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Tornano i Campiona Italiani Assoluti, un appuntamento classico del nostro tennis per oltre un secolo. Una manifestazione che nel 1970 a Bologna segnò il passaggio tra due epoche nel confronto tra i due campioni più titolati della nostra storia
di Enzo Anderloni | 19 giugno 2020
Ritornano i Campionati Assoluti. Facendo di necessità virtù, causa coronavirus, ecco che rivive una delle competizioni più classiche del nostro tennis, una gara che è stata la prova di riferimento annuale per tutti i giocatori azzurri più forti almeno fino alla nascita del ranking professionistico computerizzato (1973) e poi ha conservato in pieno il suo fascino fino a quando l’Italia ebbe un gruppo di atleti d’élite a livello mondiale, cioè la prima metà degli Anni Ottanta.
Poi l’evolvere del tennis professionistico a una dimensione sempre più planetaria, sovrapposto al lungo passaggio a vuoto di del tennis nazionale, per un ventennio molto avaro di top player, ha fatto sì che il prestigio di quello scudetto assoluto man mano scolorasse. Fino a spegnersi, lasciando in eredità l’idea che sarebbe stata la classifica mondiale a dire chi erano l’italiano e l’italiana più forti.
Questo è un concetto che di sicuro vale ancora oggi ma la rinascita delle racchette d’Italia, il loro primeggiare a livello internazionale prima in campo femminile e oggi in quello maschile riattiva in pieno l’interesse di una competizione interna. In particolare oggi, nel momento in cui le regole di prevenzione per combattere la pandemia suggeriscono lo sviluppo, almeno temporaneo, di gare che possano esprimere il massimo livello possibile attingendo al patrimonio dei giocatori che si trovano sui territori nazionali.
In attesa di vederlo gustarselo viene istintivo tornare con la memoria all’edizione simbolo dei Campionati Italiani Assoluti, quella che ebbe maggiore notorietà e seguito popolare.
Si deve andare indietro di 50 anni esatti, al 1970, quando la prova venne organizzata alla Virtus Tennis di Bologna. E visse il suo momento indimenticabile nella finale tra Nicola Pietrangeli, il campionissimo dominatore del quindicennio precedente, vincitore di due titoli al Roland Garros (1959 e ’60) e di altrettanti titoli agli Internazionali d’Italia (1957 e ’61), allora 37enne, e Adriano Panatta, 20anni, astro nascente, che aveva esordito in Coppa Davis pochi mesi prima.
Quella di Bologna 1970 non fu solo la sfida tra i capofila di due generazioni tennistiche, entrambe competitive a livello mondiale. Fu il passaggio del tennis dalla dimensione elitaria di sport giocato solo da pochi, nei club blasonati, in bianche divise come elegante passatempo, a sport di massa, praticato progressivamente da tutti e dappertutto, con una dimensione professionista spiccata, nuovi idoli famosi come popstar la cui popolarità travalicava i confini. Il passaggio dai silenziosi gesti bianchi dei Rosewall, Laver, Pietrangeli al rumore della rivalità tra Borg e McEnroe, il mondo di Panatta e Barazzutti.
Per tornare nel modo migliore all’atmosfera di quel 1970 abbiamo preso a riferimento il passaggio che a quella finale degli Assoluti dedicò lo scrittore da Hall of Fame del tennis, lo “scriba” Gianni Clerici, nel suo volume “Il grande tennis” edito da Mondadori nel 1978. Eccolo.
"Mentre si alternavano attori giovani e comprimari, Nicola rimase a dominare la scena, eterno mostro sacro.
Appesantito nel corpo, più lento ma non meno regolare nel suo tennis di contrattacco, incerto se continuare ma ancor più scettico verso gli orari d’ufficio, consolidò addirittura i suoi successi in Italia.
Era accaduto spesso che, prima del 1963, qualcuno dei suoi grandi compagni lo mettesse sotto, in momenti di scarsa vena, o di pigrizia, soprattutto mattutina.
Divenne paradossalmente più difficile batterlo, in provincia, fino al 1970.
Quella testarda presenza gli volse contro la parte di establishment che difendeva il panino, o la picciola gloria di dirigere la Nazionale.(…)
Molti addetti ai lavori si assieparono quindi intorno al Centrale della Virtus Bologna, nel 1970, con lo spirito di chi attende il collasso di un vecchione testardamente aggrappato alla vita.
Dopo anni di micragna, un ragazzino era finalmente uscito dalle schiere del proletariato tennistico, e sembrava pronto a dare un nome all’invocato rinnovamento.
Era, l’unto del signore, Adriano Panatta, figlio d’arte di Panatta Ascenzio, il bonario incaricato dei campi del vecchio Tennis Parioli. Il figlio di Ascenzio incontrava a vent’anni un altro predestinato, Nicola Pietrangeli, nella Finale degli Assoluti.
I due avevano molto in comune, pur tenendo conto dei diciassette anni che li separavano.
Erano romani, per gusti, amicizie, mentalità. Erano diventati tennisti per la grande disposizione naturale, e per l’insistenza dei genitori, testardi nell’imporgli la racchetta in età tenerissima, nell’allontanarli dal calcio, nel facilitare la scelta tra gioco e studi.
Venivano da due classi diverse, la medio alta e la piccola borghesia. Ma, nel 1970, la civiltà del rotocalcio era già avanti, con il livellamento, e i miraggi di gloria e di denaro non dovevano essere molto diversi, per un Panatta non povero, da quelli che avevano ingolosito un Nicola non ricco.
Di diverso, tra i due, c’era soprattutto il gioco, e il gioco, si sa, è lo specchio dell’anima.
Nei momenti di terrore, che visitano anche i più coraggiosi, Adriano fuggiva in avanti, verso la rete, e si liberava delle sue angosce con la violenza.
Credeva, insomma, che le incertezze andassero affrontate rischiando e senza troppo riflettere, come facevano i suoi eroi, i piloti di formula uno.
Nicola, lui risolveva i suoi dubbi passandoli all’avversario, e attendeva i responsi del destino. Aveva già visto galleggiare tanta gente, sul filo della corrente, e sapeva che aspettare paga.
Il glorioso papà, e l’erede ribelle, giunsero alla finale senza difficoltà eccessive.
Nicola ebbe qualche fastidio da Cilìn Caimo, promessa fallita, e contro un bambinone grasso e talentuoso, Paolo Bertolucci.
Il giorno prima della gran Finale, i due si affrontarono in doppio, e rimasero in campo per ben 56 giochi. Nicola, che aveva in Maioli un partner meno sventato di quello di Panatta, il folle Pietro Marzano, finì per annettere il quattordicesimo titolo di doppio.
Non si era ancora svelenato dalle tossine, il giorno dopo, quando iniziò il palleggio, con i suoi gesti sempre eleganti, felpati.
Il ragazzo era pallido, sotto i capelli lisci che avevano spinto qualcuno a paragonarlo a un garzone del Perugino.
I suoi diritti erano più rabbiosi di quelli di Nicola, il rovescio infinitamente meno profondo, meno sicuro.
Non appena il gioco cominciò, scatenò tutta la sua potenza, la rabbia, sul servizio e sulle volée, che il vecchio faticava a controllare.
Di fronte a quella dimostrazione di tennis modernissimo, crudele, la gente si buttò a sostenerlo, intuendolo favorito.
So benissimo che non dovrei applaudire, far tifo, parteggiare. Sedevo però di fianco a Giorgio Bassani, che per ragioni di razza, e di cultura, finisce sempre a trovarsi con le minoranze. Lo imitai, e mi trovai ad incitare Nicola, contro la parte più becera del pubblico.
Non eravamo certo contrari a Panatta, ne ammiravamo i colpi, gli battevamo le mani. Non volevamo però rassegnarci ad ammettere che il premio di vent'anni di milizia tennistica, di grande artigianato, fossero gli insulti di un branco di italopitechi.
Davanti a noi passavano le immagini di una splendida partita, la più appassionante che ricordassi, tra quelle nazionali, dopo Gardini-Pietrangeli, Milano 1961.
Nicola giocava il miglior tennis possibile, alla sua età, con qualche piccola incertezza al servizio, se proprio si vuole essere incontentabili.
Adriano batteva duro e profondo, com'è difficile vedere sul rosso, e mostrava un animo da giovane cavaliere, un'audacia che sfiorava l'azzardo senza mai sconfinarvi.
Immobile per i venti minuti necessari a svelenarsi, Nicola ritornò in gara a mascella spianata, condusse due set a uno.Nel quarto, dopo un inizio che pareva la sintesi dei primi tre set, il vecchio rimontò in sella, sino a 5-4.
Le spalle al muro, Panatta reagi allora nel modo più folle e insieme illuminato, gettandosi all'attacco con un ritmo che avrebbe imballato uno sprinter.
Quelle discese concluse con allunghi strappareni, non solo lo salvarono, ma lo condussero al set point, a 7-6, fallito per autentica sfortuna, su uno smash-nastro del vecchio.
Nicola, sull'8-7, arrivò nuovamente a 30 pari. Nuovamente, Adriano gli rubò il tempo, con due drammatici salvataggi.
Nel quinto set, pure in vantaggio 4 a 1, e nuovamente 40 a 0 dopo esser stato raggiunto sul 4 pari, Nicola era ormai un uomo stanco, un vecchio guerriero che aveva soltanto più la forza di ripetere movimenti perfetti, ma vuoti.
La rimonta di Adriano non sbandava un attimo dalla crudele applicazione di una tattica vincente.
Alla fine, dopo una stretta di mano, Nicola aveva un moto di pudore, ma non sapeva egualmente resistere al desiderio di stringerselo contro, il giovane Adriano. E finalmente, improvvisamente, con ritrovata umanità, tutti si alzavano, a gridare insieme, il suo nome, e quello del successore.
” Una cosa che non capisco” mormorava Bassani, sfollando ”è perché non giochino il doppio insieme, il vecchio e il giovane. Sono i due soli tennisti che abbiamo, in fondo”.
Campionati Assoluti tennis
Virtus Tennis Bologna
27 settembre 1970
Finale: Adriano Panatta b. Nicola Pietrangeli 6-1 3-6 3-6 10-8 6-4