nella cieca rabbia, nella sfacciata presunzione, nell’evidente fastidio che prova nell’accettare le positività degli avversari. Come un puledro bellissimo ma bizzoso, rifiuta le redini, e quindi una guida tecnica e morale di un super-coach che affianchi papà Alexander senior. Cosicché sia Ivan Lendl che Juan Carlos Ferrero, due ex numeri 1 del mondo e campioni Slam stimati proprio per la loro serietà lo hanno lasciato, sbattendo la porta, delusi. Abbandonando così il bambino d’oro del tennis mondiale ai suoi dilemmi più impellenti: gli spostamenti e la gestione delle emozioni che si traducono nei troppi pensieri che gli affollano la testa quand’è più solo con se stesso, al servizio. Tanto che la sua arma paralizzante sta diventando il tallone d’Achille, trasformandosi nel boomerang dei doppi falli. Con una frustrazione e una perdita di fiducia inquietanti.
Un segnale positivo per lui, viene dalla scelta della nuova guida, David Ferrer, neo-pensionato dopo una vita da guerriero, che può sicuramente può dargli le coordinate pe la retta via di un professionista ma forse non gli può fornire le chiavi tecniche di cui avrebbe bisogno per migliorare il dritto, e l’attitudine sulle superfici veloci.
Per il momento, papà Alexander che lo allena e lo segue da sempre, si è fatto - giudiziosamente - da parte, e segue l’altro Zverev tennista, Misha, sperando di non essersi preso il coronavirus.
Forse proprio per qualche contatto con Sasha il viziato dalla vita che prima è incappato nell’Adria Tour con l’amico Djokovic, ballando a dorso nudo in discoteca e poi ha continuato sulla scia, a un party al mare, rimediando una tirata d’orecchi addirittura dal Bad Boy, Kyrgios: “Ma quanto puoi essere egoista?”.
Dopo il ko di Cincinnati/New York contro Lazzaro-Murray, Zverev ha dato almeno qualche segno di maturità nell’ammettere: “All’Adria Tour ho sbagliato”. Chissà come commenterà fra sé e sé la follia contro Murray: nel terzo set, quand’ha rimontato da 1-4 a 5-4 e servizio per chiudere il match, ma si è suicidato con tre doppi falli, rimettendo in partita lo scozzese. Che non batteva un “top ten” dal 2017.
Per lui è un’altra mazzata sulla via degli Us Open dove al massimo è arrivato al quarto turno, segnalandosi soprattutto per le troppo faticose rimonte nei primi turni e per i clamorosi crolli. Del resto, per guarire, bisogna accettare l’amara medicina. Che per lui si chiama semplicemente umiltà.