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Alessandro Petrone, ex pro, ha trovato nella pandemia un momento di riflessione utile a prendere una decisione importante: addio alle competizioni e inizio di una nuova vita, quella di allenatore. Il destino lo ha portato a seguire Matteo Arnaldi, tra i Next Gen italiani più in vista
di Lorenzo Andreoli | 18 ottobre 2022
Fino a poco tempo fa era un professionista pure lui. Poi, Alessandro Petrone ha trovato nella pandemia un momento di riflessione utile a prendere una decisione importante: addio alle competizioni e inizio di una nuova vita, quella di allenatore. Il destino lo ha portato a seguire Matteo Arnaldi, tra i Next Gen italiani più in vista. Oggi Matteo, grazie all'ottimo torneo di St. Tropez, si è preso la top 10 del ranking Under 21, mettendo nel mirino le Finals di categoria a Milano. Ma al di là della presenza nel torneo che ha visto Carlos Alcaraz vincitore dodici mesi fa, Arnaldi adesso ha trovato la strada per far emergere tutto il suo potenziale. Grazie anche al nuovo coach. Ecco le impressioni di Petrone sulla sua nuova carriera e sul suo allievo.
Quando ha capito che avrebbe voluto fare il coach nella sua vita?
“Lo stop del circuito legato al diffondersi del Covid-19 è stata una sorta di spinta involontaria a farmi smettere definitivamente di giocare, anche se in realtà avevo già deciso. La mia miglior stagione è stata senza dubbio quella del 2018, quando sono riuscito a entrare tra i primi 400 giocatori del mondo. Le nuove regole del cosiddetto ‘Transition Tour’ avevano totalmente stravolto le carte in tavola e le cose sono diventate decisamente più complicate, costringendo me e tanti altri a passare da essere in tabellone nei Challenger a giocare le qualificazioni dei 15.000 dollari. In passato avevo già smesso, dal 2014 al 2016, muovendo i primi passi nel ruolo di maestro di tennis e facendo le prime esperienze. Durante il lockdown mi ero preparato un elenco ricco di ragazzi promettenti, tra i 18 e i 20 anni, che mi sarebbe piaciuto allenare: tra questi c’era anche Matteo”.
Il primo contatto tra lei e Matteo quando è avvenuto e quali sono state le sue impressioni?
“In tutto questo, il destino ha giocato un ruolo decisivo. Uno dei miei migliori amici, Edoardo Eremin, mi aveva chiesto di seguirlo e per un anno sono stato il suo allenatore al Tennis Sanremo. Sarebbe dovuto venire a provare con me Mattia Bellucci, ma fummo costretti a rimandare tutto perché in quel momento ero in isolamento. L’occasione è saltata e poco dopo è arrivato Matteo, che sentiva il bisogno di tornare a casa dopo essersi fatto le ossa al Centro Tecnico di Tirrenia. Quando ero ancora un professionista mi era capitato di allenarmi con lui e il potenziale si vedeva subito. Dal punto di vista squisitamente tennistico, ad essere onesto, non mi aveva colpito particolarmente. Sembrava quasi non avesse idea di cosa dovesse fare, con tutti quei colpi tirati sempre fortissimo senza un criterio (ride, ndr). L’altra faccia della medaglia era la sua immensa professionalità. Ricordo un giorno di averlo visto dalla macchina correre sulla pista ciclabile sotto il diluvio”.
Si parla spesso del fatto di non mettere troppa pressione sulle spalle dei giovani. Avete deciso di porvi subito degli obiettivi?
“Quando è arrivato, Matteo era fuori dai primi 900 del mondo, è stato un investimento importante da parte di entrambi. Io e Matteo Civarolo abbiamo iniziato a seguirlo a metà maggio del 2021 con il fondamentale supporto del preparatore atletico Diego Silva, che anche oggi fa parte dello staff. Aveva il morale a terra, sentiva il bisogno di giocare e trovare continuità. Dal punto di vista tecnico-tattico abbiamo lavorato molto su servizio e dritto, cercando di dare ordine al suo gioco. La seconda parte dello scorso anno è stata molto importante, sia dal punto di vista dei risultati che da quello della fiducia. Sapeva di avere il livello e di potersela giocatore. Siamo stati bravi a far scattare il click e a lavorare sempre, non solo nella off-season ma anche durante lo svolgimento dei tornei. Quando si frequenta il circuito ad alti livelli e si osservano i grandi campioni non perdere occasione per migliorarsi, molte cose diventano sempre più chiare. Oggi la solidità è senza dubbio uno dei suoi punti di forza”.
Matteo Arnaldi (foto saint-tropez-open.com)
Nel suo modo di lavorare che tipo di approccio utilizza per la formazione umana e professionale di un atleta?
“All’inizio del 2021 non ci eravamo dati alcun obiettivo di classifica, chiudendo comunque l’anno intorno alla posizione 350, dopo averlo iniziato fuori dai primi 1000. Personalmente non parlo mai di ranking e non fisso traguardi perché le variabili sul punto sono praticamente impossibili da controllare. All’età di Matteo preferisco concentrarmi sui miglioramenti quotidiani a 360 gradi, sia in campo che fuori. Ho scoperto da una sua intervista che per quest’anno si era dato l’obiettivo della top-150 (ride, ndr) ma ha fatto tutto lui, il mio era quello di fargli giocare il maggior numero possibile di partite a livello Challenger”.
Cosa hanno rappresentato per voi i tornei di Roma, Francavilla al Mare e New York?
“Senza dubbio sono posti nei quali abbiamo vissuto emozioni speciali. Il Foro Italico è stata un’esperienza incredibile, il nostro primo vero appuntamento importante. Siamo arrivati con poche aspettative e Matteo si è ritrovato addirittura a disputare un match del main draw. Penso possa davvero essere considerato un punto di svolta perché ha capito che poteva battere ragazzi della sua età ma molto più avanti di lui. Allenarsi con tennisti del calibro di Djokovic e Auger-Aliassime ha fatto il resto. Non a caso subito dopo, a Francavilla al Mare, è arrivato il primo titolo Challenger al termine di una settimana fantastica. Gli Us Open sono stati pura magia, veramente. Anche per me era la prima volta e penso che entrambi non la dimenticheremo mai, non solo per il fatto di aver sfiorato la qualificazione dopo le vittorie su Peniston e Simon. Tutti questi sono però solo dei punti di partenza”.
Con la semifinale a Spalato, Arnaldi è salito al numero 288 della classifica mondiale ATP
Il gap anagrafico tra di voi è relativamente basso, poco più di dieci anni. Che rapporto avete fuori dal campo?
“Insieme stiamo bene e lo reputo un aspetto fondamentale. Ho imparato sulla mia pelle l’importanza del rapporto umano tra giocatore e allenatore a questi livelli. Quando stiamo insieme non c’è un momento della giornata in cui non ci si veda o in cui non si parli, un po’ come con la fidanzata o il fidanzato per le giocatrici. Intesa e complicità non devono mai mancare, così come il rispetto dei ruoli. Da parte di entrambi. Per il prossimo anno vorrei che imparasse a girare anche con altre figure, come ad esempio Matteo Civarolo, i preparatori atletici o esponenti della Federazione. Saper alternare è molto importante”.
Le Intesa Sanpaolo Next Gen ATP Finals sono un obiettivo a questo punto della stagione? Quali tornei giocherà Matteo nelle prossime settimane?
“Alla luce degli ultimi risultati lo sono diventate. È stato lui a insegnarmi che non ci si deve porre limiti. Per me che sono di Milano sarebbe una cosa pazzesca, così come per Matteo ovviamente. È bello che ci siano tanti ragazzi italiani in corsa per un posto, la competizione è sana e stimolante. Adesso è dura fare i conti con la pressione, è normale che la senta. Dopo Saint Tropez dovrebbe giocare a Vilnius e a Brest, nell’ultima settimana valida ai fini della qualificazione”.