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Campioni nazionali

Mattia Bellucci e la diversità: nel tennis paga ancora

Col suo tennis mancino atipico, alimentato a varietà, Mattia Bellucci è tornato a vincere un titolo Challenger e rilanciato ambizioni un po’ frenate da mesi opachi. Il suo stile di gioco rende più complessa la ricerca della continuità, ma quando tutti i tasselli sono al loro posto sa risultare terribilmente efficace

14 settembre 2023

Una delle critiche mosse più spesso al tennis moderno è relativa all’assenza di varietà. Si sente dire che tutti giocano in maniera simile, spingendo a più non posso e provando a estremizzare le stesse soluzioni, ma – per fortuna – non è sempre così. Perché nel circuito resistono anche giocatori dalle caratteristiche diverse e il disporre di un ampio elenco di scelte, se ben catalogate, paga spesso.

Per esempio, lo sta facendo nella carriera di Mattia Bellucci, il 22enne di Castellanza che la scorsa settimana a Cassis (Francia) ha conquistato il suo terzo titolo nel circuito Challenger, impreziosendo – dal nulla o quasi – una stagione fino a lì un po’ al di sotto delle aspettative. Era partito fortissimo qualificandosi all’Australian Open, suo primo Slam in assoluto, ma poi aveva faticato a mantenere certi livelli, fino a risvegliarsi nella seconda parte dell’estate, con due quarti di finale e quindi il successo in Costa Azzurra, in condizioni molto simili a quelle che nel 2022 lo videro conquistare il suo primo titolo a Saint-Tropez.

Segno che il cemento all’aperto lo fa giocare bene perché esalta il suo stile atipico, di tennista in grado di difendere e attaccare con la stessa intensità, dalla mano sinistra educata e dal cervello creativo, capace di alternare serve&volley e smorzate, o inventare colpi a effetto difficili da prevedere (e pensare).

Un modus operandi, quello del varesino numero 143 del ranking ATP, che richiede grandi doti tecniche e soprattutto un ordine mentale per nulla facile da trovare (ecco spiegati gli altri e bassi), ma che quando tutti i tasselli sono in ordine può mandare ai matti gli avversari. Non a caso, lo scorso anno al primo titolo Challenger seguì immediatamente il secondo, mentre stavolta la prima semifinale stagionale si è subito trasformata nella prima finale e poi nel primo titolo.

Per informazioni chiedere all’ex top-10 Diego Schwartzman, ubriacato di palle corte e battuto nella loro sfida al Challenger di Cagliari in primavera, oppure a quel Matteo Arnaldi che ora festeggia la top-50 dopo gli ottavi allo Us Open, ma meno di un anno fa perdeva contro Mattia la finale a Saint-Tropez, stordito da una quantità di slice di diritto apparentemente senza una logica. Una scelta un po’ strampalata che invece serviva – ed è servita eccome – per destabilizzare un avversario reputato superiore nello scambio da fondo, togliergli ritmo e portarlo fuori dalla propria zona di confort.

Un qualcosa nel quale Bellucci è molto bravo e pure coraggioso, perché mettersi a utilizzare certe soluzioni non è roba da tutti, tecnicamente ma pure dal punto di vista mentale. Per lui, invece, non c’è nulla di male a cercare strade poco conformi alla normalità ed è un approccio che può tornargli utile anche in futuro, qualora dovesse portare le sue ambizioni fino al circuito maggiore.

Servizio, tocco ed energia sono in linea con quelli dei giocatori dal ranking a due cifre, mentre la continuità no, ma come detto i pezzi del puzzle sono talmente tanti che trovare il giusto posto a ognuno richiede più tempo che in tanti altri casi.

Tuttavia, coach Fabio Chiappini – che da allenatore saggio ne ha appoggiato la diversità invece che osteggiarla – ha imparato in fretta il modo ideale per prenderlo, ha messo ordine al suo tennis, limato le lacune col diritto, costruito una identità sempre meglio definita e fatto un gran lavoro per riportare in carreggiata un ragazzo che prima del loro incontro (nel 2021) stava smarrendo qualche certezza. Ma se le ha ritrovate è anche merito della sua diversità e della voglia di coltivarla, anche a livelli  via via sempre più alti. Dopo qualche mese di assestamento, potrebbe essere giunta l’ora di tornare a raccogliere.

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