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Dopo tanti infortuni e la seconda operazione al ginocchio l’ex n. 5 del mondo batte Medvedev e sfida Rublev dove ha vinto
di Vincenzo Martucci | 31 ottobre 2020
“Posso allenarmi con te?”. Chiedere a Rafa di palleggiare a Roma, sulla terra rossa, è come domandare un’udienza col Papa: il motivo dev’essere importante, la motivazione forte, così come la determinazione a tirare a mille per un paio d’ore senza se e senza ma, pena la sostituzione in corsa con una riserva, uno dei tanti aspiranti stregoni che viene sempre convocato per le urgenze del campione. Perché gli allenamenti di Nadal sono sempre stressanti, ogni palla è come un match point, ogni colpo come il punto della vita in uno Slam, e i riposini sono brevi, così come i chiacchiericci.
Ma sono anche test importantissimi, soprattutto per chi sta risalendo e vuole verificare esattamente a che livello è, fisico, tecnico, tattico e, soprattutto, mentale. Così, guardando Kevin Anderson che si allenava sul centrale degli Internazionali BNL d’Italia ci siamo ricordati del sudafricano fra i più bistrattati dagli infortuni: dal 2016 all’anno scorso, a sandwich fra le due finali Slam perse a Us Open e Wimbledon, il pivottone del circuito, coi suoi 2.03, ex numero 5 del mondo, ha avuto problemi a ginocchio sinistro, spalla destra, pubalgia, anca, coscia destra, gomito destro e, dopo l’operazione all’anca del marzo 2016, ne ha subita un’altra al ginocchio destro a settembre dell’anno scorso. Cui ha fatto seguito un nuovo intervento il 19 febbraio.
Così è uscito dai primi 100 della classifica ma, a 34 anni suonati, favorito paradossalmente dal lockdown che gli ha fatto recuperare la condizione atletica senza fargli pagare un prezzo troppo alto in termini di partite, ha talmente voglia di rientrare che è disposto a farsi maltrattare da quel satanasso di Rafa sulla sua amatissima terra rossa. E ad ingoiare qualche sconfitta in più, pur di mettere fieno in cascina. Con chissà quante ore extra di sofferenza fra capo e palestra.
A Roma, aveva perso subito, contro l’emergente Humbert, in scia dei ko contro Tsitsipas e Zverev sul cemento di New York, al Roland Garros ha dato segnali di risveglio superando Djere e Lajovic, e ora che ha ritrovato un po’ di gamba, sul veloce indoor di Vienna, il famoso servizio-bomba gli ha aperto la strada per un’insperata semifinale a spese di Mister Pigrizia Daniiil Medvedv, ancora in anno sabbatico dopo le 9 finali del 2019 e il volo fino al numero 4 del mondo.
Per il ragazzone di scuola americana, cresciuto all’Università dell’Illinois, Vienna non è un torneo qualsiasi. Proprio lì ha vinto uno dei sei titoli ATP Tour. E, nel 2018, alle ATP Finals, aveva collezionato l’ultimo scalpo di un “top ten”. Per cui nella capitale austriaca gli sembra quasi che il tempo si sia fermato per rimettere in funzione quel suo gioco semplice e redditizio.
La chiave di tutto è la sua arma paralizzante, il servizio che, contro Medvedev gli ha fruttato l’83% di punti con la prima, 34/41, concedendo una sola palla-break, al russo che tanto somiglia al famoso “Gattone” Mecir. Anderson ha l’obbligo di tenere sempre alta l’intensità d’offensiva e sempre basso il numero dei colpi dello scambio, e quindi di tirare appena può, lungo e profondo o stretto ed angolato, ma comunque pesante e in fretta, a partire dalla risposta e dal primo colpo dopo la battuta. In apnea. Sfoderando una vitalità che non t’aspetti per un giraffone come quello. Che commenta felice al microfono i campo a Vienna: “Sono molto, molto soddisfatto. Ho aspetto tanto prima di poter giocare un match come questo. Di grande qualità. Sapendo di dover essere molto aggressivo e di dover giocare molto bene per superare Daniil”.
Il tennis si diverte coi suo protagonisti. Nel primo turno, Anderson ha sfiorato il ko d’acchito, salvando tre match point consecutivi nel tie-break decisivo contro Dennis Novak.
“Adoro giocar qui, ho bei ricordi di due anni fa. Mi è dispiaciuto non poterci tornare l’anno scorso, ma sono felice di esserci adesso e di poter giocare un gran tennis”. E, dopo Medvedev gli propone un altro russo, Andrey Rublev, il giocatore più in forma del momento, è una montagna, al di là della distanza in classifica (numero 111 contro 8, conditi dagli anni, 34 contro 23) e dell’1-1 nei testa a testa contro il fresco vincitore dei tornei di Amburgo e San Pietroburgo: l’ha superato a fatica agli Us Open 2015 e ci ha appena perso netto sulla terra rossa di Parigi.
In realtà è solo un’altra montagna per chi ha combattuto tanto contro gli infortuni. “Non ho ancora finito il torneo, ma mi voglio proprio prendere un momento per gustarmi anche il duro lavoro che ho fatto per arrivare a giocarmi un match come quello che ho giocato contro Medvedev”. Passando per un allenamento a Roma, contro l’Extraterrestre Nadal.