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Eventi internazionali

Wimbledon 1973, quando il tennis fece sciopero e nulla fu più come prima

Il boicottaggio a Wimbledon del 1973 al centro del nuovo appuntamento con la rubrica "Vincenti & Gratuiti". Un viaggio nella memoria per un evento che ha cambiato la storia del tennis.

di | 03 luglio 2023

Cinquant’anni fa a Wimbledon i tennisti tirarono un “vincente” che ancora oggi fa la differenza. Come succede ogni volta che nelle nostre vite una protesta difende i diritti e ne consolida di nuovi. Che annata quel 1973, l’anno in cui il tennis ha vissuto il suo ’68 rivoluzionario. Grazie alla battaglie cocciute e pervicaci di Billie Jean King le tenniste ottennero pari diritti, pari dignità e pari danari. Per chi avesse voglia, la bellissima autobiografia della grande tennista americana “All in, tutto in gioco” (ed. La Nave di Teseo) può regalarvi infiniti spunti ed aneddoti.

L’anno prima, nel 1972, a Londra, era nata la Atp, associazione tennisti professionisti che mise finalmente ordine e regole in quello sport vecchio quasi un secolo, cresciuto tantissimo ma dove se eri professionista, e quindi il tennis era il tuo lavoro, non potevi giocare quasi da nessuna parte. L’Itf, la federazione internazionale che organizza la Coppa Davis, e le singole organizzazioni dei quattro slam non videro di buon occhio la nascita nei fatti di un sindacato dei giocatori, l’Atp, un luogo e un board dove i professionisti del tennis avevano finalmente voce in capitolo.

Bjorn Borg a Wimbledon nel 1973 (Getty Images)

Ma andiamo alla fine di giugno di quel 1973, quando i cancelli di Church road a SW19 stanno per aprirsi per l’edizione numero 95. Il mondo del tennis è irrequieto, sente il vento di fuori, annusa i grandi cambiamenti nella società, vuole partecipare. Basta ad esempio con lo stigma del professionismo (se giocavi per vivere e quindi per guadagnare, eri fuori di tornei più importanti a cominciare dagli slam). E basta anche con gli aut aut delle Federazioni nazionali.

Nell’inverno-primavera del 1973 succede ad esempio che il Davis man jugoslavo Nikki Pilic si rifiuta di giocare la sua squadra in casa contro la Nuova Zelanda perchè impegnati in un torneo di doppio, ben remunerato, a Montreal. Pilic aveva avvisato cinque mesi prima che non avrebbe potuto essere nel team jugoslavo che aveva però una panchina lunga e riserve che valevano la maglia da titolare. La Jugoslavia perse, in casa, il regime comunista rimase senza trofei da mostrare, l’Itf sanzionò il gran rifiuto e la Federazione jugoslava decise la sospensione del giocatore ribelle per un anno dalla competizioni internazionali.

In realtà Itf e federazione nazionale volevano punirne uno per educarne cento. Certe tendenze è bene smontarle subito. Ma non avevano fatto i conti con il vento ribelle degli anni Settanta. I giocatori, forti di avere un sindacato che li rappresentava e che ne raccoglieva le istanze, decisero il boicottaggio del torneo più importante e prestigioso di sempre: Wimbledon.

LA SQUALIFICA DI PILIC E IL BOICOTTAGGIO A WIMBLEDON

Francesi ed italiani avevano pensato di risolvere decidendo di ammettere Pilic sia a Roma che a Parigi, mentre Jack Kramer (per conto dell’ATP) e David Gray (ITF)continuavano a battagliare. Si cercò un compromesso e la squalifica fu ridotta a un solo mese, con scadenza il 1 luglio, cinque giorni dopo l’inizio dei Championships.

Kramer pensò di averla fatta franca, bastava chiudere un occhio e Pilic avrebbe giocato. Ma non aveva fatto i conti con gli ufficiali di gara dei Championships che decretarono comunque “Pilic è fuori”. Le cronache dell’epoca (traggo spunto ad esempio, da La Stampa) raccontano che i reporter presero a presidiare il Queen's Club, dove si giocava il torneo gemello di Wimbledon la settimana prima e dove il pubblico già impazziva per l’astro nascente svedese Bjorn Borg.

Tra i giocatori cominciò a serpeggiare l’idea che “se non ora, quando?”. Pilic si appellò anche all’alta corte di Giustizia di Londra ma ne uscì con le ossa rotte e 11.000 sterline da pagare.

 

I giocatori decisero di ritrovarsi al Wesbury hotel di Londra. Prima nel tentativo di trovare un compromesso. Poi però non restò che la scelta galeotta: cancellarsi dal torneo e dare vita al più grande e per ora unico sciopero nella storia del tennis. Tutto questo non poteva che avvenire a Londra. Dove il tennis era nato.

Settantanove giocatori, comprese dodici delle prime quindici teste di serie tra cui Panatta e Bertolucci, boicottarono il torneo. L’Atp riuscì a mandare in campo solo tre iscritti: Nastase, Roger Taylor e Jimmy Connors. Per il resto la Direzione del torneo fu costretta ad andare a ripescare i giocatori delle qualificazioni pur di mettere in campo gli incontri del Championships. Vinse Jan Codes. E fu comunque un gran successo di pubblico.

Fecero bene? Fecero male? Lo hanno fatto e la vita del professionista è certamente cambiata in meglio.

Quello sciopero segnò un prima e un dopo nella storia del tennis e dell’essere tennista professionista. Un “vincente” che ancora oggi continua a fare la differenza. Non si è più ripetuto. Qualcuno ci aveva pensato l’anno scorso quando i giocatori russi e bielorussi furono tenuti fuori dal Championships. Fu decisa la protesta dei punti. Ne furono assegnati la metà mandando però in tilt la stagione.

Jan Kodes in azione a Wimbledon nel 1973, torneo che vinse in finale su Alex Metreveli (Getty Images)

 

Church road sta per riaprire i cancelli. Sono tornati russi, bielorussi e anche i punti. L’Aeltc è pronto ad un’altra edizione, ultima spuntata ad aiuole e siepi, ritocchi di vernice alle inferriate e limature d’erba, briefing degli staff, dai ball boys ai giardinieri fino alle migliaia di volontari. Il Club è pronto a scrivere un altro pezzetto della storia infinita del tennis.

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