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Scopriamo le ragioni per le quali il 20 volte campione Slam ha rinunciato ai Giochi di Tokyo scontentando anche il suo mega-sponsor giapponese, per aggrapparsi a una speranza ed evitare guai con Mirka
di Vincenzo Martucci | 15 luglio 2021
La rinuncia di Roger Federer all’Olimpiade di Tokyo era nell’aria. Ed ha preceduto la sconfitta contro l’onesto Hubert Hurkacz nei quarti di Wimbledon e l’umiliante, e storico, 6-0 sull’erba dei Championships che ha conquistato ben otto volte in dodici finali. La rinuncia ai Giochi, governati dal suo sponsor giapponese che dal 2018 gli dà dieci milioni di euro l’anno per dieci anni, s’è materializzata prima che il mondo fotografasse un Roger Federer vecchio, fuori forma, sfiduciato, lento, non competitivo a livelli agonistici più alti.
La rinuncia è esplosa nella testa del Magnifico quand’è scivolato goffamente a rete: lui, straordinario atleta naturale campione di tip-tap, invece di far leva sulla gamba destra, ha provato a stravolgere le regole della natura spingendo con la sinistra. Perché, semplicemente, ha avuto paura e, terrorizzato di farsi ancora male e di dover chiudere magari così definitivamente la carriera, in quel momento ha alzato decisamente bandiera bianca anche in una partita sulla carta non impossibile.
Ci sono atleti che combattono il dolore meglio e atleti che lo combattono peggio. Rafa Nadal è un fenomeno nello stringere i denti ed anzi esaltarsi nel calvario, come lo era Thomas Muster, invece Federer, come già Boris Becker, si fa distrarre dal problema fisico, s’incupisce e si rattrappisce nell’anima e nel talento. E getta la spugna.
L’avete mai visto sorridere in quel match? Appena dietro le quinte all’All England Club ha comunicato al suo team: “Pregiudicare i prossimi mesi di gare per l’olimpiade?. No, grazie”. L’unica possibilità che ha di recuperare gambe e spirito e magari disputare un US Open d’alto livello come Wimbledon, se non ancora meglio, passava da un fulmineo ritorno ai box per risistemare la carrozzeria.
Perché, anche se i campi in cemento di Flushing Meadows sono ancora più duri di quelli in erba, non deve stare sempre con le ginocchia di cristallo piegate e non deve continuamente riassestare proprio quella parte così delicata del suo corpo per gestire falsi rimbalzi.
Certo, dispiace, soprattutto a lui. L’oro olimpico singolare è l’unico alloro di prima categoria che manca alla sua fantastica bacheca. Il venti volte campione Slam - co-record insieme a Nadal e Djokovic - ha partecipato alle Olimpiadi dal 2000, quando a Sydney è nato l’amore per l’attuale moglie, l’ex collega Mirka Vavrinec, al 2012, conquistando l’oro in doppio insieme a Stan Wawrinka a Pechino nel 2008 e poi l’argento in singolare a Wimbledon nel 2012.
Quando, dopo aver domato Juan Martin del Potro nella storica semifinale-maratona per 19-17 al terzo set, si arrese di fisico, sotto il traguardo, ad Andy Murray, che aveva superato un mese prima su quella stessa erba nella sfida decisiva dei Championships.
Dopo di che aveva saltato l’Olimpiade di Rio 2016 per il ginocchio sinistro che s’era rotto scivolando in bagno mentre faceva il bagnetto ai figli. E ora, a 40 anni da compiere l’8 agosto, e i problemi fisici che si ripresentano sempre più all’altro ginocchio, il destro, dà definitivamente addio alla medaglia a cinque cerchi più pregiata in singolare.
A quel livello, con tutto quello che ha già vinto e guadagnato, la classifica mondiale non conta per chi è stato più volte numero 1 ed ha tenuto fino all’1 marzo il record di 310 settimane complessive al comando del ranking.
Ma, a metà agosto, la classifica congelata ad arte dall’ATP per il Covid si scioglierà insieme ai tanti alibi di tanti giocatori protetti, fra cui proprio Federer, oggi numero 9 molto aldilà dei propri meriti, avendo disputato quest’anno appena quattordici partite, vincendone nove.
Dove scivolerà Roger? Anche se sarà sicuramente favorito dagli inviti di tutti gli organizzatori, come farà ad evitare scontri improbi già nei primi turni e quindi a ritrovare il ritmo-partita e la fiducia? La rinuncia ai Giochi, così dolorosa per il suo orgoglio dev’essere quindi letta anche in quest’ottica, sempre nella prospettiva di allignare ancora un po’ la carriera ad alto livello: la trasferta di Tokyo, così blindata e delicata, con più ragionevoli rischi che auspicabili speranze, avrebbe rappresentato nel concreto soprattutto un altro stop verso il possibile recupero.
Con in più la moglie arrabbiata: anche il Magnifico, il dio del tennis, tiene famiglia. Mirka e i quattro gemelli per primi non si placano se papà perde nei quarti di Wimbledon da Hurkacz.