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Ce l’avevamo sotto il naso, il fenomeno, e non ce n’eravamo accorti: Aslan il russo ha giocato tanti Challenger in Italia, da Milano a Torino, da Cortina a Ortisei. Da giovane batteva Khachanov e Medvedev. Poi si è infortunato e si stava perdendo. A diventare grande lo hanno aiutato un tennista mancato e un preparatore fisico online
di Enzo Anderloni | 20 marzo 2021
La CNN l’ha definito il ‘Cinderella man’ del tennis. E in effetti tutti si domandano dove fosse rimasto chiuso fino ai 27 anni Aslan Karatsev, formidabile Cenerentolo del tennis mondiale, n.292 del mondo nel gennaio del 2020, n.114 a inizio 2021 e da lunedì n.27 del mondo dopo aver conquistato il primo titolo ATP 500 a Dubai (e le semifinali agli Open d’Australia).
Sa di mistero l’esplosione del russo di Ossezia. Impressiona soprattutto il suo livello di gioco, al di là della scalata nel ranking. Quest’anno ha battuto tutti giocando a un livello mostruoso. Le uniche due sconfitte sono arrivate da Novak Djokovic, n.1 del mondo, e Dominik Thiem, allora n.3.
Di sicuro nei mesi a venire si discuterà tanto di come possano emergere, così dal nulla, fenomeni tali a 27 anni. Quello che possiamo nel frattempo provare a riordinare sono le (poche) cose che si sanno di lui, mostratosi per la prima volta sulla grande ribalta internazionale all’ATP Cup 2021 di Melbourne come quarto uomo del formidabile team russo - Medvedev, Rublev, Khachanov e Karatsev - che si è aggiudicato la manifestazione.
Un quarto uomo che oggi è n.5 della "Race to Turin", la classifica che tiene conto solo dei risultati ottenuti dal primo gennaio.
Abbiamo già scritto delle sue origini russe (è nato il 4 settembre 1993 a Vladikavkaz, Russia meridionale, capitale della Repubblica autonoma dell’Ossezia settentrionale) e di quelle ebraiche del nonno materno, che portarono la sua famiglia a trasferirsi a Tel Aviv quando Aslan aveva 3 anni. Lì cominciò a giocare a tennis (il suo primo maestro fu Vladimir Rabinovic) e rimase fino a quando ne aveva 11. Poi i biografi raccontano di un suo girovagare, non è chiaro se sempre con la famiglia a fianco: Rostov e Taganrog (Russia), Mosca, Barcelona, la Germania…) e di tanti maestri e allenatori diversi (tali Alexander Kuprin e Ivan Potapov a Taganrog, poi un certo Andrey Kesarev).
Tecnici sicuramente validi ma sconosciuti ai più, comunque in grado di creare quella base tecnica e fisica che oggi permette a Karatsev di giocare alla pari con i più forti del mondo. Ed un percorso che lo ha fatto crescere portandolo ad essere in grado di esprimersi oggi correntemente in tre lingue: russo, ebraico e inglese.
Il primo nome noto al suo fianco è quello di Dmitry Tursunov quando fa il suo esordio nel circuito maggiore, nel 2013 a San Pietroburgo. In singolare perde in tre set contro il monumento russo di allora Mikhail Youzhny (oggi allenatore di Shapovalov) ma in doppio con Tursunov arriva addirittura in semifinale. E’ sempre del 2013, da ventenne, la sua prima foto postata su Instagram.
Nel 2014 prosegue la sua crescita. A titolo di curiosità si può ricordare che supera le qualificazioni al torneo Atp di Mosca battendo nell’ordine: Nikoloz Basilashvili, Daniil Medvedev e Lucas Pouille. Due settimane dopo è nei quarti di finale del Challenger di Ortisei, dopo aver sconfitto il nostro Simone Bolelli.
A metà dal 2015 sale al n. 153, giocando bene tra Challenger e qualche prova maggiore.
Nel 2016, raggiungendo la finale al Challenger di Kazan (Russia) batte ancora Medvedev ma mette in fila anche Karen Khachanov, oltre al francese Barrere e al rumeno Albot. Il livello, insomma, è quello lì. In Italia lo si vede, senza grandi exploit, ai Challenger di Barletta, Torino, Milano, Cortina (dove batte Marco Cecchinato e poi perde con Matteo Donati).
Poi nel 2017 gli capita un serio infortunio al ginocchio che lo obbliga a tre mesi di stop assoluto. Da lì deve ripartire e in un certo senso da lì si perdono le sue tracce.
Da una sua intervista a un magazine russo emerge il racconto di grandi difficoltà: niente sponsor, difficile il recupero senza un preparatore fisico dedicato. Karatsev non molla ma è precipitato al n. 606 del mondo. Spende tutto il 2018 girovagando per tornei ITF dai piccoli montepremi. Ne vince 5 e risale. A fine stagione è n. 485.
La rimonta continua nel 2019, anno in cui raggiunge i quarti all’ATP Challenger di Milano, all’Aspria Harbour Club, passando dalle qualificazioni.
E’ anche la stagione degli incontri che gli hanno cambiato la vita: quello con il suo attuale allenatore, il bielorusso Yegor Yatsyuk, e con il preparatore fisico, Luis Lopes, portoghese.
Yatsyuk è un ex giocatore bielorusso, un anno più anziano di Aslan. Ha tentato la strada del professionismo senza successo: al massimo è stato n.1106. Ha vinto un future ITF in doppio. Gioca un torneo in coppia con lo stesso Karatsev a Doha nel 2018. Aslan si trasferisce definitivamente a Minsk e il loro sodalizio si rinforza. Karatsev sostiene che Yatsyuk lo abbia aiutato a crescere soprattutto sul piano mentale, a trovare il giusto equilibrio.
A fine 2019 sono insieme a Doha, per giocare due ITF. Karatsev vince il secondo e si ferma in Qatar per la off-season. Lì conosce Luis Lopes, un preparatore fisico portoghese, head fitness coach della federazione del Qatar, funzione che unisce al lavoro con la squadra di Coppa Davis e con i giocatori under 16 e under 18.
“Ho incontrato Aslan a dicembre 2019 quando è venuto a Doha per competere nei tornei della categoria Future - ha raccontato a una testata russa - Cercava un supporto in termini di preparazione fisica. Durante la sua permanenza abbiamo fatto delle sessioni faccia a faccia che sono andate molto bene e ha voluto continuare la nostra collaborazione tramite internet e le videochiamate. È un modello che utilizzo da diversi anni con Frederico Farreira Silva (professionista portoghese ogi n.174 del mondo). Da allora abbiamo apportato alcune modifiche al modello su cui lavorare e attualmente ci alleniamo quotidianamente online, in base alle esigenze di Aslan del momento".
La preparazione fisica a distanza ha funzionato benissimo durante il lockdown del 2020. Karatsev, che aveva cominciato la stagione come n.293 del mondo, ha lavorato durissimo.
Arriva in finale al primo Atp Challenger di Praga, ai primi di agosto, dove perde con Stan Wawrinka dopo aver superato lungo la strada due top 100 come Vesely ed Herbert. La settimana dopo, sempre a Praga, fa centro. E si ripete a Ostrava in quella successiva.
Quando tenta le qualificazioni al Roland Garros è n. 116. Cede al turno decisivo contro Sebastian Korda. Si qualifica invece per l’ATP 250 di Nur-Sultan, dove al primo turno lo ferma in tre set il nostro Andreas Seppi. Chiude la stagione a Ortisei, con la semifinale, dopo aver battuto nei quarti Federico Gaio prima di cedere al bielorusso Ilya Ivashka.
Al 2021 si affaccia da giocatore forte ma normale, n.114 del mondo. Il resto è un lampo accecante. Il primo tabellone Slam, partendo dalle qualificazioni, è già semifinale. Il primo ATP 500 è una vittoria.
Ce l’avevamo sotto il naso, Aslan Karatsev e non ce ne siamo accorti. Forse perché è uno normale, uno come noi, solo con dei polpacci molto più grossi.
Uno che sorride abbracciando il suo cane. Che si fa fotografare in bermuda e scarpe di tela a Venezia. O ride davanti alla Torre Eiffel e si sente felice a Torino come a Cortina e Ortisei.
Per niente normale è invece la sua velocità sul campo, il suo tempo sulla palla, la potenza che da quai polpacci scatena fino alla racchetta, una Head Prestige rossa, quella di chi ha già tutta la forza del mondo e dal suo attrezzo vuole solo precisione. Fenomeno.